Vita da specializzando/7: 25 anni ed un sogno nel cassetto, lavorare sulle ambulanze. Giovanni 'si addestra' al Mandic
Alzi la mano chi da piccolo non ha mai sognato di vestire una divisa. Dal poliziotto al pompiere, ci sono mestieri “d'azione” che attraggono naturalmente i più piccoli.
A 25 anni, una laurea in medicina conseguita a tambur battente, senza mancare nemmeno un appuntamento con un esame, il dottor Giovanni Ghianda al camice bianco già conquistato, nel prossimo futuro, preferirebbe la “tuta” dello specialista che, sull'auto di Areu, sfreccia da una parte all'altra del territorio, intervenendo per malori in abitazione, incidenti stradali e infortuni sul lavoro. O, perché no, da appassionato (anche) di montagna qual è, quella del medico del Soccorso Alpino, portato in quota in elicottero o, quando necessario, pronto a caricarsi lo zaino sulle spalle, per raggiungere precipitati e feriti in ambienti impervi. Vorrebbe, insomma, essere in primissima linea. E' dunque iscritto alla scuola di specializzazione in Medicina d'emergenza urgenza, quella che forma anche il personale “ideale” per i Pronto Soccorso, “merce” assai rara in questi tempi.
Da sei mesi è stato destinato al Mandic, dove ha iniziato in Medicina interna, per poi trascorrere un trimestre – concluso in questi giorni – in Cardiologia con il primario Stefano Maggiolini e tornare così nel reparto diretto dal dottor Paolo Dionigi Rossi.

“Essendo al primo anno e non sapendo bene come funzionavano le cose a livello burocratico, ho scelto l'ospedale più vicino a casa, ben presentato da chi c'è già passato prima di me” racconta circa il suo approdo a Merate. Del resto essendo di Oggiono - “abito a 100 metri da Francesco”, dice in riferimento al dottor Straniero, specializzando in questo stesso periodo in Neurologia – gioca, di fatto, in casa.
“I miei genitori sono entrambi fisioterapisti. Io ho sempre detto di voler un lavoro a contatto con la gente. Dopo il diploma al liceo delle scienze applicate ho scelto medicina perché il corpo umano – la nostra macchina perfetta – mi ha sempre affascinato. Per la specializzazione, invece, sono andato su Medicina d'emergenza urgenza perché mi piaceva l'idea del medico che, anche fuori dall'ospedale, sa come comportarsi in situazioni diverse, può dire la sua in tanti scenari. E mi piace anche l'idea di tenere vivo tanto di quello che ho studiato”. Una valutazione che avrebbe potuto farlo pendere anche per la scuola per medici di medicina generale, ma, come già accennato, è evidentemente attratto anche dal “dinamismo” tipico dei PS e ancor più del territorio, da quel “caos” che richiede sangue freddo e quella spinta a “dare una mano a 360°, qualsiasi sia il problema”.
Per ora, come previsto dalla sua Scuola – quella della Bicocca – sta turnando “in ambienti più protetti, con pazienti meno fragili”, rispetto ad un porto di mare come, appunto, il Pronto Soccorso. L'anno prossimo passerà ad un reparto di Anestesia e Rianimazione, per arrivare poi dal terzo sul campo di battaglia, dove comunque già ora, anche al Mandic, scende seguendo il medico a cui è affiancato per i consulti richiesti. “Essendo l'unico specializzando ho la possibilità di vedere tante cose diverse, ho gli strutturati “tutti per me”” spiega, elencando i vantaggi di aver scelto un presidio di dimensioni contenute come il Mandic.
“Trattandosi di un ospedale piccolo, in Cardiologia spesso finiscono pazienti che hanno anche altri problemi, ciò li rende più complessi. Dal Pronto soccorso, poi, sempre perché piccino, arrivano ai Reparti pazienti che in qualche modo vanno ancora inquadrati”. Tutti aspetti che rendono il lavoro variegato, offrendo poi la possibilità – favorita in questo caso proprio dal non operare in un ambiente dispersivo – di interfacciarsi più spesso con altri specialisti.
Concretamente, il suo lavoro si articola su cinque giornate, per 42 ore la settimana in Medicina Interna, arrivando anche a 50-52 nel trimestre passato in Cardiologia, con tre turni di base da 8 ore l'uno e due da 12.
“In Medicina nei festivi mi capita di essere per qualche ora anche da solo, potendo comunque contare a stretto giro su tutto l'appoggio dei colleghi. In quelle occasioni mi stanco molto di più perché controllo tutto dieci volte” aggiunge sorridendo, trasmettendo entusiasmo per la professione, ma anche tanto senso di responsabilità. “In università abbiamo fatto tanti esami (qualcuno anche che, a mio parere, si potrebbe anche togliere o comunque lasciare alla passione del singolo): abbiamo dunque tante conoscenze teoriche, ma poi avendo a che fare con persone e farmaci da prescrivere, soprattutto all'inizio, ho avuto qualche timore. Abbiamo sì fatto anche tanti tirocini, ma il timore deriva dal diventare poi concretamente operativi”. E meno male che c'è. Superman del resto è solo un eroe dei fumetti, giusto per tornare ai sogni di tutti i bambini.
Continua/8
A 25 anni, una laurea in medicina conseguita a tambur battente, senza mancare nemmeno un appuntamento con un esame, il dottor Giovanni Ghianda al camice bianco già conquistato, nel prossimo futuro, preferirebbe la “tuta” dello specialista che, sull'auto di Areu, sfreccia da una parte all'altra del territorio, intervenendo per malori in abitazione, incidenti stradali e infortuni sul lavoro. O, perché no, da appassionato (anche) di montagna qual è, quella del medico del Soccorso Alpino, portato in quota in elicottero o, quando necessario, pronto a caricarsi lo zaino sulle spalle, per raggiungere precipitati e feriti in ambienti impervi. Vorrebbe, insomma, essere in primissima linea. E' dunque iscritto alla scuola di specializzazione in Medicina d'emergenza urgenza, quella che forma anche il personale “ideale” per i Pronto Soccorso, “merce” assai rara in questi tempi.
Da sei mesi è stato destinato al Mandic, dove ha iniziato in Medicina interna, per poi trascorrere un trimestre – concluso in questi giorni – in Cardiologia con il primario Stefano Maggiolini e tornare così nel reparto diretto dal dottor Paolo Dionigi Rossi.

“Essendo al primo anno e non sapendo bene come funzionavano le cose a livello burocratico, ho scelto l'ospedale più vicino a casa, ben presentato da chi c'è già passato prima di me” racconta circa il suo approdo a Merate. Del resto essendo di Oggiono - “abito a 100 metri da Francesco”, dice in riferimento al dottor Straniero, specializzando in questo stesso periodo in Neurologia – gioca, di fatto, in casa.
“I miei genitori sono entrambi fisioterapisti. Io ho sempre detto di voler un lavoro a contatto con la gente. Dopo il diploma al liceo delle scienze applicate ho scelto medicina perché il corpo umano – la nostra macchina perfetta – mi ha sempre affascinato. Per la specializzazione, invece, sono andato su Medicina d'emergenza urgenza perché mi piaceva l'idea del medico che, anche fuori dall'ospedale, sa come comportarsi in situazioni diverse, può dire la sua in tanti scenari. E mi piace anche l'idea di tenere vivo tanto di quello che ho studiato”. Una valutazione che avrebbe potuto farlo pendere anche per la scuola per medici di medicina generale, ma, come già accennato, è evidentemente attratto anche dal “dinamismo” tipico dei PS e ancor più del territorio, da quel “caos” che richiede sangue freddo e quella spinta a “dare una mano a 360°, qualsiasi sia il problema”.
Per ora, come previsto dalla sua Scuola – quella della Bicocca – sta turnando “in ambienti più protetti, con pazienti meno fragili”, rispetto ad un porto di mare come, appunto, il Pronto Soccorso. L'anno prossimo passerà ad un reparto di Anestesia e Rianimazione, per arrivare poi dal terzo sul campo di battaglia, dove comunque già ora, anche al Mandic, scende seguendo il medico a cui è affiancato per i consulti richiesti. “Essendo l'unico specializzando ho la possibilità di vedere tante cose diverse, ho gli strutturati “tutti per me”” spiega, elencando i vantaggi di aver scelto un presidio di dimensioni contenute come il Mandic.
“Trattandosi di un ospedale piccolo, in Cardiologia spesso finiscono pazienti che hanno anche altri problemi, ciò li rende più complessi. Dal Pronto soccorso, poi, sempre perché piccino, arrivano ai Reparti pazienti che in qualche modo vanno ancora inquadrati”. Tutti aspetti che rendono il lavoro variegato, offrendo poi la possibilità – favorita in questo caso proprio dal non operare in un ambiente dispersivo – di interfacciarsi più spesso con altri specialisti.
Concretamente, il suo lavoro si articola su cinque giornate, per 42 ore la settimana in Medicina Interna, arrivando anche a 50-52 nel trimestre passato in Cardiologia, con tre turni di base da 8 ore l'uno e due da 12.
“In Medicina nei festivi mi capita di essere per qualche ora anche da solo, potendo comunque contare a stretto giro su tutto l'appoggio dei colleghi. In quelle occasioni mi stanco molto di più perché controllo tutto dieci volte” aggiunge sorridendo, trasmettendo entusiasmo per la professione, ma anche tanto senso di responsabilità. “In università abbiamo fatto tanti esami (qualcuno anche che, a mio parere, si potrebbe anche togliere o comunque lasciare alla passione del singolo): abbiamo dunque tante conoscenze teoriche, ma poi avendo a che fare con persone e farmaci da prescrivere, soprattutto all'inizio, ho avuto qualche timore. Abbiamo sì fatto anche tanti tirocini, ma il timore deriva dal diventare poi concretamente operativi”. E meno male che c'è. Superman del resto è solo un eroe dei fumetti, giusto per tornare ai sogni di tutti i bambini.
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A.M.