Imbersago: focus sul lavoro e speranza con la prof.Lodigiani
Speranza è la parola che accompagna il Giubileo 2025. Un vocabolo universale che può essere considerato in relazione a diversi temi. Nel pomeriggio di venerdì 23 maggio, al Santuario della Madonna del Bosco di Imbersago, se n’è voluto parlare a livello lavorativo.

In collaborazione con le realtà di ispirazione cattolica del territorio, infatti, il Vicariato della Zona Pastorale III di Lecco ha organizzato un interessante incontro dal titolo “Quando il lavoro genera speranza” presso la cappella delle confessioni. Gli ospiti dell’evento sono stati il vicario monsignor Gianni Cesena, il giornalista Gerolamo Fazzini e la professoressa Rosangela Lodigiani, sociologa dei processi economici e del lavoro dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
È stata la docente in particolare a tracciare una nitida immagine della situazione lavorativa attuale in Italia, riuscendo a mettere in risalto gli aspetti “generativi di speranza”. Prima di cederle la parola, monsignor Cesena ha voluto ringraziare i sodalizi che si sono spesi per organizzare l’incontro e in particolare Virginio Brivio. È nata da loro infatti la volontà di fare riflettere in merito a quale “speranza” possa offrire il Vangelo a un mondo del lavoro che spesso viene subito associato a parole come “crisi” e “insicurezza”.

La professoressa lodigiani ha articolato la sua relazione in tre passaggi parlando dapprima della situazione reale e dei paradossi che ne derivano. Se da un lato infatti l’occupazione è in ripresa e si attesta a oltre 24 milioni di persone con un lavoro in Italia, è altresì vero che a crescere è anche il cosiddetto “lavoro povero”. “Circa il 10% dei lavoratori, quindi 3 milioni di persone hanno un cattivo lavoro e non guadagnano abbastanza per loro e la loro famiglia” ha spiegato la docente, ricordando che ad aggravare questa situazione sono fenomeni come l’inflazione e il generale l'aumento del costo della vita.
Allo stesso tempo è aumentata anche l’inattività tra i giovani. Molti restano più a lungo negli studi, altri restano indietro e non ricercano lavoro, o fanno fatica a trovarlo. “Molti sperimentano incertezza, insicurezza e hanno un avvio di carriera lavorativa spesso non facile”. Un altro tema che caratterizza il presente è l’intelligenza artificiale, che sembrerebbe proiettare in un mondo in cui ci sarà solo “lavoro buono”, ma contestualmente cresce la preoccupazione per le professioni che potrebbero scomparire poiché rimpiazzate appunto dalla AI.

Non sono solo questi i fenomeni che segnano il nostro tempo. La professoressa Lodigiani ha ricordato che mentre la popolazione invecchia, il ricambio generazionale rischia di incepparsi e intanto le aziende lamentano la mancanza di personale e competenze. Le stesse società però soffrono anche il problema di non riuscire a trattenere i giovani. Su questo la relatrice ha voluto soffermarsi, dettagliando una situazione balzata all’occhio dallo scoppio della pandemia.
Si tratta del fenomeno “delle grandi dimissioni”. “L’idea è che si fosse di fronte a una nuova stagione, caratterizzata dalla fuga del lavoro” ha detto, aggiungendo che questo ha portato a pensare che i giovani non volessero più lavorare. “In realtà i dati ci dicono che si è messa in moto una transizione di cambio dal lavoro che la pandemia ha solo accelerato. È un fenomeno che già c’era”.

Probabilmente nel corso degli anni del Covid è cresciuta una riflessione relativa al “senso della vita” ed è sorto maggiormente il desiderio di trovare della “qualità” nella propria esistenza, non solo a livello lavorativo. Stipendio e opportunità di crescita sono fattori che si prendono certamente in considerazione quando si valuta un offerta di lavoro, ma non sono i soli. Si è iniziato a guardare maggiormente anche ad altri aspetti: il tempo per la famiglia, per sé e per la propria vita sociale, in modo che il lavoro all’interno dell’esistenza di una persona sia armonizzato con quello che c’è al di fuori dell’ufficio. “I giovani ci ricordano che il lavoro va bene nel momento in cui aiuta a dare senso alle nostre vite e si raccorda con i valori ultimi. Il lavoro non è tutto di noi, dà senso alla biografia della persona, ma non è tutto” ha detto la docente, citando poi Papa Francesco: “«Lavorando diventiamo più persona, la nostra umanità fiorisce». Diventiamo «più» persona, ma lo siamo già”.

Volgendo al termine della sua riflessione, la relatrice ha parlato anche del lavoro come responsabilità collettiva e personale affinché diventi fonte di speranza. “Il lavoro continua a dare senso alla nostra vita nella concretezza della quotidianità, ma è anche fonte di relazioni che generano appartenenza sociale”. È questa infatti la sfida del presente: ricordare che il lavoro sia anche un tipo di legame sociale, una relazione fondata che costruisce la società. E a questa visione si accompagnano tre indispensabili cambi di passo che andrebbero attuati: un’azione educativa affinché il lavoro diventi luogo in cui viene insegnata una nuova cultura del lavoro stesso; lo sviluppo di coalizioni locali che generino lavoro “buono”, magari premiando aziende che lo favoriscano; la nascita di alleanze in pratiche quotidiane per azioni che promuovano una valida cultura del lavoro.

A chiudere l’incontro sono state le testimonianze di tre persone che lavorano in settori diversi – Maria Grazia Fusi della Cooperativa sociale Il Ponte, l’HR Elena Giorgioni e l’imprenditore Fabio Dadati – che in pochi minuti hanno saputo offrire esempi di “speranza” colti durante le loro carriere lavorative.
Il pomeriggio è proseguito con la celebrazione della santa messa a cura del vicario Monsignor Gianni Cesena presso il Santuario della Madonna del Bosco.

In collaborazione con le realtà di ispirazione cattolica del territorio, infatti, il Vicariato della Zona Pastorale III di Lecco ha organizzato un interessante incontro dal titolo “Quando il lavoro genera speranza” presso la cappella delle confessioni. Gli ospiti dell’evento sono stati il vicario monsignor Gianni Cesena, il giornalista Gerolamo Fazzini e la professoressa Rosangela Lodigiani, sociologa dei processi economici e del lavoro dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
È stata la docente in particolare a tracciare una nitida immagine della situazione lavorativa attuale in Italia, riuscendo a mettere in risalto gli aspetti “generativi di speranza”. Prima di cederle la parola, monsignor Cesena ha voluto ringraziare i sodalizi che si sono spesi per organizzare l’incontro e in particolare Virginio Brivio. È nata da loro infatti la volontà di fare riflettere in merito a quale “speranza” possa offrire il Vangelo a un mondo del lavoro che spesso viene subito associato a parole come “crisi” e “insicurezza”.

Il giornalista Gerolamo Fazzini, il vicario monsignor Gianni Cesena
e la professoressa Rosangela Lodigiani
e la professoressa Rosangela Lodigiani
La professoressa lodigiani ha articolato la sua relazione in tre passaggi parlando dapprima della situazione reale e dei paradossi che ne derivano. Se da un lato infatti l’occupazione è in ripresa e si attesta a oltre 24 milioni di persone con un lavoro in Italia, è altresì vero che a crescere è anche il cosiddetto “lavoro povero”. “Circa il 10% dei lavoratori, quindi 3 milioni di persone hanno un cattivo lavoro e non guadagnano abbastanza per loro e la loro famiglia” ha spiegato la docente, ricordando che ad aggravare questa situazione sono fenomeni come l’inflazione e il generale l'aumento del costo della vita.
Allo stesso tempo è aumentata anche l’inattività tra i giovani. Molti restano più a lungo negli studi, altri restano indietro e non ricercano lavoro, o fanno fatica a trovarlo. “Molti sperimentano incertezza, insicurezza e hanno un avvio di carriera lavorativa spesso non facile”. Un altro tema che caratterizza il presente è l’intelligenza artificiale, che sembrerebbe proiettare in un mondo in cui ci sarà solo “lavoro buono”, ma contestualmente cresce la preoccupazione per le professioni che potrebbero scomparire poiché rimpiazzate appunto dalla AI.

Maria Grazia FusiMaria Grazia Fusi
Non sono solo questi i fenomeni che segnano il nostro tempo. La professoressa Lodigiani ha ricordato che mentre la popolazione invecchia, il ricambio generazionale rischia di incepparsi e intanto le aziende lamentano la mancanza di personale e competenze. Le stesse società però soffrono anche il problema di non riuscire a trattenere i giovani. Su questo la relatrice ha voluto soffermarsi, dettagliando una situazione balzata all’occhio dallo scoppio della pandemia.
Si tratta del fenomeno “delle grandi dimissioni”. “L’idea è che si fosse di fronte a una nuova stagione, caratterizzata dalla fuga del lavoro” ha detto, aggiungendo che questo ha portato a pensare che i giovani non volessero più lavorare. “In realtà i dati ci dicono che si è messa in moto una transizione di cambio dal lavoro che la pandemia ha solo accelerato. È un fenomeno che già c’era”.

Fabio Dadati
Probabilmente nel corso degli anni del Covid è cresciuta una riflessione relativa al “senso della vita” ed è sorto maggiormente il desiderio di trovare della “qualità” nella propria esistenza, non solo a livello lavorativo. Stipendio e opportunità di crescita sono fattori che si prendono certamente in considerazione quando si valuta un offerta di lavoro, ma non sono i soli. Si è iniziato a guardare maggiormente anche ad altri aspetti: il tempo per la famiglia, per sé e per la propria vita sociale, in modo che il lavoro all’interno dell’esistenza di una persona sia armonizzato con quello che c’è al di fuori dell’ufficio. “I giovani ci ricordano che il lavoro va bene nel momento in cui aiuta a dare senso alle nostre vite e si raccorda con i valori ultimi. Il lavoro non è tutto di noi, dà senso alla biografia della persona, ma non è tutto” ha detto la docente, citando poi Papa Francesco: “«Lavorando diventiamo più persona, la nostra umanità fiorisce». Diventiamo «più» persona, ma lo siamo già”.

Elena Giorgioni
Volgendo al termine della sua riflessione, la relatrice ha parlato anche del lavoro come responsabilità collettiva e personale affinché diventi fonte di speranza. “Il lavoro continua a dare senso alla nostra vita nella concretezza della quotidianità, ma è anche fonte di relazioni che generano appartenenza sociale”. È questa infatti la sfida del presente: ricordare che il lavoro sia anche un tipo di legame sociale, una relazione fondata che costruisce la società. E a questa visione si accompagnano tre indispensabili cambi di passo che andrebbero attuati: un’azione educativa affinché il lavoro diventi luogo in cui viene insegnata una nuova cultura del lavoro stesso; lo sviluppo di coalizioni locali che generino lavoro “buono”, magari premiando aziende che lo favoriscano; la nascita di alleanze in pratiche quotidiane per azioni che promuovano una valida cultura del lavoro.

A chiudere l’incontro sono state le testimonianze di tre persone che lavorano in settori diversi – Maria Grazia Fusi della Cooperativa sociale Il Ponte, l’HR Elena Giorgioni e l’imprenditore Fabio Dadati – che in pochi minuti hanno saputo offrire esempi di “speranza” colti durante le loro carriere lavorative.
Il pomeriggio è proseguito con la celebrazione della santa messa a cura del vicario Monsignor Gianni Cesena presso il Santuario della Madonna del Bosco.
E.Ma.