Airuno: l'incontro tra Nedo Fiano, sopravvissuto di Auschwitz, e gli studenti. ''Sono le nostre scelte a determinare la storia''

Nedo Fiano
“Nedo, Nedo abbracciami! Non ci vedremo mai più”. La madre che gli cinge per l’ultima volta le braccia al collo prima di venire separata da lui ed essere inghiottita dalla follia nazista del campo di concentramento di Auschwitz. Per lei il forno crematorio rappresenterà la fine. Per lui, invece, uno di questi “fantasmi” che da 66 anni gli si rincorrono nella mente, un “fantasma” che non vuole scacciare anzi, con forza e tenacia, cerca di esternare nonostante “tutto quello che è accaduto a Auschwitz è talmente disumano da diventare difficile tradurlo nelle parole di tutti i giorni”. Nedo Fiano era poco più grande dei bambini e dei ragazzi che hanno riempito il cineteatro Smeraldo di Airuno per ascoltarlo, quanto la sua vita subì un repentino cambiamento per via dell’emanazione delle leggi razziali da parte del governo italiano. Era l’11 novembre 1938 quando il Corriere della Sera titolava “Le leggi per la difesa della razza approvate dal consiglio dei ministri”. E ieri, sabato 19 marzo 2011, giunto appositamente in Brianza, Fiano ha ripercorso la sua storia dinanzi agli alunni dell’istituto comprensivo di Brivio e Airuno. In prima fila, insieme alle autorità, sua moglie che sempre lo accompagna e si commuove con lui nel riascoltare quanto è stato, quanto quell’uomo dalla voce forte e rassicurante ha patito sulla propria pelle. Essere ebreo, questa l’unica “colpa” del signor Fiano, una “colpa” pagata con l’annientamento dell’intera famiglia. Ad Auschwitz ha infatti perso il padre, la madre, un fratello con la cognata e il loro piccolo di appena 18 mesi, la nonna, gli zii e due cugini. Ad Auschwitz ha perso la dignità, andata in fumo insieme ai corpi dei “non-ariani”. Perché “ad Auschwitz tutto brucia. La Vistola e il suo affluente tutti i giorni “divorano” persone. I pesci si mangiano le ceneri degli ebrei. I pesci vengono mangiati dai militari e dai borghesi che forse sapevano che così si mangiavano gli ebrei”.

Il vicesindaco di Brivio Ugo Panzeri con il signor Fiano

Alterna grande decisione e attimi di commozione Nedo Fiano durante il suo racconto. È tutto un’altalena tra la sua storia personale, quella di sua madre e frasi appuntate sul quel blocco dai fogli gialli che sfoglia per farsi forza. “Se non si ricorda non si ha un passato e non si potrà avere un futuro” legge. E poi: “I morti non tornano in vita. Sta a noi l’onore di trasportare il peso dei ricordi”, “La storia non è un fatto oggettivo: è il prodotto del nostro essere, siamo noi a determinarla”. Cita anche Socrate: “Solo chi è stato schiavo può capire cos’è la libertà” e Bobbio: “Al momento in cui li richiami alla mente, li fai rivivere almeno per un attimo così non saranno scomparsi nel nulla”. Ad Airuno, dunque, Nedo Fiano ha ridonato vita, per due intense ore, ai 60 milioni di europei, tra combattenti e vittime della Shoah, uccisi durante la seconda guerra mondiale. Ed in modo particolare, a sua madre, una signora dagli occhi verdi, le mani piccole, lo sguardo sereno e lunghi capelli neri che iniziarono a diventare bianchi non appena vennero pubblicate le leggi razziali. “Dopo più di trent’anni che si serviva nello stesso negoziante un giorno si sentì dire <<Signora Fiano non possiamo più servirla, deve andare in un altro negozio>> e scendendo le scale, al posto di salutare come sempre, tutti iniziarono a guardare da un’altra parte. Io, al tempo, ero come voi. Sorridevo, pensavo, ridevo per le cose più incredibili perché il sorriso è il dono più bello di quella fase della vita. Avevo 13 anni, non capivo, credevo  nella vita, nei genitori, nel futuro”. La Firenze che fino ad allora era la “loro” città, inizia però a metterli all’angolo. “Il giorno in cui la maestra disse che dall’indomani noi ebrei non eravamo più ammessi mi sarei aspettato un abbraccio o una pacca sulle spalle da Palombi, il mio compagno di banco che invece non mi guardò nemmeno”.

Prima da destra la moglie del signor Fiano, al suo fianco la dirigente scolastica Anna Maria Marzorati,
il sindaco di Brivio Stefano Motta e il consigliere con delega all'istruzione Emanuela Casati.
Presenti in sala anche il primo cittadino di Airuno e il suo vice.

Ma il peggio doveva ancora venire. La polizia che irrompe in casa, arresta la madre e poi la famiglia intera. Una settimana su un carro merci diretto verso chissà quale destinazione. La frenata improvvisa con il vagone che sembra schiacciarsi. L’arrivo ad Auschwitz con il reticolato illuminato da una fila infinita di lampadine e la ciminiera che fa pensare di essere arrivati in una fabbrica. L’odore dei cadaveri bruciati 24 ore su 24, i latrati dei cani, le urla delle SS, l’ultimo abbraccio della madre che, con incredibile lucidità, era riuscita a capire che non avrebbe più rivisto il suo “ricciolino”. Le donne da una parte, gli uomini dall’altra. Chi idoneo al lavoro salvo, almeno per il momento. I “deboli” al forno: “li costringevano a spogliarsi, li facevano tornare allo stato animale con padri costretti nudi di fronte alle figlie, le nonne ai nipoti… Gli dicevano di riporre gli abiti sugli attaccapanni ai lati della stanza, che li avrebbero recuperati dopo la doccia. Una bugia. Li lasciavano poi in attesa anche una o due ore. Poi l’ingresso nella stanza con le docce. Le luci si spegnevano. I bambini urlavano. In 5 minuti erano morti”.

Un racconto da brividi e i brividi, lo stesso Fiano, ammette di provarne ancora, dopo 68 anni dal suo ingresso nel campo, ogni volta che ne parla. Aperte le porte delle camere a gas “entravano i gruppi creati apposta per occuparsi dei forni. C’era chi toglieva i denti d’oro dai cadaveri. Chi si occupava delle ispezioni anali e vaginali per controllare se qualcuno avesse nascosto gioielli o valori. Chi tagliava i capelli. Pensate che, liberato il campo, sono stati trovati 7.700 tonnellate di capelli umani”. Una cifra spaventosa, soprattutto se si considera che è un dato relativo così come quello riguardante alle scarpe rinvenute:  44mila paia. Da quella fabbrica di morte, Nedo Fiano è riuscito però a uscire vivo, l’unico della sua famiglia. “Appena arrivati io e papà fummo giudicati abili per il lavoro nel campo. Nella nostra baracca un ufficiale ci ha guardato come vermi poi, in tedesco, ha detto che servivano dei traduttori. Si sono fatti avanti tre berlinesi. Sono stati presi a calci negli stinchi e sono tornati al loro posto piangendo. Io sapevo il tedesco. Me lo aveva insegnato mio nonno ma non volevo sottopormi a quell’”esame”. Ho sentito però una mano che mi ha spinto avanti. Una mano che non c’era, non esisteva. Sono quasi finito addosso all’ufficiale”.

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Così, dopo aver detto di essere italiano, di essere di Firenze, si è sentito dire una frase forse assurda “Oh caro amico!” e fu così che venne arruolato nel corpo degli internati addetti al ricevimento dei nuovi prigionieri. Col volgere al termine della guerra, poi, “fummo evacuati da Auschwitz. I tedeschi erano preoccupati che potessimo finire nelle mani degli Alleati e iniziassimo a parlare. Da Auschwitz i pochi rimasti vivi vennero portati ovunque in Germania”. Fiano arrivò prima a Danzica poi a Buchenwald e venne così liberato dagli americani. Ai ragazzi e ai genitori presenti a Airuno racconta di come si commosse quando si risvegliò avvolto dalle lenzuola bianche dell’ospedale dove gli venne curata l’infezione contratta a una gamba “Era da un anno e mezzo che non avevo questo “privilegio”. Quello fu il primo contatto la vita, come quando si prende un tram in corsa”.

“La testimonianza di Nedo Fiano deve incidere i vostri cuori” ha detto alla platea il vicesindaco di Brivio Ugo Panzeri, presentatore della mattinata. “Ragazzi ricordatevi di questo giorno” ha affermato, invece, la dirigente scolastica Anna Maria Marzorati “Con il signor Fiano avete toccato la storia” quella storia che va conosciuta così come con convinzione sostenuto ripetutamente da colui che per quasi due anni della sua vita è stato semplicemente la matricola A5405: “A scuola leggete Pinocchio, il racconto spiega cosa accade ai ragazzi che non studiano. Lo stessa cosa accade a un popolo che non ricorda. Rispetto a quel tempo andato, il futuro c’è, il futuro è oggi, il futuro del domani è nelle nostre mani, spero che noi non staremo a sedere. Non ci sono persone “buone” o “cattive”: sono le scelte compiute a determinare la storia”. Un monito, quello lanciato da Nedo Fiano ai giovani studenti airunesi e briviesi, che ben ricalca le parole di Primo Levi scandite nella sala prima dei saluti finali:

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi


Nedo Fiano (Firenze, 22 aprile 1925) è uno scrittore italiano sopravvissuto alla deportazione nazista nel campo di concentramento di Auschwitz. È uno dei più attivi testimoni contemporanei dell'esperienza dell'Olocausto nazista.Dopo la promulgazione delle leggi razziali fasciste nel 1938, Fiano dovette abbandonare la scuola a 13 anni perché di religione ebraica. Proseguì gli studi presso una piccola scuola organizzata autonomamente all'interno della comunità ebraica fiorentina. Il 6 febbraio 1944 venne arrestato dalla polizia fascista e rinchiuso nel carcere di Firenze; successivamente fu trasferito al campo di transito di Fossoli insieme con altri undici membri della sua famiglia. L'11 maggio 1944 venne deportato, insieme con tutti i suoi familiari arrestati, presso il campo di concentramento di Auschwitz e lì vi arrivò il 23 maggio. La sua matricola di prigioniero era: A5405. L'11 aprile 1945 venne liberato dalle forze americane nel campo di concentramento di Buchenwald, dove era stato trasferito dai nazisti in fuga. Nedo Fiano fu l'unico superstite della sua famiglia. Ritornato in libertà, Fiano si è laureato presso l'Università Bocconi di Milano ed ha intrapreso la carriera di manager; nel 1985 ha fondato uno studio di consulenza aziendale. Ma la sua vita dopo la libertà è stata sempre incentrata su una intensa attività di testimonianza e memoria dell'Olocausto. Nel 2003 ha pubblicato il libro A 5405. Il coraggio di vivere, nel quale ha raccontato la sua esperienza di deportato. È quotidianamente impegnato in attività di testimonianza attraverso conferenze ed incontri, in particolare con gli studenti. È stato uno dei consulenti di Roberto Benigni nel film La vita è bella; è apparso in numerosi programmi televisivi di divulgazione ed ha preso parte a molti documentari, tra i quali Volevo solo vivere di Mimmo Calopresti, Un treno per Auschwitz di Bruno Capuana, Un giorno qualunque di Hendrick Wijmans. Il 7 dicembre 2008 ha ricevuto l'Ambrogino d'oro, conferitogli dal Comune di Milano. Il 22 maggio 2010 a Pontremoli ha ricevuto il Premio Bancarellino, per il libro "Il passato ritorna" (Editrice Monti).

http://it.wikipedia.org/wiki/Nedo_Fiano
Alice Mandelli
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