Airuno, fratello Luciano vice priore di Bose parla della spiritualità nel fine vita. ''Oggi si muore soli. L'Hospice umanizza gli ultimi istanti''

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Quella svoltasi giovedì sera presso il cine-teatro Smeraldo di Airuno può ben dirsi una conferenza riuscita. Invitato dall'associazione Fabio Sassi e dall'hospice 'Il Nespolo' - oltre che dalla Federazione Cure Palliative Onlus - Fratello Luciano Manicardi, Vice Priore della comunità monastica piemontese di Bose, ha intrattenuto per più di due ore i numerosi presenti intorno al tema dell'accompagnamento spirituale del malato nelle ultime fasi della vita, modellando la propria riflessione sull'esperienza diretta dei tanti volontari e operatori dell'hospice il Nespolo presenti in platea.

Mauro Marinari, Fratello Luciano Manicardi e don Venanzio

"Ho sicuramente molto da imparare
- ha spiegato il monaco - da chi come voi opera direttamente nel campo dell'assistenza ai malati terminali. Perché oggi la morte si è allontanata dalla scena sociale e poterne fare esperienza è qualcosa di più raro rispetto a un tempo. Oggi si muore spesso da soli, e la morte è de-socializzata; si muore come se l'evento non avesse nulla a che vedere con la vita che l'ha preceduto, e la morte è de-simbolizzata; si muore in un letto di ospedale, dopo estenuanti interventi medici che spesso sono orientati alla cura dell'organo e non della persona nel suo complesso, e la morte è de-costruita. Si muore come se fosse un incidente, con rammarico, come se la cosa potesse essere evitata. Si muore sempre 'di' qualcosa. E sempre dopo averle provate tutte. Così la morte si riduce a un imprevisto, a una spiacevole sfortuna da patire in solitudine, perché così come viene quotidianamente esibita attraverso i media, allo stesso modo essa è espulsa dalla vera socialità di ogni giorno. L'80% degli italiani muore in ospedale, lontano dai luoghi nei quali si è vissuto. Oggi si muore nelle massime condizioni igieniche e nella massima solitudine. Non deve sorprendere. La società post-moderna in cui viviamo è caratterizzata da individualismo e autodeterminazione. La morte è mia e la gestisco io. Per poi trovarsi di fronte alla burocratizzazione e alla medicalizzazione della proprio intera esistenza. Il malato passa le sue ultime settimane sottoposto all'azione di apparecchi e medicinali che non conosce. Per questo l'azione dell'hospice - orientata com'è all'autentica umanizzazione delle ultime fasi della vita - è qualcosa di estremamente prezioso. Difficile. Ma prezioso."

Nato nel 1957 a Campagnola Emilia (RE), Luciano Manicardi si è laureato a Bologna con una tesi sul Salmo 68. È entrato nella comunità monastica di Bose nel 1980, dove ha continuato gli studi biblici. È il responsabile della formazione culturale dei novizi all'interno della comunità e collabora a diverse riviste, tra cui Parola Spirito e Vita. "Nell'hospice - ha continuato il religioso - si tenta di superare l'approccio esclusivamente biomedicale al fine vita. Ma per avere accesso a qualcosa di autentico bisogna che l'operatore si sia posto prima le domande giuste. La vita è qualcosa di esclusivamente biologico? La vita, la salute, la luce, il mondo, sono qualcosa di semplicemente 'dato', qualcosa di 'scontato'? Chi opera a contatto con i morenti deve sapere che quegli ultimi giorni sono spesso giorni di bilanci non sempre indolori. Bilanci su chi si è stati, su chi ci è stato intorno, sugli affetti, sulla propria realizzazione come persona. Il morente pone implicitamente una domanda di senso. Per questo la persona ha bisogno di far fronte alla propria confusione provando a raccontarsi, a chiarire: vuole essere riconosciuta nella propria unicità biografica. Chi ha contatti con malati terminali deve ricordarsi che la sofferenza non è mai specifica del corpo o dei soli organi infetti. Riguarda invece la complessità della persona nei suoi aspetti certo fisici, ma anche emotivi, relazionali, psicologici e spirituali. Il morente si trova di fronte a un tribunale del senso, anche perchè spesso si muore così come si è vissuto." "Esiste una peculiarità nell'approccio cristiano alla sofferenza ultima, - ha continuato Fratello Luciano Manicardi - e consiste nell'inscrivere la malattia e la morte nell'ambito del cammino di fede. La malattia può essere vissuta come immersione nel fonte battesimale; la morte come partecipazione all'evento pasquale. Ovvero come diversi momenti di un unico disegno che può essere riconosciuto solo con gli occhi del cuore. L'operatore non può improvvisare, perché la sofferenza del malato interroga direttamente chi gli sta vicino. L'autenticità della relazione di aiuto è presto messa alla prova. Ed è una prova che riguarda l'umanità, ovvero il riconoscimento dei limiti, nostri e altrui. L'operatore si trova di fronte una persona debole, malata, sofferente, che verosimilmente non tornerà più in salute. Si trova di fronte un limite. Chi sono io - si chiede - di fronte alla morte? Cosa ci faccio qui? Perché mi trovo ad assistere i morenti al momento del trapasso? In questi casi le buone azioni fatte con una pietà automatica non hanno alcuna presa. Occorre che l'operatore riconosca in sé, senta risuonare in sé quel limite che gli sta di fronte, e che da esso senta sgorgare quella vita unica che ci viene dalla Croce. Anche Cristo ha fatto esperienza del limite, anche lui sul legno non ha potuto sottrarsi alla sofferenza e alla morte, anche lui non ha potuto liberare i ladroni che gli stavano accanto. E' andato incontro all'umanità sofferente spogliato di tutto, e allo stesso modo ci si deve avvicinare al malato. Senza paura, senza l'orgoglio di chi è sano e forte, ma riconoscendo noi stessi bisognosi e in cammino. Solo riconoscendo la propria vulnerabilità ci si può porre accanto a un malato. Non siamo onnipotenti. Chi si pone di fronte al malato con faciloneria, con una buona volontà superficiale o con un entusiasmo fatuo rischia di innescare quello che in ambito clinico viene chiamato 'triangolo drammatico', perché appunto trascura il peso del limite."

Il triangolo drammatico di S. Karpman teorizza che in alcune relazioni d'aiuto anche se i membri sono due interpretano tre ruoli diversi: il Salvatore, il Persecutore e la Vittima. Uno dei due membri della relazione può contemporaneamente assumere due ruoli diversi. La persona che si immedesima nel ruolo del Salvatore avverte la necessità di aiutare l'altro, anche se non ne ha le competenze specifiche. Egli ritiene che l'altro sia bisognoso del suo aiuto, mentre è lui che ha bisogno di sentirsi utile perché sono presenti sensi di colpa e d'insicurezza. Il Salvatore si preoccupa soltanto di sé e l'aiuto offerto gli serve per sentirsi accettato e amato dagli altri. Una persona che assume tale tipologia di comportamento nel momento in cui realizza la propria incapacità di portare un aiuto autentico potrebbe sentirsi tradita e trasformarsi in Persecutore. In questo caso andrebbe aiutato a sua volta a valorizzare la sua persona piuttosto che le sue azioni, al fine di sentirsi riconosciuto ed amato dagli altri a prescindere dall'aiuto che può fornire loro.

Con questa conferenza Fratello Luciano Manicardi si è confermato intellettuale attento all'intrecciarsi dei dati biblici con le acquisizioni più recenti dell'antropologia, essendo riuscito a far emergere dalla Scrittura lo spessore esistenziale e la sapienza di vita di cui è portatrice.

Fra le sue opere ricordiamo:
(con Enzo Bianchi) La carità nella chiesa, Qiqajon, Comunità di Bose 1991;
(con Enzo Bianchi) Magnificat. Benedictus. Nunc Dimittis, Qiqajon, Comunità di Bose 1991;
(con Enzo Bianchi) Accanto al malato. Riflessioni sul senso della malattia e sull'accompagnamento dei malati, Qiqajon, Comunità di Bose 2000;
Nelle tenebre una luce. Itinerari di vita nella sofferenza, CVS, Roma 2004;
Il corpo. Via di Dio verso l'uomo, via dell'uomo verso Dio, Qiqajon, Comunità di Bose 2005;
(con Guido Dotti) Una vita ricca di senso, Elledici, 2005;
L'umano soffrire. Evangelizzare le parole sulla sofferenza, Qiqajon, Comunità di Bose 2006;
La vita secondo lo Spirito, Cittadella Editrice, 2009;
La fatica della carità, Qiqajon, Bose 2010.

L'associazione Fabio Sassi e l'hospice 'Il Nespolo' proseguono le proprie attività con un evento particolarmente significativo: lunedì 22 ottobre alle ore 21 presso il Cine-Teatro Smeraldo di Airuno operatori, volontari e sostenitori festeggeranno il 10° anniversario di attività dell' Hospice Il Nespolo. E' un incontro aperto al pubblico che vedrà la partecipazione amichevole di Antonella Ruggiero. L'ingresso è gratuito ma è necessaria la prenotazione telefonando dalle 9.30 alle 13.00 ad uno dei seguenti numeri:
Giuliana 039 9900871 - Dina 039 9901038 - Ines 333 2608168 - Milena 039 599169 - Anna 039 9945219
La serata sarà realizzata grazie alla collaborazione con l'Associazione di Promozione Sociale ANTISOPORE.
Massimo Colombo

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