Merate, quasi un anno dopo il voto: è il tempo della realtà

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Caro Direttore,
leggendo il tuo ultimo editoriale e seguendo con attenzione gli sviluppi del consiglio comunale di fine aprile, ho sentito il desiderio di condividere, attraverso le pagine del tuo giornale digitale, alcune riflessioni sul primo tratto di questo mandato amministrativo. Lo faccio con la tranquillità di chi oggi non ricopre incarichi amministrativi e proprio per questo — forse — posso permettermi uno sguardo più distaccato, ma non per questo meno coinvolto se non altro per l’esperienza maturata negli anni che ho trascorso nei panni di amministratore comunale.
È ormai evidente (e forse era prevedibile),  come l’entusiasmo e l’ampio consenso che hanno accompagnato l’elezione di Mattia Salvioni — alimentati da una campagna elettorale brillante, sostenuta da slogan efficaci e promesse generose — si siano scontrati con la realtà  di una macchina amministrativa lenta, farraginosa, e presidiata da funzionari più attenti a tutelare la correttezza formale degli atti che non a farsi promotori — con coraggio e visione — di soluzioni capaci di sostenere nuove iniziative. 
Una struttura, insomma, che troppo spesso si rifugia nella comfort zone della prudenza procedurale, preferendo il rassicurante presidio della regolarità formale a un atteggiamento realmente proattivo, capace di accompagnare e sostenere — e non solo sorvegliare — chi, con ambizione e senso di responsabilità, tenta di introdurre nuove progettualità.
Il connubio tra soffocante burocrazia e palese inesperienza degli eletti, si rivela la matrice profonda dell’inerzia che paralizza l’azione di questa giunta. Ed è proprio in virtù di tale stallo che diviene imprescindibile, nel momento del voto, orientarsi verso compagini, magari meno vistose; tuttavia, capaci di esprimere figure dotate di consolidata esperienza, visione strategica e autentiche competenze gestionali — qualità, queste, che l’attuale esecutivo cittadino dimostra, con drammatica evidenza, di non possedere.
È sotto gli occhi di tutti che questi ostacoli siano stati sottovalutati, forse addirittura ignorati, tanto dal sindaco quanto dal suo gruppo. Senza esperienza amministrativa alle spalle, Salvioni si è ritrovato a gestire complessità che richiedono una preparazione diversa, una conoscenza approfondita dei meccanismi pubblici, e una consapevolezza che difficilmente si acquisisce senza un periodo di apprendistato. Non a caso, in molti gli avevano suggerito di iniziare il suo percorso da consigliere, per imparare la grammatica di una politica che è fatta di tempi lunghi, iter tortuosi e limiti di bilancio.
Eppure Salvioni ha deciso di cogliere l’attimo, ed ha vinto. Ha conquistato la fiducia dei cittadini con l’immagine di un giovane capace, sorridente, sempre pronto a dire la cosa giusta nel momento giusto. Il suo programma era bello, ispirato, condivisibile sotto molti aspetti — tuttavia segnato, a mio avviso, da un limite cruciale: l’irrealizzabilità. Perché senza esperienza, senza una macchina comunale forte e motivata e senza margini economici infiniti, anche le idee migliori restano sogni nel cassetto.
Chiarito questo, vorrei essere netto su un punto: non mi auguro affatto che Salvioni fallisca. Se fallisce lui, fallisce Merate. E non c’è sconfitta più amara di quella che colpisce un’intera comunità, a prescindere dai colori politici di chi la amministra. È proprio in virtù di questo che, pur con visioni diverse, mi permetto di suggerire a Salvioni, in modo assolutamente costruttivo, di ripartire dalla base, nella speranza che alcune scelte possano essere corrette, aggiustate, ripensate.
Con serietà, senso della misura e spirito pragmatico, credo si debba rimettere al centro dell’azione amministrativa ciò che davvero incide sulla vita quotidiana dei cittadini, ovvero la cura dell’ordinario. Parlo della manutenzione delle strade, del decoro urbano, della gestione del verde pubblico e della sicurezza. Temi apparentemente semplici, ma che costituiscono l’ossatura di una città vivibile, ordinata, accogliente. 
Per le strade penso ad un piano pluriennale serio, stabile, protetto da tagli di bilancio, che stanzi ogni anno almeno un milione di euro per il rifacimento degli asfalti e la sistemazione dei marciapiedi. Se davvero Salvioni e l’assessore Muzio hanno dichiarato che non si asfalterà nulla finché non saranno terminati tutti i lavori sui sottoservizi, allora c’è un grave errore di valutazione delle priorità. Non si può attendere l’infinito mentre le strade si degradano giorno dopo giorno. Alcuni tratti sono già oggi in condizioni critiche. Ci sono vie che non subiranno ulteriori interventi per i sottoservizi e che potrebbero essere sistemate subito. E poi, si faccia rispettare con rigore il regolamento comunale, obbligando chi scava a ripristinare a regola d’arte, senza rattoppi indecorosi.
Il decoro urbano non è un concetto estetico secondario, ma un indice visibile della qualità amministrativa e del rispetto verso i cittadini. Marciapiedi integri, arredi urbani in buono stato, segnaletica chiara e ben posizionata, cestini svuotati con regolarità, illuminazione efficiente: tutto ciò trasmette un senso di ordine e cura che rafforza anche il senso civico. Quando il decoro si dissolve, si fa largo una percezione di abbandono che incentiva comportamenti incivili, alimentando degrado, minando quel fragile legame di fiducia tra cittadini e istituzioni.
I parchi, le aiuole, le alberature e le aree verdi non sono solo spazi estetici, ma luoghi di benessere fisico, socialità e coesione. Una gestione virtuosa del verde pubblico implica manutenzioni regolari, tempestiva sostituzione di piante ammalorate, cura dei giochi per i più piccoli e cura dell’arredo urbano. Un verde trascurato comunica disinteresse, mentre un verde curato racconta una città che si prende cura di sé. C’è un parco sportivo, (quello di via Allende) che vive in totale stato di abbandono e senza una vera progettualità che ne permetta un uso davvero attivo, è destinato ad un rapido degrado, così come il parco di pregio della Villa Confalonieri, che mi pare in condizioni davvero precarie.
Infine la sicurezza: non si garantisce con proclami o comparsate in piazza, ma con una presenza reale, costante e professionale delle forze dell’ordine nei luoghi più sensibili. Serve un comando di Polizia Locale strutturato, proattivo, visibile e indirizzato al controllo del territorio e non solo impegnato a rimpinguare le casse comunali con i verbali per divieto di sosta. Serve il coordinamento con le altre forze di pubblica sicurezza, per un presidio integrato del territorio. La sicurezza è prima di tutto percezione: e si costruisce con piccole ma tangibili azioni quotidiane, più che con enunciazioni di principio o vuoti accordi di programma.
Quindi suggerisco a Salvioni, di ripartire dai fondamentali, il che non significa rinunciare all’ambizione, ma anzi darsi il tempo e lo spazio per costruire, passo dopo passo, quella credibilità che è la base che può rendere realizzabili i progetti più alti.
Certo è che, se per ambizione si intende – cito testualmente dal programma elettorale di Salvioni, a pagina 15 – “avviamo nel primo anno uno studio per un unico grande progetto di revisione urbanistica di tutto il centro per disegnare i prossimi vent’anni di Merate” e, se a distanza di un anno dalle elezioni, non c’è neanche un primo accenno di studio, allora siamo dinanzi non a visioni lungimiranti, ma a vuoti proclami, slogan ammantati di futuro, buoni solo a seminare illusioni e ad alimentare false speranze, utili al solo scopo di orientare il consenso elettorale.
Per questo, oggi più che mai, occorre cambiare passo. Serve un atto di consapevolezza, ma anche di coraggio: riconoscere cosa non ha funzionato e intervenire con determinazione, lasciando da parte ogni autoreferenzialità. Salvioni, finora si è dimostrato poco incline all’ascolto e invece dovrebbe aprirsi maggiormente al confronto — soprattutto fuori la sua maggioranza — e accogliere suggerimenti e visioni e magari dare più spazio ai giovani consiglieri che ha in gruppo, equilibrando lo strapotere ideologico di alcuni membri della sua giunta.
Dopo un anno di assestamento, potrebbe essere utile per il sindaco, avviare una profonda riflessione sulla squadra che lo accompagna. In certi casi, l’inerzia amministrativa non è frutto di circostanze esterne, ma della difficoltà di alcuni interpreti nel calarsi davvero nel ruolo pubblico che ricoprono. Talvolta, uno sguardo rinnovato — più giovane, meno appesantito da schemi ideologici — può rappresentare non una rottura, ma un’opportunità per ritrovare slancio e, chissà, per cominciare finalmente a delineare una concreta traiettoria programmatica (ammesso che ve ne sia una).
Ti ringrazio per lo spazio concesso,
Andrea Robbiani 
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