La Valletta: la commozione di Massimo Bubola dalle canzoni scritte per De André al romanzo

Un libro scritto come gesto di riconoscenza per quei soldati morti in trincea durante la Grande Guerra. Paroliere raffinato - compare tra gli autori di molte canzoni di Fabrizio De André - Massimo Bubola ha raccolto in una prosa lirica i racconti dei suoi nonni e zii e compartecipato al lutto civile di una nazione, restituendo la vita a volti senza nome.

È stato l'autore veneto a presentare la sua "Ballata senza nome", questo il titolo del romanzo, presso il Teatro Don Gaspare Cattaneo di via Barzaghi. In continuità con un progetto cominciato nel 2014 e che si concluderà nel 2018 sulla memoria della prima guerra mondiale, l'Unione dei Comuni della Valletta ha così ospitato la rassegna Leggermente promossa da Assocultura - Confcommercio Lecco. Il tema della guerra è un filo rosso per Bubola. La sua prima canzone scritta è stata "Andrea", che affronta l'amore omosessuale di un soldato al fronte.

Massimo Bubola

«I racconti di guerra mi hanno sempre coinvolto - ha premesso lo scrittore - Quando ero piccolo al termine della festa della trebbiatura gli adulti erano soliti intonare i canti della Grande Guerra. Per me era un momento magico». Sono canzoni che fanno parte di un'identità profonda e che Bubola negli anni passati ha ripreso con degli arrangiamenti fedeli all'originale. «Arrivati a quel punto, mio nonno si allontanava dagli altri e andava in stalla per non farsi vedere mentre piangeva - ha raccontato Massimo Bubola - Capii che le canzoni avevano una forza enorme, capace di far piangere mio nonno, un uomo di quella stazza».

Il pretesto narrativo del romanzo trae spunto da una vicenda realmente accaduta, antefatto della sepoltura del Milite Ignoto al Vittoriano a Roma. Il 28 ottobre 1921 nella Basilica di Aquileia a una donna del popolo di nome Maria, che aveva perso suo figlio, venne chiesto di scegliere uno tra undici corpi di caduti in guerra. Undici anonimi privi di segni distintivi. Il prescelto avrebbe attraversato l'Italia fino a Roma per essere seppellito all'Altare della Patria. Un viaggio che catalizzò gli italiani. 8 milioni e mezzo di persone si strinsero attorno al feretro. «È un Paese che si è unito su questa grande ecatombe. L'unità che ci fu in quel momento non ci fu in nessun'altra manifestazione in Italia» ha sostenuto l'autore.

L'operazione inventiva di Bubola è stata quella di restituire la parola a quei giovani soldati. La donna, sfilando tra gli undici feretri, avverte i pensieri, i racconti di vita e degli istanti che precedettero la morte di quei corpi senza nome. «Li ho risarciti di un'identità - ha dichiarato lo scrittore - Solo la poesia poteva farlo, perché per sua natura è la sola a potersi concedere dei salti logici, temporali e spaziali». L'autore empatizza con la donna, la quale a sua volta prova pietà nei confronti di quei figli acquisiti. E la commozione Bubola a tratti non è riuscito a nasconderla nemmeno sabato sera, nel rileggere le sue righe. Un riverbero di emozioni che pare scorra nel sangue ereditato dai suoi avi, un riflesso dei turbamenti affrontati in forma privata da suo nonno in una fredda e desolata stalla veneta.
M.P.
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