Le parole contano ma anche le letture che se ne fanno
Germano Bosisio,
la ringrazio per il tono civile e per la franchezza con cui continua a prendere parte a questo confronto, mi danno l’opportunità di approfondire il mio giudizio e il mio studio sul pontificato appena concluso. È vero, le parole contano. Ma anche le letture che se ne fanno.
Lei scrive che la sconcerta la mia “contrapposizione” tra Papa Francesco e Papa Leone XIV. In realtà, è inevitabile che ogni nuovo Papa venga letto anche in controluce rispetto al predecessore, soprattutto se umanamente così differenti: anche giornalisti ben più noti e ben più bravi del sottoscritto lo hanno fatto e lo stanno facendo in prima serata o in prima pagina ma con intenzioni inverse alle mie. Non si tratta di negare quanto di buono ci sia stato in Francesco – come l’approccio, rivoluzionario e atteso da molti, anche da me, che ha avuto Amoris Letitia per le coppie in situazioni irregolari – ma di evidenziare un cambiamento di stile e di priorità. Se per qualcuno, quelli in prima pagina più autorevoli e famosi di me, questo cambiamento è deludente, per altri è una boccata d’aria. E chi scrive, senza infallibilità ma con onestà, per una questione di semplice sensibilità personale, appartiene al secondo gruppo.
Sull’uso delle parole: ho parlato di Becciu come “cardinale perseguitato” nel senso di un trattamento anomalo e discutibile, come ho già precisato al Sig. Fasoli, specie rispetto al caso Rupnik, di cui a questo punto, in futuro, parlerò accuratamente e dettagliatamente. Su Becciu è una valutazione, non una beatificazione. E non mi pare incoerente dire di non volerlo “difendere” in senso personale, quanto denunciare un’evidente disparità di trattamento. Questo è un fatto, non una dietrologia.
Sull'allusione allo “stile mondaneggiante”: sì, ho usato parole forti. Ma non nuove, e nemmeno isolate. Molti uomini e donne di Chiesa – anche ben più autorevoli di me – hanno espresso riserve su certe derive comunicative, su certe aperture poco chiare, su certe ambiguità. Non ho mai detto che Francesco fosse “solo mondano”. Ho detto – e lo ribadisco – che spesso ha parlato troppo, e pregato troppo poco in pubblico. Il giudizio sulla persona resta sempre al Padreterno.
Lei giustamente ricorda che “le parole contano”. Ma quando i fatti sono quelli di Rupnik, Gisana, Zanchetta – tre casi dove le complicità o le coperture di Papa Francesco sono ormai documentate – allora le parole stanno a zero. È lì che si misura davvero il profilo evangelico di un pontificato: nella gestione concreta del potere e della giustizia. E su questo, il bilancio non può essere derubricato a chiacchiericcio solo perché non ci piace o distrugge la nostra idea beata di un papato.
Infine: evocare il “cerchio magico” attorno a un Pontefice non è complottismo, se lo si fa con misura e fonti. È cronaca vaticana. E se i fatti, nel tempo, confermano alcune stranezze – come appunto nel caso Zanchetta, come le coperture silenziose – non è sospetto parlarne: è necessario.
Lei chiude ricordandomi che “una cosa è dissentire, un’altra è insinuare logiche di potere e partigianerie”. Ha ragione. Riguardo al “Sembra che Parolin...” era una scelta stilistica, ma capisco possa suonare ambigua. Ne terrò conto per essere più diretto in futuro. Cerco solo di non bruciarmi le mie fonti vaticane.
Io cerco, infine, di fare la prima cosa, riflessione e bilanci, consapevole che la seconda – se c’è – la stanno già facendo altri, e da dentro. Sta di fatto che, per quanto le parole abbiano un peso, contra facta non valeat argumenta.
Con rispetto,
la ringrazio per il tono civile e per la franchezza con cui continua a prendere parte a questo confronto, mi danno l’opportunità di approfondire il mio giudizio e il mio studio sul pontificato appena concluso. È vero, le parole contano. Ma anche le letture che se ne fanno.
Lei scrive che la sconcerta la mia “contrapposizione” tra Papa Francesco e Papa Leone XIV. In realtà, è inevitabile che ogni nuovo Papa venga letto anche in controluce rispetto al predecessore, soprattutto se umanamente così differenti: anche giornalisti ben più noti e ben più bravi del sottoscritto lo hanno fatto e lo stanno facendo in prima serata o in prima pagina ma con intenzioni inverse alle mie. Non si tratta di negare quanto di buono ci sia stato in Francesco – come l’approccio, rivoluzionario e atteso da molti, anche da me, che ha avuto Amoris Letitia per le coppie in situazioni irregolari – ma di evidenziare un cambiamento di stile e di priorità. Se per qualcuno, quelli in prima pagina più autorevoli e famosi di me, questo cambiamento è deludente, per altri è una boccata d’aria. E chi scrive, senza infallibilità ma con onestà, per una questione di semplice sensibilità personale, appartiene al secondo gruppo.
Sull’uso delle parole: ho parlato di Becciu come “cardinale perseguitato” nel senso di un trattamento anomalo e discutibile, come ho già precisato al Sig. Fasoli, specie rispetto al caso Rupnik, di cui a questo punto, in futuro, parlerò accuratamente e dettagliatamente. Su Becciu è una valutazione, non una beatificazione. E non mi pare incoerente dire di non volerlo “difendere” in senso personale, quanto denunciare un’evidente disparità di trattamento. Questo è un fatto, non una dietrologia.
Sull'allusione allo “stile mondaneggiante”: sì, ho usato parole forti. Ma non nuove, e nemmeno isolate. Molti uomini e donne di Chiesa – anche ben più autorevoli di me – hanno espresso riserve su certe derive comunicative, su certe aperture poco chiare, su certe ambiguità. Non ho mai detto che Francesco fosse “solo mondano”. Ho detto – e lo ribadisco – che spesso ha parlato troppo, e pregato troppo poco in pubblico. Il giudizio sulla persona resta sempre al Padreterno.
Lei giustamente ricorda che “le parole contano”. Ma quando i fatti sono quelli di Rupnik, Gisana, Zanchetta – tre casi dove le complicità o le coperture di Papa Francesco sono ormai documentate – allora le parole stanno a zero. È lì che si misura davvero il profilo evangelico di un pontificato: nella gestione concreta del potere e della giustizia. E su questo, il bilancio non può essere derubricato a chiacchiericcio solo perché non ci piace o distrugge la nostra idea beata di un papato.
Infine: evocare il “cerchio magico” attorno a un Pontefice non è complottismo, se lo si fa con misura e fonti. È cronaca vaticana. E se i fatti, nel tempo, confermano alcune stranezze – come appunto nel caso Zanchetta, come le coperture silenziose – non è sospetto parlarne: è necessario.
Lei chiude ricordandomi che “una cosa è dissentire, un’altra è insinuare logiche di potere e partigianerie”. Ha ragione. Riguardo al “Sembra che Parolin...” era una scelta stilistica, ma capisco possa suonare ambigua. Ne terrò conto per essere più diretto in futuro. Cerco solo di non bruciarmi le mie fonti vaticane.
Io cerco, infine, di fare la prima cosa, riflessione e bilanci, consapevole che la seconda – se c’è – la stanno già facendo altri, e da dentro. Sta di fatto che, per quanto le parole abbiano un peso, contra facta non valeat argumenta.
Con rispetto,
Pietro Santoro