Sono un liceale di 19 anni e sono stato vittima di bullismo. Le parole di Riva sono un insulto alla verità e alla giustizia

Buongiorno,
ho 19 anni, frequento l’ultimo anno del liceo a Merate e ho deciso di scrivere questa lettera perché non posso più restare in silenzio. Per anni sono stato vittima di bullismo. Non “comportamenti premonitori”, non “episodi borderline”, ma bullismo vero.
Di quello che ti toglie il fiato quando suona la campanella, che ti fa fingere di stare male pur di non andare a scuola, che ti lascia addosso una vergogna che non hai meritato.
Quello che, tanto per capirci, non passa con i “progetti bla bla”.
Quando ho letto la cronaca del consiglio comunale e le parole dell’assessora Patrizia Riva, ho provato disgusto.
Sì, disgusto.
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L'assessora Patrizia Riva
 
Non si può ridurre un gesto come spalmare colla sulla sedia di un compagno — per ridicolizzarlo davanti a tutti — a un semplice “comportamento premonitore”.
Non si può liquidare con un tecnicismo legale ciò che è prima di tutto un’umiliazione pubblica, una violenza psicologica, un segnale che chi vive certe situazioni conosce fin troppo bene.
Non è allarmismo, è realtà. Una realtà scomoda, certo, ma ignorarla è vigliaccheria. Le parole della Riva sono gravi perché minimizzano, sviano, tolgono dignità a chi quella sedia incollata avrebbe potuto averla sotto di sé. O peggio: l’ha già avuta.
Come me.
Come troppi altri ragazzi.
Chi oggi siede in consiglio comunale ha il dovere di proteggere, non di proteggersi. Di chiamare le cose con il loro nome, di guardare in faccia la crudeltà che può annidarsi anche tra i banchi di scuola.
Dire che non si tratta di bullismo solo perché la legge 71 non è stata soddisfatta nei minimi dettagli è come dire che un pugno in faccia non è violenza se non lascia un livido.
A Merate, chi ha fatto del male è rimasto impunito.
Chi ha subito ha cambiato scuola.
A quanto pare, funziona ancora così: si allontana chi è ferito, si tutela chi ha ferito.
E l’assessora, invece di alzare la voce contro questa vergogna, la minimizza.
Forse per lei, Signora Riva, queste sono solo “chiacchiere d’aula”.
Per me, per chi come me ha passato ore a sentirsi sbagliato, invisibile, indesiderato, queste parole sono un insulto. Non a me. Alla verità. E alla giustizia.
Spero che un giorno anche lei trovi il coraggio di guardare in faccia un ragazzo bullizzato e gli dica, con sincerità: «Mi dispiace, ti ho creduto». Finché quel giorno non arriva, lasci almeno che la voce di chi ha sofferto venga ascoltata.
Io, nel mio piccolo, ci ho provato
Un liceale 19enne
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