Il dottor Paolo Casati in pensione dopo 32 anni al Mandic. "Lovisari il DG amico di Merate, dopo solo tagli ai servizi"
Il dottor Paolo Casati, medico chirurgo, il 12 novembre ha lasciato per l’ultima volta la corsia del reparto del San Leopoldo Mandic.A 67 anni è andato in pensione. Un’altra figura storica del presidio ospedaliero di Merate ha chiuso la carriera. Aveva lasciato per la pensione il primario Pierluigi Carzaniga, poi Mario Baragetti, Marco Confalonieri se n’è andato a Treviglio come primario di chirurgia e ora Paolo Casati.
Quanti anni ha trascorso nel presidio cittadino? Com’è stato il primo approccio con il San Leopoldo Mandic?
Sono arrivato in ospedale a Merate nel settembre del 1992 per un incarico di soli otto mesi e non avevo in programma di restare a lungo, anche perché si trattava di svolgere servizio in un Pronto Soccorso generalista nonostante io avessi partecipato nel 1991 ad un concorso di Chirurgia Generale. Ma questa anomalia, tutta meratese che è ancora in essere, mi fu chiara solo una volta sul posto.
Pochi mesi dopo sono però risultato vincitore di un concorso, presieduto dal compianto dottor Umberto Bonaldi, per Aiuto Corresponsabile di Chirurgia Generale a tempo indeterminato…un bel colpo per un 35enne appena arrivato nell’ambiente. Ho dovuto un po’ lottare, negli anni a venire, per far valere il mio diritto a lavorare in Chirurgia, ma alla fine sono riuscito a spuntarla nonostante una serie di ostacoli frapposti allora “ad hoc” dai primi dirigenti di nomina politica comparsi alla metà degli anni 90 che probabilmente avevano altri programmi. Nel frattempo il dottor Bonaldi, uomo dal carattere fiero, percepita l’aria che tirava ha preferito chiudere con onore la sua esperienza di primario. Vorrei ricordare che mentre io prendevo servizio, nel settembre del 1992, andavano via due pilastri dell’ospedale: Pippo Marraro ed Emilio Gola, rispettivamente primari di Rianimazione e Cardiologia a cui sono legato tutt’ora da profonda amicizia.
Gli anni passati in PS sono stati comunque proficui, vi era un clima positivo nonostante le difficoltà di un piccolo presidio. In concomitanza con il mio arrivo iniziava il servizio di Emergenza e Urgenza del 118 con Centrale operativa a Como. Si sono instaurati subito ottimi rapporti con l’allora responsabile Mario Landrisicina ed i suoi collaboratori tra cui Dario Colombo e Giorgio Falbo.
L’entusiasmo di quegli anni ed il contatto con il mondo dell’emergenza allora in pieno sviluppo, ci portò ad organizzare nel giugno del 1996 un convegno denominato “Merate Emergenza 2000” presso la Fiera di Osnago: due giorni di convegno con grande partecipazione di pubblico ed uno di esercitazioni con la partecipazione di nove associazioni di volontari del soccorso e l’Elisoccorso di Como. Il tutto frutto dell’impegno di un gruppo ristretto in cui figuravano, a parte il sottoscritto, Pino Bollini responsabile del PS, Cinzia Dadda, allora caposala del PS ed attuale RAD del Dipartimento delle Chirurgie e gli infermieri professionali Alessandra Sforza, ora responsabile della Centrale Soreu Alpina e Gianni Suffia.
Casati è un cognome tipicamente meratese ma lei ha vissuto a lungo a Napoli. Come mai?
Sono nato a Merate, proprio nel nostro ospedale, da una famiglia meratese ma ho vissuto qui solo pochi anni. Per motivi legati al lavoro di mio padre ci siamo trasferiti a Napoli nei primi anni 60 con l’intento, prima o poi, di tornare a Merate.
A Napoli ho vissuto quindi tutta la mia formazione scolastica compresa la laurea e le due specialità chirurgiche. Considero una fortuna essere cresciuto in una città così particolare e ricca di stimoli a cui resto legatissimo e raggiungo appena posso.
Nei fatti la mia cultura ed il mio pensiero sono un bel mix di Napoli e Brianza.
Professionalmente ho avuto la fortuna e l’onore di essere allievo e collaboratore, anche nel delicato settore del privato, del Prof. Francesco Mazzeo, cattedratico della Università Federico II di Napoli, chirurgo di fama nazionale, tra i fondatori della Chirurgia Oncologica italiana.
Ciccio Mazzeo, come veniva affettuosamente chiamato, è stato un grande maestro di professione e di vita che mi ha segnato profondamente.
L’anno precedente al mio arrivo a Merate avevo prestato servizio presso la Chirurgia d’Urgenza dell’ospedale di Aversa. Si era in piena guerra di camorra e l’attività chirurgica era incessante. È stata un’esperienza proficua ed indimenticabile per la collaborazione tra gli anziani ma esperti colleghi locali e noi giovani universitari che portavamo le innovazioni tecnologiche.
Come è stato l’arrivo in reparto al San Leopoldo Mandic?
Al mio arrivo in Chirurgia il dottor Bonaldi era da poco andato via ed il nuovo primario era il dottor Giovanni Crema (il caso vuole che Crema avesse vinto un precedente concorso proprio presieduto dal mio maestro napoletano)
L’organico era costituito da Ezio Sacchi, Giuliano Pozzi, Ezio Villa Massimo Ribera, Carlo Borsa, Mario Baragetti, Paolo Pignoli, Carla Magni ed Andrea Pisani.
Il reparto era diviso in degenza Uomini e Donne ed aveva ben 60 posti letto. Non vi era ancora la guardia attiva, le attività nelle ore notturne e nei festivi erano basate sulla reperibilità di due chirurghi, ma riuscivamo comunque a portare avanti una gran mole di lavoro sia nella elezione che nelle urgenze.
Come è cambiata la tipologia interventistica in questi anni?
A metà anni ‘90 la laparoscopia per alcuni interventi (appendicectomia, colecistectomia) era già lo standard. Con l’arrivo del dottor Pier Luigi Carzaniga, dall’inizio degli anni 2000, questa modalità è stata notevolmente incrementata portando alcuni di noi a divenire esperti di interventi laparoscopici maggiori sia in elezione che in urgenza, con numeri in termini quantitativi e qualitativi in linea con gli standard regionali e nazionali.
Questo standard è stato mantenuto, seppur tra molte difficoltà (riduzione posti letto e sedute operatorie, carenza di anestesisti, perdita di servizi etc.) fino a metà del 2019.
Negli ultimi 5 anni, complice anche l’effetto devastante di come è stata affrontata l’emergenza pandemica dalla dirigenza aziendale, questi standard non esistono più e non saranno mai recuperati.
Parlando di numeri grezzi siamo passati dai circa 1100 interventi/anno del secondo decennio di questo secolo a poco più di 600/anno attuali con un record negativo di 490 interventi nel 2021. Ma è la qualità a dover far riflettere: i dati Agenas, recentemente pubblicati e riferiti alla attività chirurgica del 2023, sono inequivocabili, contrassegnando con “bollino rosso” i principali indicatori misurati a livello regionale e nazionale per tipologia di intervento.
La politica dei direttori generali nominati dalla regione con l’esclusione delle rappresentanze politiche locali che cosa ha prodotto?
Ritengo che l’ultimo DG che abbia avuto realmente a cuore le sorti del nostro Ospedale sia stato Mauro Lovisari. I suoi successori si sono sostanzialmente attenuti ad una linea di lenta ma progressiva liquidazione delle capacità della struttura. Ricordiamo, solo, per restare in ambito chirurgico, le vicende della Chirurgia Pediatrica (Bernardi), della Chirurgia vascolare (Pignoli e Baragetti) e di quella Urologica (Dormia e successivamente Manganini)
Un fatto altrettanto negativo per il Mandic è stato senza dubbio l’accorpamento con Lecco, ma qui non basterebbe lo spazio di un’intervista…
Consiglio comunque, a quanti sono interessati a comprendere meglio la attuale crisi della sanità pubblica italiana ma soprattutto lombarda, la lettura di Codice Rosso di Milena Gabanelli e Simona Ravizza appena dato alle stampe.
Ma al di là dei dati, che fotografano freddamente l’efficienza della struttura, quello a cui guardare con preoccupazione è il progressivo sgretolamento del fattore umano. Il clima di collaborazione, di stima reciproca e di fiducia nei vertici si è andato con il tempo riducendo sempre più.
Un numero per tutti: negli ultimi 5 anni sono almeno una decina le dimissioni volontarie dalla Chirurgia di giovani colleghi/e che non hanno evidentemente trovato sufficiente motivazione per restare. Sul versante infermieristico la musica non cambia: le infermiere esperte, quelle che io ho sempre chiamato scherzosamente “la vecchia guardia”, sono state demotivate ed indotte in molti casi a chiedere il trasferimento in altri reparti nonostante la passione, le capacità ed il coinvolgimento per il loro lavoro. Il personale di più recente inserimento, in gran parte proveniente da altre regioni, cerca spesso di rientrare nei luoghi di origine non ricevendo significativi segnali che gli incentivino a restare.
Paradossalmente, nel frattempo, l’assessore al Welfare della Lombardia cerca infermieri in Sud America mentre il ministro li vorrebbe dal subcontinente indiano; nessuno, tra chi è alla guida della sanità, pensa di gratificare chi è già in servizio o ad offrire condizioni migliori a chi si forma nel nostro paese. Sono queste, tra molte altre, alcune cause che minano il sistema sanitario pubblico nelle sue fondamenta.
La realtà attuale dell’ospedale è quindi sempre più spesso caratterizzata dalla inveterata e mai risolta carenza di personale e di servizi e danneggiata dalla autoreferenzialita’ e supponenza tipica dell’effetto “Dunning-Kruger”: una particolare distorsione cognitiva nella quale individui poco esperti e poco competenti in un campo tendono a sovrastimare la propria preparazione giudicandola, a torto, superiore alla media.
Del resto quotidianamente giungono notizie, diffuse anche dal vostro network, su malfunzionamenti, difficoltà, reclami, improvvisazioni gestionali, insoddisfazione di utenti e lavoratori per questioni talvolta imbarazzanti ed impensabili solo fino ad alcuni anni fa.
Ciononostante la gran parte di chi resta fa il possibile ed anche di più e personalmente vivo un forte senso di colpa per la mia uscita di scena, ma non vi erano le condizioni di serenità per restare più a lungo.
A me rimane in dono l’ingente patrimonio immateriale costituito dalla stima reciproca e dalla amicizia con molti colleghi, con i tirocinanti di cui sono stato tutor, con gli specializzandi e con il personale tutto dell’ospedale, dalla fiducia riscossa dai pazienti e dal ricordo di una esperienza durata oltre un trentennio che mi ha dato tantissimo professionalmente ed umanamente.
Auguro con tutto il cuore, alla parte migliore dell’ospedale di Merate, di tenere duro e resistere senza perdere la propria dignità, ed auguro ai cittadini del meratese di riflettere su cosa ha portato un trentennio ininterrotto di politica sanitaria regionale a dichiarata visione privatistica.
Lei opera anche sul fronte del servizio 118. Come funziona oggi sotto un’unica Azienda l’Areu?
L’attività di Emergenza ed Urgenza, alla quale ho iniziato a partecipare dal 1999 epoca della apertura della Centrale Operativa 118 della provincia di Lecco con il dottor Guido Villa, si è notevolmente evoluta negli ultimi anni. L’attuale organismo gestionale regionale, conosciuto come AREU con le centrali operative definite SOREU, ha affidato grande peso al MSI (auto infermieristica) ed all’Elisoccorso ora abilitato anche al volo notturno. Una evoluzione necessaria, soprattutto dopo la pandemia anche per la esiguità delle risorse mediche disponibili e per la evoluzione nelle caratteristiche degli interventi. Se possibile, sarò ben felice di continuare la mia attività sulla MSA (auto medica) che negli ultimi cinque anni, dopo la chiusura di Merate, ho svolto prevalentemente nella postazione di Colico della SOREU Laghi.
Programmi e progetti ora che è in pensione?
Non ho ancora definito in dettaglio quale sarà il mio futuro professionale ma certamente metterò in essere tutte le modalità per restare a disposizione di quanti potranno aver bisogno del mio aiuto come professionista.
Quanti anni ha trascorso nel presidio cittadino? Com’è stato il primo approccio con il San Leopoldo Mandic?
Sono arrivato in ospedale a Merate nel settembre del 1992 per un incarico di soli otto mesi e non avevo in programma di restare a lungo, anche perché si trattava di svolgere servizio in un Pronto Soccorso generalista nonostante io avessi partecipato nel 1991 ad un concorso di Chirurgia Generale. Ma questa anomalia, tutta meratese che è ancora in essere, mi fu chiara solo una volta sul posto.
Pochi mesi dopo sono però risultato vincitore di un concorso, presieduto dal compianto dottor Umberto Bonaldi, per Aiuto Corresponsabile di Chirurgia Generale a tempo indeterminato…un bel colpo per un 35enne appena arrivato nell’ambiente. Ho dovuto un po’ lottare, negli anni a venire, per far valere il mio diritto a lavorare in Chirurgia, ma alla fine sono riuscito a spuntarla nonostante una serie di ostacoli frapposti allora “ad hoc” dai primi dirigenti di nomina politica comparsi alla metà degli anni 90 che probabilmente avevano altri programmi. Nel frattempo il dottor Bonaldi, uomo dal carattere fiero, percepita l’aria che tirava ha preferito chiudere con onore la sua esperienza di primario. Vorrei ricordare che mentre io prendevo servizio, nel settembre del 1992, andavano via due pilastri dell’ospedale: Pippo Marraro ed Emilio Gola, rispettivamente primari di Rianimazione e Cardiologia a cui sono legato tutt’ora da profonda amicizia.
Gli anni passati in PS sono stati comunque proficui, vi era un clima positivo nonostante le difficoltà di un piccolo presidio. In concomitanza con il mio arrivo iniziava il servizio di Emergenza e Urgenza del 118 con Centrale operativa a Como. Si sono instaurati subito ottimi rapporti con l’allora responsabile Mario Landrisicina ed i suoi collaboratori tra cui Dario Colombo e Giorgio Falbo.
L’entusiasmo di quegli anni ed il contatto con il mondo dell’emergenza allora in pieno sviluppo, ci portò ad organizzare nel giugno del 1996 un convegno denominato “Merate Emergenza 2000” presso la Fiera di Osnago: due giorni di convegno con grande partecipazione di pubblico ed uno di esercitazioni con la partecipazione di nove associazioni di volontari del soccorso e l’Elisoccorso di Como. Il tutto frutto dell’impegno di un gruppo ristretto in cui figuravano, a parte il sottoscritto, Pino Bollini responsabile del PS, Cinzia Dadda, allora caposala del PS ed attuale RAD del Dipartimento delle Chirurgie e gli infermieri professionali Alessandra Sforza, ora responsabile della Centrale Soreu Alpina e Gianni Suffia.
Casati è un cognome tipicamente meratese ma lei ha vissuto a lungo a Napoli. Come mai?
Sono nato a Merate, proprio nel nostro ospedale, da una famiglia meratese ma ho vissuto qui solo pochi anni. Per motivi legati al lavoro di mio padre ci siamo trasferiti a Napoli nei primi anni 60 con l’intento, prima o poi, di tornare a Merate.
A Napoli ho vissuto quindi tutta la mia formazione scolastica compresa la laurea e le due specialità chirurgiche. Considero una fortuna essere cresciuto in una città così particolare e ricca di stimoli a cui resto legatissimo e raggiungo appena posso.
Nei fatti la mia cultura ed il mio pensiero sono un bel mix di Napoli e Brianza.
Professionalmente ho avuto la fortuna e l’onore di essere allievo e collaboratore, anche nel delicato settore del privato, del Prof. Francesco Mazzeo, cattedratico della Università Federico II di Napoli, chirurgo di fama nazionale, tra i fondatori della Chirurgia Oncologica italiana.
Ciccio Mazzeo, come veniva affettuosamente chiamato, è stato un grande maestro di professione e di vita che mi ha segnato profondamente.
L’anno precedente al mio arrivo a Merate avevo prestato servizio presso la Chirurgia d’Urgenza dell’ospedale di Aversa. Si era in piena guerra di camorra e l’attività chirurgica era incessante. È stata un’esperienza proficua ed indimenticabile per la collaborazione tra gli anziani ma esperti colleghi locali e noi giovani universitari che portavamo le innovazioni tecnologiche.
Come è stato l’arrivo in reparto al San Leopoldo Mandic?
Al mio arrivo in Chirurgia il dottor Bonaldi era da poco andato via ed il nuovo primario era il dottor Giovanni Crema (il caso vuole che Crema avesse vinto un precedente concorso proprio presieduto dal mio maestro napoletano)
L’organico era costituito da Ezio Sacchi, Giuliano Pozzi, Ezio Villa Massimo Ribera, Carlo Borsa, Mario Baragetti, Paolo Pignoli, Carla Magni ed Andrea Pisani.
Il reparto era diviso in degenza Uomini e Donne ed aveva ben 60 posti letto. Non vi era ancora la guardia attiva, le attività nelle ore notturne e nei festivi erano basate sulla reperibilità di due chirurghi, ma riuscivamo comunque a portare avanti una gran mole di lavoro sia nella elezione che nelle urgenze.
Come è cambiata la tipologia interventistica in questi anni?
A metà anni ‘90 la laparoscopia per alcuni interventi (appendicectomia, colecistectomia) era già lo standard. Con l’arrivo del dottor Pier Luigi Carzaniga, dall’inizio degli anni 2000, questa modalità è stata notevolmente incrementata portando alcuni di noi a divenire esperti di interventi laparoscopici maggiori sia in elezione che in urgenza, con numeri in termini quantitativi e qualitativi in linea con gli standard regionali e nazionali.
Questo standard è stato mantenuto, seppur tra molte difficoltà (riduzione posti letto e sedute operatorie, carenza di anestesisti, perdita di servizi etc.) fino a metà del 2019.
Negli ultimi 5 anni, complice anche l’effetto devastante di come è stata affrontata l’emergenza pandemica dalla dirigenza aziendale, questi standard non esistono più e non saranno mai recuperati.
Parlando di numeri grezzi siamo passati dai circa 1100 interventi/anno del secondo decennio di questo secolo a poco più di 600/anno attuali con un record negativo di 490 interventi nel 2021. Ma è la qualità a dover far riflettere: i dati Agenas, recentemente pubblicati e riferiti alla attività chirurgica del 2023, sono inequivocabili, contrassegnando con “bollino rosso” i principali indicatori misurati a livello regionale e nazionale per tipologia di intervento.
La politica dei direttori generali nominati dalla regione con l’esclusione delle rappresentanze politiche locali che cosa ha prodotto?
Ritengo che l’ultimo DG che abbia avuto realmente a cuore le sorti del nostro Ospedale sia stato Mauro Lovisari. I suoi successori si sono sostanzialmente attenuti ad una linea di lenta ma progressiva liquidazione delle capacità della struttura. Ricordiamo, solo, per restare in ambito chirurgico, le vicende della Chirurgia Pediatrica (Bernardi), della Chirurgia vascolare (Pignoli e Baragetti) e di quella Urologica (Dormia e successivamente Manganini)
Un fatto altrettanto negativo per il Mandic è stato senza dubbio l’accorpamento con Lecco, ma qui non basterebbe lo spazio di un’intervista…
Consiglio comunque, a quanti sono interessati a comprendere meglio la attuale crisi della sanità pubblica italiana ma soprattutto lombarda, la lettura di Codice Rosso di Milena Gabanelli e Simona Ravizza appena dato alle stampe.
Ma al di là dei dati, che fotografano freddamente l’efficienza della struttura, quello a cui guardare con preoccupazione è il progressivo sgretolamento del fattore umano. Il clima di collaborazione, di stima reciproca e di fiducia nei vertici si è andato con il tempo riducendo sempre più.
Un numero per tutti: negli ultimi 5 anni sono almeno una decina le dimissioni volontarie dalla Chirurgia di giovani colleghi/e che non hanno evidentemente trovato sufficiente motivazione per restare. Sul versante infermieristico la musica non cambia: le infermiere esperte, quelle che io ho sempre chiamato scherzosamente “la vecchia guardia”, sono state demotivate ed indotte in molti casi a chiedere il trasferimento in altri reparti nonostante la passione, le capacità ed il coinvolgimento per il loro lavoro. Il personale di più recente inserimento, in gran parte proveniente da altre regioni, cerca spesso di rientrare nei luoghi di origine non ricevendo significativi segnali che gli incentivino a restare.
Paradossalmente, nel frattempo, l’assessore al Welfare della Lombardia cerca infermieri in Sud America mentre il ministro li vorrebbe dal subcontinente indiano; nessuno, tra chi è alla guida della sanità, pensa di gratificare chi è già in servizio o ad offrire condizioni migliori a chi si forma nel nostro paese. Sono queste, tra molte altre, alcune cause che minano il sistema sanitario pubblico nelle sue fondamenta.
La realtà attuale dell’ospedale è quindi sempre più spesso caratterizzata dalla inveterata e mai risolta carenza di personale e di servizi e danneggiata dalla autoreferenzialita’ e supponenza tipica dell’effetto “Dunning-Kruger”: una particolare distorsione cognitiva nella quale individui poco esperti e poco competenti in un campo tendono a sovrastimare la propria preparazione giudicandola, a torto, superiore alla media.
Del resto quotidianamente giungono notizie, diffuse anche dal vostro network, su malfunzionamenti, difficoltà, reclami, improvvisazioni gestionali, insoddisfazione di utenti e lavoratori per questioni talvolta imbarazzanti ed impensabili solo fino ad alcuni anni fa.
Ciononostante la gran parte di chi resta fa il possibile ed anche di più e personalmente vivo un forte senso di colpa per la mia uscita di scena, ma non vi erano le condizioni di serenità per restare più a lungo.
A me rimane in dono l’ingente patrimonio immateriale costituito dalla stima reciproca e dalla amicizia con molti colleghi, con i tirocinanti di cui sono stato tutor, con gli specializzandi e con il personale tutto dell’ospedale, dalla fiducia riscossa dai pazienti e dal ricordo di una esperienza durata oltre un trentennio che mi ha dato tantissimo professionalmente ed umanamente.
Auguro con tutto il cuore, alla parte migliore dell’ospedale di Merate, di tenere duro e resistere senza perdere la propria dignità, ed auguro ai cittadini del meratese di riflettere su cosa ha portato un trentennio ininterrotto di politica sanitaria regionale a dichiarata visione privatistica.
Lei opera anche sul fronte del servizio 118. Come funziona oggi sotto un’unica Azienda l’Areu?
L’attività di Emergenza ed Urgenza, alla quale ho iniziato a partecipare dal 1999 epoca della apertura della Centrale Operativa 118 della provincia di Lecco con il dottor Guido Villa, si è notevolmente evoluta negli ultimi anni. L’attuale organismo gestionale regionale, conosciuto come AREU con le centrali operative definite SOREU, ha affidato grande peso al MSI (auto infermieristica) ed all’Elisoccorso ora abilitato anche al volo notturno. Una evoluzione necessaria, soprattutto dopo la pandemia anche per la esiguità delle risorse mediche disponibili e per la evoluzione nelle caratteristiche degli interventi. Se possibile, sarò ben felice di continuare la mia attività sulla MSA (auto medica) che negli ultimi cinque anni, dopo la chiusura di Merate, ho svolto prevalentemente nella postazione di Colico della SOREU Laghi.
Programmi e progetti ora che è in pensione?
Non ho ancora definito in dettaglio quale sarà il mio futuro professionale ma certamente metterò in essere tutte le modalità per restare a disposizione di quanti potranno aver bisogno del mio aiuto come professionista.
Claudio Brambilla