Merate: monsignor Cavina presiede la Messa solenne di Sant’Ambrogio

Nella mattinata di oggi, sabato 6 dicembre, Merate ha celebrato il suo patrono, Sant’Ambrogio, con una solenne Eucaristia che ha riempito la chiesa prepositurale di fedeli, autorità, rappresentanti delle associazioni.
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A presiedere la celebrazione è stato monsignor Francesco Cavina, vescovo emerito di Carpi, affiancato dai sacerdoti nativi di Merate e da coloro che, negli anni, hanno servito la comunità. Tra loro anche don Mario Maggioni, che quest’anno ha festeggiato i 40 anni di sacerdozio e che ha proclamato il Vangelo del Buon Pastore, una pagina particolarmente cara alla tradizione ambrosiana e alla storia del Santo Patrono.
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Nell’omelia, monsignor Cavina ha riportato l’assemblea alle radici della fede, ricordando come la festa di Sant’Ambrogio non sia un semplice anniversario, ma “un appello forte” a riconoscere il volto di Cristo, lo stesso proclamato a Nicea e difeso con coraggio dal vescovo milanese. Richiamando un passo del Siracide, il celebrante ha sottolineato come la memoria dei giusti rimanga viva perché “hanno arricchito il loro popolo”, osservazione che ha definito “sorprendentemente precisa” nel descrivere Ambrogio.

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Il vescovo ha poi ripercorso l’inaspettata chiamata dell’antico governatore romano, stimato funzionario che non cercava incarichi ecclesiastici ma che, quando fu acclamato dal popolo, non si sottrasse. Un uomo “trovato giusto”, ha spiegato monsignor Cavina, perché ciò che compiva era gradito a Dio: “non cercò scuse, non disse mai ‘non tocca a me’, ma si mise in gioco con fedeltà e fiducia”.
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Da questa disponibilità nasce il legame tra Sant’Ambrogio e l’immagine evangelica del buon pastore: “Gesù dà la vita per le sue pecore – ha ricordato il vescovo – e Ambrogio, nelle vicende della sua epoca, giunse a identificarsi con questo cuore”. Un riferimento diretto alla crisi ariana, momento drammatico per la Chiesa antica, durante il quale il vescovo milanese difese la divinità di Cristo non per polemica, ma “per amore”, poiché negarla avrebbe significato togliere all’uomo la speranza della salvezza.
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L’omelia ha toccato anche il presente: il rischio di ridurre Gesù a semplice maestro morale, la necessità di custodire una fede viva, la responsabilità di essere testimoni credibili in un tempo segnato da incertezze. “Coltivare l’amicizia di Cristo non è una perdita – ha affermato Mons. Cavina – ma un vero guadagno: fonte di libertà, pace e gioia”. Ha quindi concluso con un pensiero proprio di Sant’Ambrogio: “In ogni cosa cerco non ciò che giova a me, ma ciò che giova a tutti, perché tutti siano salvati”, invitando la comunità a farne guida e ispirazione.
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Dopo l'offertorio, si è svolto uno dei gesti più attesi della festa: la deposizione del cero da parte del sindaco Mattia Salvioni davanti alla raffigurazione del Patrono, rito che unisce idealmente fede e vita civica e che ribadisce il legame antico tra Merate e Sant’Ambrogio.
La Messa ha aperto ufficialmente il fine settimana dedicato alla storica Festa e Fiera di Sant’Ambrogio, un programma che quest’anno guarda con particolare attenzione alle radici culturali e religiose della città. Ma il cuore delle celebrazioni rimane la liturgia del mattino, che anche quest’anno ha saputo raccontare, più delle parole, il senso di appartenenza di una comunità che continua a riconoscersi nel suo Patrono e nella sua eredità spirituale.
M.Pen.
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