La Merate che non c’è più/1: a 13 anni dal primo viaggio alla scoperta di osterie e alberghi Mol riprende il cammino storico

Sono passati quasi tredici anni da quando questo giornale dedicò un ricco dossier alle storie della vecchia Merate, raccontate attraverso la vita che scorreva di giorno e di sera nei bar del paese, osterie, scantinati, trattorie, taverne, nelle quali accanto al buon vino quasi sempre c'era pronto anche un piatto di trippa fumante o di cassoela.

  • Alla ricerca di osterie e vecchi racconti della Merate che non c'è più (clicca qui)

La Merate del dopoguerra è stata tutta un fiorire di piccole iniziative artigianali e commerciali di cui oggi restano malinconiche serrande chiuse o occupate da agenzie bancarie e immobiliari (peraltro in crisi le une e le altre). Le botteghe aprivano lungo l'asse che da piazza Italia porta all'ospedale attraversando le piazze Eroi, Prinetti e della Vittoria. Nell'angusta Via Roma, poche decine di metri in salita c'erano la merceria, il biciaio, il falegname, il lattaio, la salumeria, il parrucchiere, il fruttivendolo, l'arrotino. E' sopravvissuto nel tempo solo il salumiere-macellaio. Tutti gli altri hanno chiuso. Restano i ricordi e qualche foto in bianco e nero ingiallita dal tempo. Oggi che è scoppiata la moda del "come eravamo", resa popolare dalla rapidità di diffusione via internet di idee e iniziative, riproponiamo quel lontano viaggio accanto a un nuovo "ritorno al passato" alla scoperta di negozi e botteghe ormai chiuse da decenni. Ai lettori come ormai è tradizione di merateonline, l'invito a dare il proprio contributo di ricordi e immagini per costruire tutti assieme la Merate del secolo scorso.


1/ La "Tintoria Milanese" della famiglia Piazza

Le origini della "Tintoria milanese" risalgono ai primi decenni del Novecento. Il proprietario, Domenico Piazza, tintore a Milano, era arrivato a Merate intorno al 1920 e qui aveva continuato l'attività nei locali di Via Sant'Ambrogio (oggi occupati dal "Carillon pub"). Nonostante a prima vista il mestiere possa sembrare di quelli "leggeri" (a differenza magari del panettiere piuttosto che del contadino), il tintore non era certo un lavoro privo di fatiche e sacrifici. Orari, luogo di lavoro e  un'attività che si svolgeva prevalentemente a contatto con l'acqua hanno lasciato nella salute degli eredi non pochi strascichi e conseguenze (dolori reumatici, problemi alle articolazioni e alla schiena,...).

Lo stabile di Via Cerri

Non esistevano praticamente orari: dalle 7.30 alle 20.30 il negozio rimaneva aperto al pubblico ininterrottamente, senza giorno di riposo a parte la domenica pomeriggio, mentre il lavoro personale del tintore si svolgeva anche di notte. Il Piazza era solito affermare che "il mestiere del tintore è il mestiere del cinese". A Domenico Piazza, subentrano nella conduzione dell'attività i figli Pietro e Giulia e dal dicembre 1957 il negozio si sposta in Via Cerri al numero 14 bis. Dal 1984 fino alla chiusura definitiva (al compimento dei settant'anni di attività!) avvenuta nel 1990, l 'attività è rimasta nelle mani dei nipoti del primo titolare: Piazza Lucio e Ivana. Fino agli anni Cinquanta l'attività era concentrata esclusivamente sul tinteggio dei tessuti.


Dopo la guerra, infatti, la mancanza di soldi, la povertà e il problema della ricostruzione angustiavano gli animi delle famiglie e la paura dell'indigenza costringeva tutti a "fare economia" e a non sprecare nulla. Le stoffe militari e i cappotti dei reduci di guerra erano perciò merce da non buttare al macero e da cui poter ricavare altri abiti da destinare ad uso quotidiano e civile. La "Tintoria milanese" era perciò un punto di riferimento fondamentale per i meratesi che, dopo aver scucito gli abiti militari, li portavano al Piazza per un tinteggio.

Questo processo di tinteggio avveniva, quando il negozio si trovava ancora in Via Sant'Ambrogio,  in grosse caldaie di rame dove l'acqua veniva fatta bollire sul fuoco, fino a portarla a una temperatura che permettesse di sciogliere i colori. A questo punto con l'aiuto di una scala a colori fornita dalla ditta ARCA (Milano) si cercava di indovinare la gradazione giusta e, immergendo un campione di tessuto nell'acqua, si determinava se il colore fosse sufficientemente vicino a quello desiderato o se fosse necessario aggiungervi dell'altra polvere colorata. Dopo la prima fase di tinteggio, il capo veniva sciacquato e poi centrifugato e, infine, appeso in una camera al buio affinché la luce non ne alterasse il colore. Il tempo dell'asciugatura richiedeva all'incirca una settimana. Come si può dunque evincere dalla descrizione, fornita dalla moglie di Pietro Piazza, il tinteggio di un capo era un processo abbastanza lungo, tenendo conto del fatto che, data la tempistica e i costi, si utilizzava un solo colore al giorno.


Con il trasferimento dell'attività in Via Cerri, strumenti e tecniche si sono notevolmente affinati e le tempistiche si sono così ridotte. Il tinteggio avveniva ora in una enorme caldaia in acciaio riscaldata a vapore che, una volta raggiunte le 20 atmosfere, spingeva il calore in una vasca sovrastante "bucherellata", ove venivano inseriti, in un apposito scompartimento, i colori. Da uno sportello sulla vasca usciva poi l'acqua colorata da utilizzare per il tinteggio. Il mestiere del tintore era una vera e propria arte che richiedeva esperienza e conoscenza dei tessuti. Per questo motivo, Iride Piazza, sorella di Pietro e Giulia, era andata ad imparare i trucchi della stiratura e del tinteggio presso la Tintoria Gozzoli di Milano e li aveva poi trasmessi ai due fratelli. Su stufe rotonde in ghisa, venivano appoggiati i ferri da stiro che, grazie alla temperatura elevatissima (la stufa era addirittura incandescente) raggiunta sia in estate che in inverno dalla ghisa, venivano poi utilizzati per stirare i capi.

Da notare la pesantezza dei ferri da stiro che causavano forti dolori e problemi alle braccia e la difficoltà dell'uso dovuta al fatto che, data la conducibilità al calore tipica del ferro, richiedeva un panno per non scottarsi le mani. Con l'avvento del lavaggio a secco, dalla metà degli anni Cinquanta, aumenta notevolmente la mole di lavoro per la "Tintoria milanese". Dal 1965 si decide di eliminare definitivamente l'attività di tinteggio per mantenere solamente il lavaggio a  secco, molto in voga in quegli anni. Nello stesso anno viene dunque acquistata una apposita macchina per il lavaggio, una Maestrelli, e negli anni Ottanta una Ritmo, per la stiratura delle giacche e dei cappotti. Dato l'aumento del lavoro nei primi anni Settanta vengono assunti due dipendenti. La professionalità e la cura della famiglia Piazza si ritrovano  in alcuni accorgimenti e finezze quali l'utilizzo di solventi delicati, come il Valclene, e la copertura dei bottoni in pelle con la carta stagnola per evitarne il deterioramento durante il lavaggio. Questi accorgimenti sono valsi alla famiglia Piazza numerosi riconoscimenti dall'associaizone artigiani. Una medaglia nel 1978 dalla Fral Pulitintorie in occasione di un convegno regionale e una in occasione del trentesimo anniversario (1945/1975) conferitagli dalla Confederazione generale italiana dell'artigianato di Lecco e circondario.

Naturalmente se qualcuno avesse materiale per aiutarci a "ricostruire" la mappa dei vecchi negozi di Merate, può mandare una mail con le informazioni o le foto a redazione@merateonline.it

1/continua
Saba Viscardi
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