Valgreghentino: cadde in un silos e morì per le esalazioni, a processo i titolari dell'azienda

E' entrato quest'oggi nel vivo, con l'audizione dei testi della pubblica accusa e l'esame dei due imputati, il procedimento penale per omicidio colposo (art.589), apertosi lo scorso 4 novembre, generato dall'incidente sul lavoro verificatosi il 30 maggio 2006 sul piazzale di pertinenza della "Fratelli Ripamonti", azienda con sede a Valgreghentino specializzata in elettrozincature, costato poi la vita all'elettricista Angelo Frigerio, caduto, per cause che saranno meglio tratteggiate dai consulenti tecnici nominati dalle parti, all'interno di una cisterna contenente acido. Trasportato in ospedale, l'uomo, artigiano non dipendente dell'azienda, morirà il 15 settembre dello stesso anno a causa di uno shock settico conseguente a una broncopolmonite con focolari multipli originata dalla compromissione dell'albero respiratorio dovuta all'esposizione ad agenti chimici, come spiegato questa mattina in Aula dal dottor Domenico Castaldo, primario del dipartimento di medicina legale dell'Asl Milano 1 che effettuò l'esame autoptico sul cadavere del Frigerio, sentito quest'oggi tra i primi testi del procedimento che vede imputati gli allora legali rappresentati della società teatro del grave episodio, i cugini Francesco e Massimo Ripamonti.
Proprio quest'ultimo fu il primo ad accorgersi dell'accaduto, come ricordato dallo stesso, rispondendo alle domande poste dalla dottoressa Cinzia Citterio, pm titolare del fascicolo e della difesa sostenuta dai legali Riccardo e Andrea Spreafico (la parte civile è già stata risarcita in separata sede).
"Conoscevo Frigerio da 10-15 anni" ha spiegato l'imprenditore che ha presentato la vittima come un lavoratore autonomo che seguiva però, quasi giornalmente, la manutenzione elettrica della sua azienda, conoscendo "quasi tutto della nostra struttura". Quel 30 maggio, l'artigiano avrebbe dovuto occuparsi della taratura di una delle sonde poste, da egli stesso, qualche giorno prima, su uno dei due serbatoi, pieni di acqua, disposti sul piazzale di pertinenza della ditta, accanto ad altri due contenitori contenenti rispettivamente acido e soda. "Non salire sopra i silos per qualunque motivo" gli avrebbe ricordato il signor Massimo che gli aveva anche consegnato la scala necessaria per raggiungere l'altezza della sonda, scala che sarebbe stata trovata, dopo l'infortunio, non in prossimità del serbatoio su era montato il dispositivo che Frigerio avrebbe dovuto controllare, ma del secondo contenitore d'acqua. "Non c'era nessuna necessità di salire sul secondo serbatoi, nemmeno su quello dell'acido" ha così affermato l'imputato, senza riuscire a spiegarsi come l'elettricista sia riuscito a bucare la copertura della cisterna contenente acido, finendo in ammollo nei 20 centimetri di sostanza chimica in essa presente in quel momento. "L'abbiamo estratto io e mio cugino: sentivo che chiamava aiuto, mi ha poi urlato che era nell'acido" ha ricordato l'uomo al cui racconto ha fatto seguito quello del co-titolare dell'azienda che ha confermato la medesima versione dell'accaduto. "Tirato fuori, l'abbiamo accompagnato sotto le docce, spogliato e lavato chiamando nel frattempo il 118. Portava i pantaloni antiacido e le scarpe anti-infortunistica" ha aggiunto Francesco Ripamonti, tratteggiando Angelo Frigerio con le stesse parole riportate nella lettera che egli ha letto in chiesa al momento del funerale della vittima: "un amico, un perfetto lavoratore, una persona che ci mancherà per il futuro della nostra azienda". Ricordando poi come al momento "tutto l'aspetto elettrico lo sta seguendo il fratello del Frigerio", evidenziando così come effettivamente l'artigiano fosse considerato "uno della nostra famiglia", il secondo imputato esaminato ha affermato, così come il cugino, "non c'è spiegazione di come possa essere finito lì dentro" arrivando a ipotizzare che l'elettricista, per ragioni a lui ignote, abbia deciso di passare da un serbatoio all'altro saltandoci sopra. Rispondendo alla dottoressa Citterio che gli chiedeva se l'uomo fosse stato avvisato dei pericoli connessi alla sua attività in ditta, Ripamonti ha risposto: "penso che tante cose le sapesse meglio lui di me, uno che lavora 15 anni in un'azienda sa tutto, vita, morte e miracoli". Il procedimento per far luce sulla tragedia è stato aggiornato dal giudice Salvatore Catalano al prossimo 12 maggio quanto in Aula compariranno altri lavoratori della "Fratelli Ripamonti" (uno è già stato sentito quest'oggi) nonché i tecnici chiamati a ricostruire un'ipotetica dinamica dell'accaduto.



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A. M.
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