La Merate che non c’è più/3: la falegnameria Milani dove si realizzavano a mano armadi, casse da morto e porte ''solenni''

I locali in Via Cerri dove si trovava la falegnameria Milani

La falegnameria Milani riconduce la proprie origini all'inizio del Novecento. E' sempre stata di proprietà della stessa famiglia e si è tramandata per due intere generazioni. L'ultimo artigiano del legno è stato il signor Milani Mario, che aveva acquisito il mestiere del padre, e lo aveva portato avanti con passione, fatica e dedizione. La bottega (dove non si vendeva ma si "faceva") era sita originariamente in Via Cerri 6 e si trasferì poi, intorno al 1955, in Via Luisa di Marillac 3. L'attività chiuse definitivamente i battenti nel 1976 a causa dell'improvvisa morte del Milani. Vari e diversi erano i servizi offerti dal falegname che, all'occorrenza, si improvvisava fabbro, vetraio,... Si passava dai piccoli lavori di manutenzione e riparazione (la serratura da aprire, il vetro di una finestra da sostituire,...) alla costruzione e progettazione di mobilia, armadi, tavoli. La bravura e la professionalità del Milani si esprimevano anche nell'attività di ebanista: il figlio, Angelo, ricorda il restauro fatto dal padre a una statua lignea della chiesa di Torba, cui si era staccata una mano. Il falegname era dunque propriamente un artista, un appassionato e un amante del legno che dal nulla, da un "pezzo" di legno era in grado di far nascere un'opera d'arte.

Il falegname era un po' l'uomo di fiducia, che andava per le case dei clienti per lavori banali e di ordinaria manutenzione e che li accompagnava anche fino...alla fine. Il Milani, infatti, offriva il servizio che oggi viene svolto dalle pompe funebri. Era un onore per il Milani fare questo servizio che comprendeva, oltre alla costruzione della cassa da morto, anche la vestizione del defunto. Il ricorso ad un altro falegname avrebbe significato la rottura del rapporto di amicizia. Si instaurava, così, un rapporto strettissimo fra l'artigiano e il cliente, una relazione che andava al di là del vincolo economico e di affari: si poteva commissionare un tavolo a un concorrente, ma non la cassa da morto!  La bottega risultava essere così una sorta di luogo di aggregazione, dove il cliente veniva, a volte, solo per chiacchierare, per apprendere le notizie o i fatti del giorno. Il negozio, sito in Via Cerri, era costituito da un ampio stanzone che si prolungava sul retro, andando a formare una sorta di magazzino che, dato il dislivello, era praticamente scavato nel terreno. Vi era un altro locale, il cui accesso era vietato alla clientela, e che fungeva da ripostiglio. Qui veniva preparata la colla di pesce che serviva per incollare le varie finiture della mobilia piuttosto che di una sedia. Questo collante era acquistato in barrette semitrasparenti che venivano fatte bollire a "bagnomaria" sul camino (che rimaneva sempre acceso). Una volta sciolte, vi si aggiungeva dell'acqua per mantenerne la densità.

Numerosi erano i ferri del mestiere:

•le pialle, di diversa misura, per appianare assi e tavolati. Quelle molto lunghe servivano per mantenere l'asse diritto; quelle curve erano utilizzate per i legni tondeggianti; altre servivano per incavare o per fare buchi;

•la sega o i cosiddetti "reseghini" che servivano sia per ridurre un asse sia per andare a tagliare  un legno che era stretto fra due barre metalliche;

•uno strumento apposito, tipico  del vetraio, che serviva per tagliare il vetro e che era costituto, in punta, da un diamante;

•la mola, prima a mano e in seguito dotata di un motore elettrico, per arrotare i ferri. Sopra di essa era appeso un barattolo bucato da cui colava acqua che andava a finire sulla lima;

•dagli anni Cinquanta il Milani introdusse macchine elettriche per i taglio del legno.

Il falegname, contrariamente a quanto si possa pensare, non lucidava il legno, ma chiamava il "lustron" (il lucidatore) che arrivava alla bottega, o a casa del cliente, e applicava sul mobile un intruglio apposito chiamato "picio pacio". Il Milani cercava, quindi, di accontentare i suoi clienti in ogni modo ed era un punto di riferimento, per alcuni articoli, anche per i paesi del circondario. Su un grosso registro venivano annotate le commesse, con il nome del cliente e il tipo di lavoro richiesto. Nulla andava sprecato e sull'enorme tavolo della bottega si accumulavano i ritagli che si cercava di recuperare. Per il legno il Milani si riforniva presso il magazzino Beretta di Cernusco, mentre per il vetro si rivolgeva a Verderio. In entrambi i casi, la merce veniva poi trasportata alla bottega in bicicletta, con enorme fatica e a dispetto di qualunque norma di sicurezza.

D'estate si avvaleva dell'aiuto di un garzone che, figlio di qualche cliente o amico, trascorreva le vacanze scolastiche lavorando e guadagnando qualche spicciolo. Esisteva una sorta di codice deontologico e di rito sacro che obbligava l'artigiano a non bere mai durante l'orario di lavoro e nemmeno a concedersi la "pausa caffè". La bottega apriva intorno alle 8 e chiudeva la sera verso le 20, con un'ora di riposo per il pranzo. Il lavoro, però, continuava anche la notte, quando c'erano scadenze da rispettare e consegne imminenti da effettuare. La bottega, che non era riscaldata, comportava così fatica e sacrifici enormi per l'artigiano, il cui lavoro era esclusivamente manuale.

Alcune delle realizzazioni del vecchio Milani

La professionalità e la competenza del Milani si esprimevano nella sua riconosciuta capacità di progettazione: uno schizzo veloce su un pezzo di legno (la carta era praticamente sconosciuta, in questo mestiere) era sufficiente per far nascere, in poco tempo, un mobile. Il Milani forniva il suo apporto per la realizzazione delle "porte" che venivano poste all'ingresso del paese in occasioni delle feste o delle ricorrenze importanti (ordinazione di un prete, visita di un'autorità,...): costruite in legno e intarsiate, erano poi ricoperte di foglie e addobbi. Il signor Angelo ricorda che nella bottega del padre erano appesi un cartello con la scritta "Qui non si fa politica, qui si lavora" e due foto con Cesare Battisti impiccato e il boia a fianco, e un 'altra che lo ritrae, prigioniero, assieme a Fabio Filzi. Il ricordo dell'attività del signor Mario, si concretizza in un gesto rituale, rimasto impresso nella memoria del figlio Angelo: "Davanti alla bottega vi era un gradino che si metteva e si toglieva. Per me, chiudere e aprire il negozio, era mettere e togliere questo predellino".

3/continua


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Saba Viscardi
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