Malattie infettive in calo ma cresce l'incidenza tra le cause di mortalità: 'colpa' della sepsi. Hiv e Aids si sono 'cronicizzate'
Un crescendo esponenziale da 5 vittime nell'arco di un anno a 71, nel passaggio dal 2004 al 2012. Un'incidenza sul totale dei morti nel medesimo periodo in tutta la provincia, salita dunque dallo 0.18% al 2.37%. Malattie infettive e parassitare, seppur nel nugolo delle cause di mortalità residuali in un elenco in cui a farla da patrona, con percentuali decisamente più sostenute, sono le patologie dell'apparato cardiocircolatorio e i tumori, stanno vedendo aumentare il proprio peso all'interno della graduatoria stilata dall'Asl su indicazione dei medici accertatori dei decessi.
Eppure le segnalazioni giunte all'Azienda del dg Enzo Lucchini relative all'insorgenza di questo genere di malattie, stanno diminuendo (seppur seguendo un andamento di "discesa irregolare") con il numero di casi registrati passati, nel complesso, dai 3.423 del 2004 ai 2.020 dello scorso anno.
Per cercare di dare una spiegazione a questa apparente stranezza, preoccupante per certi punti di vista, abbiamo interpellato il dottor Paolo Bonfanti, direttore della struttura Malattie Infettive dell'Azienda Ospedaliera della Provincia di Lecco.
Rassicurante la sua risposta. Egli imputa infatti a una diversa classificazione delle cause di morte, l'impennata dell'incidenza delle patologie così dette infettive e, nello specifico, al fatto che, sempre più spesso, soprattutto in pazienti anziani si indichi la sepsi, conosciuta anche il nome più "antiquato" di setticemia, quale concausa principale del decesso. "Si tratta di una complicanza molto frequente nelle persone di una certa età" ha infatti specificato il medico ma pur sempre di un "episodio fisiologico".
Nessuna "corresponsabilità" dunque nel picco di mortalità di altre malattie trattate nella struttura posta al quarto piano dell'Ospedale Manzoni, con i suoi 13 letti attivi tutti dislocati in camere singole per garantire "l'isolamento" dei pazienti. In regime di degenza vengono li trattate le situazioni "acute". Il grosso del lavoro viene però svolto in altri reparti, dove il dottor Bonfanti e i suoi collaboratori vengono chiamati per consulenze specifiche (soprattutto per un corretto uso degli antibiotici per evitare il rischio di neutralizzarne l'effetto rendendo i batteri che si vorrebbe combattere "resistenti" ai trattamenti) e soprattutto in ambulatorio dove vengono seguiti, ad esempio, i malati di Epatite C (in collaborazione con la struttura di Medicina) e i soggetti Hiv positivi o con AIDS conclamato. Solo quest'ultimi, presi in carico dalla struttura aziendale, sono tra i 700 e gli 800 su un totale di 1003 assistiti in provincia di Lecco indicati per il 2012 negli elenchi dell'Asl. Un numero, questo, in costante aumento con un incremento di 177 unità in appena cinque anni.
"La malattia è diventata cronica" spiega il primario. "L'aumento degli assistiti può dunque essere visto come un fatto positivo, per certi versi: con le cure a disposizione il tasso di mortalità è in diminuzione e ormai i malati vengono visitati e seguiti ambulatorialmente. Lo scorso anno sono stati 8 i nuovi casi di Aids in stadio molto avanzato scoperti, persone Hiv positivi con complicanze di livello avanzato. Accanto a queste persone vi sono poi quelle che contraggono l'Hiv. Tra questi vi sono i casi di chi ha contratto l'infezione ma è in uno stadio di malattia asintomatico". Insomma il "panorama" è piuttosto articolato, con diversi step di gravità della patologia, seppur, nel complesso, "l'infezione è stabile: non vi è stata una recrudescenza della malattia anche se anni fa ci si aspettava un suo calo progressivo fino alla scomparsa. In realtà siamo, lo ripeto, in una situazione di stabilità".
E' cambiata invece la modalità di trasmissione della malattia. "Negli anni '90 inizio 2000 era veicolata dalla tossicodipendenza" prosegue infatti lo specialista. "Ora il contagio avviene per via sessuale, sia tra etero che omosessuali. Il problema in questo senso è che ci sono molte persone malate che non sanno di esserlo e non adottano quindi le precauzioni necessarie per evitare la trasmissione. Vi è tutto un "sommerso" che bisognerebbe cercare di far emergere. Per fare il test ci si può rivolgere l'Asl come a noi in ospedale: in entrambi i casi viene garantito al soggetto l'anonimato. Se si scopre la malattia, la persona viene "agganciata" all'ambulatorio. Per prima cosa si dovrà "stadiare" la malattia: andare a indagare il danno già prodotto al sistema immunitario valutando se iniziare subito il trattamento. I farmaci hanno raggiunto ormai un ottimo livello di efficacia e sono diventati molto più semplici da prendere: alle volte basta infatti una sola compressa al giorno. I pazienti vengono comunque seguiti periodicamente in ambulatorio. Essenziale è infatti non abbassare la guardia. Primo perché chi contrae la malattia deve adottare cambiamenti nel proprio stile di vita, dalle abitudini sessuali al rivedere, per le donne, il desiderio di maternità. Molti poi come dicevamo, scoprono di essere malati quando il livello è già molto avanzato, quando già parliamo di Aids. E' un rischio: le cure non è che siano meno efficaci ma un conto intervenire quando il sistema immunitario inizia a essere compromesso, un altro ricostruirlo quando ormai non esiste più".
Cosa dovrebbe spingere una persona, dunque, a fare il test? "In passato si diceva che l'Aids era la malattia dei tossicodipendenti. Oggi la trasmissione è per lo più sessuale ma è sbagliato dire che allora tutti siamo a rischio. La fedeltà non mette a rischio si usa dire. Pericolose sono le situazioni di "promiscuità" (cambiare molti partner diversi frequentemente) e i rapporti sessuali con compagni occasionali senza preservativo, non protetti. A mio avviso bisogna quindi conservare il giusto grado di allarme, tornado a fare prevenzione, cominciando dalle scuole. Avere dunque "attenzione vigile"" senza comunque dimenticare che, nei Paesi occidentali, "la malattia si riscontra in 3-4 casi per mille abitanti, tra le persone sessualmente attive. Il vero dramma è in altri Paesi e soprattutto nell'Africa Sub sahariana dove il 10-20 per cento della popolazione ha contratto l'Hiv".
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Tabella mortalità
Eppure le segnalazioni giunte all'Azienda del dg Enzo Lucchini relative all'insorgenza di questo genere di malattie, stanno diminuendo (seppur seguendo un andamento di "discesa irregolare") con il numero di casi registrati passati, nel complesso, dai 3.423 del 2004 ai 2.020 dello scorso anno.
Tabellone malattie infettive
Per cercare di dare una spiegazione a questa apparente stranezza, preoccupante per certi punti di vista, abbiamo interpellato il dottor Paolo Bonfanti, direttore della struttura Malattie Infettive dell'Azienda Ospedaliera della Provincia di Lecco.
Rassicurante la sua risposta. Egli imputa infatti a una diversa classificazione delle cause di morte, l'impennata dell'incidenza delle patologie così dette infettive e, nello specifico, al fatto che, sempre più spesso, soprattutto in pazienti anziani si indichi la sepsi, conosciuta anche il nome più "antiquato" di setticemia, quale concausa principale del decesso. "Si tratta di una complicanza molto frequente nelle persone di una certa età" ha infatti specificato il medico ma pur sempre di un "episodio fisiologico".
Nessuna "corresponsabilità" dunque nel picco di mortalità di altre malattie trattate nella struttura posta al quarto piano dell'Ospedale Manzoni, con i suoi 13 letti attivi tutti dislocati in camere singole per garantire "l'isolamento" dei pazienti. In regime di degenza vengono li trattate le situazioni "acute". Il grosso del lavoro viene però svolto in altri reparti, dove il dottor Bonfanti e i suoi collaboratori vengono chiamati per consulenze specifiche (soprattutto per un corretto uso degli antibiotici per evitare il rischio di neutralizzarne l'effetto rendendo i batteri che si vorrebbe combattere "resistenti" ai trattamenti) e soprattutto in ambulatorio dove vengono seguiti, ad esempio, i malati di Epatite C (in collaborazione con la struttura di Medicina) e i soggetti Hiv positivi o con AIDS conclamato. Solo quest'ultimi, presi in carico dalla struttura aziendale, sono tra i 700 e gli 800 su un totale di 1003 assistiti in provincia di Lecco indicati per il 2012 negli elenchi dell'Asl. Un numero, questo, in costante aumento con un incremento di 177 unità in appena cinque anni.
Tabella patologie cronico - degenerative
"La malattia è diventata cronica" spiega il primario. "L'aumento degli assistiti può dunque essere visto come un fatto positivo, per certi versi: con le cure a disposizione il tasso di mortalità è in diminuzione e ormai i malati vengono visitati e seguiti ambulatorialmente. Lo scorso anno sono stati 8 i nuovi casi di Aids in stadio molto avanzato scoperti, persone Hiv positivi con complicanze di livello avanzato. Accanto a queste persone vi sono poi quelle che contraggono l'Hiv. Tra questi vi sono i casi di chi ha contratto l'infezione ma è in uno stadio di malattia asintomatico". Insomma il "panorama" è piuttosto articolato, con diversi step di gravità della patologia, seppur, nel complesso, "l'infezione è stabile: non vi è stata una recrudescenza della malattia anche se anni fa ci si aspettava un suo calo progressivo fino alla scomparsa. In realtà siamo, lo ripeto, in una situazione di stabilità".
Il dr. Paolo Bonfanti
E' cambiata invece la modalità di trasmissione della malattia. "Negli anni '90 inizio 2000 era veicolata dalla tossicodipendenza" prosegue infatti lo specialista. "Ora il contagio avviene per via sessuale, sia tra etero che omosessuali. Il problema in questo senso è che ci sono molte persone malate che non sanno di esserlo e non adottano quindi le precauzioni necessarie per evitare la trasmissione. Vi è tutto un "sommerso" che bisognerebbe cercare di far emergere. Per fare il test ci si può rivolgere l'Asl come a noi in ospedale: in entrambi i casi viene garantito al soggetto l'anonimato. Se si scopre la malattia, la persona viene "agganciata" all'ambulatorio. Per prima cosa si dovrà "stadiare" la malattia: andare a indagare il danno già prodotto al sistema immunitario valutando se iniziare subito il trattamento. I farmaci hanno raggiunto ormai un ottimo livello di efficacia e sono diventati molto più semplici da prendere: alle volte basta infatti una sola compressa al giorno. I pazienti vengono comunque seguiti periodicamente in ambulatorio. Essenziale è infatti non abbassare la guardia. Primo perché chi contrae la malattia deve adottare cambiamenti nel proprio stile di vita, dalle abitudini sessuali al rivedere, per le donne, il desiderio di maternità. Molti poi come dicevamo, scoprono di essere malati quando il livello è già molto avanzato, quando già parliamo di Aids. E' un rischio: le cure non è che siano meno efficaci ma un conto intervenire quando il sistema immunitario inizia a essere compromesso, un altro ricostruirlo quando ormai non esiste più".
Cosa dovrebbe spingere una persona, dunque, a fare il test? "In passato si diceva che l'Aids era la malattia dei tossicodipendenti. Oggi la trasmissione è per lo più sessuale ma è sbagliato dire che allora tutti siamo a rischio. La fedeltà non mette a rischio si usa dire. Pericolose sono le situazioni di "promiscuità" (cambiare molti partner diversi frequentemente) e i rapporti sessuali con compagni occasionali senza preservativo, non protetti. A mio avviso bisogna quindi conservare il giusto grado di allarme, tornado a fare prevenzione, cominciando dalle scuole. Avere dunque "attenzione vigile"" senza comunque dimenticare che, nei Paesi occidentali, "la malattia si riscontra in 3-4 casi per mille abitanti, tra le persone sessualmente attive. Il vero dramma è in altri Paesi e soprattutto nell'Africa Sub sahariana dove il 10-20 per cento della popolazione ha contratto l'Hiv".
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Alice Mandelli