Olgiate scuola: niente bus né laboratori per chi sceglie le 30 ore. E i diritti di tutti?
Titolo: Olgiate: Accesso diseguale ai servizi scolastici: una questione di equità Una risposta alle parole dell’Assessore
Il titolo comparso sul vostro giornale è chiaro: “Olgiate: a giugno l’iscrizione ai servizi scolastici. Dall’anno 25/26 stop lezioni al sabato”. Un titolo che annuncia un cambiamento, sì, ma lo fa in toni rassicuranti, quasi burocratici.
Peccato però che, dietro quella che sembra una normale riorganizzazione scolastica, si nascondano scelte che rischiano di discriminare decine di famiglie del nostro Comune.
Perché il punto non è che il sabato non si andrà più a scuola.
Il punto è che, per l’anno scolastico 2025/2026, le famiglie hanno potuto scegliere tra due modelli di orario: 30 ore (tempo normale) e 36 ore (tempo prolungato). Una libertà legittima, prevista e tutelata dal nostro ordinamento scolastico.
Ma appena esercitata, questa libertà ha rivelato le sue contraddizioni. Perché a chi ha scelto il modulo a 30 ore non verranno garantiti – almeno secondo quanto indicato nella comunicazione comunale – né il servizio di trasporto scolastico per tre giorni alla settimana, né l’accesso ai laboratori extra-curriculari, né alcuna riduzione tariffaria per il mancato utilizzo.
Perché qui, scegliere il tempo normale non significa semplicemente uscire prima da scuola.
Significa rinunciare a tre giorni su cinque al servizio di trasporto scolastico.
Significa non accedere ai laboratori extracurricolari finanziati dal Comune.
Tutto questo mentre, ancora oggi, a inizio maggio, le famiglie non hanno ricevuto alcuna conferma ufficiale su quale classe sarà assegnata ai propri figli. L’Istituto Comprensivo ha dichiarato di essere in attesa di una risposta dall’Ufficio Scolastico Territoriale, eppure il Comune ha già diffuso date, orari e servizi strutturati esclusivamente sul modello a 36 ore. Con che certezza? Su quali basi?
Nel frattempo, apprendiamo che il Comune ha deliberato una spesa di circa 50.000 euro per l’implementazione del bike sharing, parte dei quali finanziati dalla Regione. Nessuno mette in discussione l’importanza della mobilità sostenibile. Ma in un paese di meno di 7.000 abitanti, quanti cittadini useranno davvero il bike sharing? E se proprio dev’esserci, allora che venga installato almeno davanti alla scuola: sarà un’alternativa – ironica ma simbolica – per quei ragazzi a cui è stato negato lo scuolabus. Una provocazione? Forse. Ma a volte è solo attraverso i paradossi che si mettono a nudo le priorità.
Perché qui non si tratta più solo di servizi. Si tratta di diritti.
Si tratta di bambini che rischiano di essere esclusi per aver fatto una scelta educativa pienamente legittima.
Di famiglie che oggi non sanno se iscrivere o meno i propri figli ai servizi scolastici, nel timore di incorrere in penali o di non ricevere ciò per cui pagano.
E si tratta, infine, di una comunità che non chiede privilegi, ma giustizia.
Che non cerca scontro, ma ascolto.
Che non vuole polemiche, ma risposte.
Trent’ore non possono costare un diritto. Non in una scuola. Non in uno Stato di diritto.
Il titolo comparso sul vostro giornale è chiaro: “Olgiate: a giugno l’iscrizione ai servizi scolastici. Dall’anno 25/26 stop lezioni al sabato”. Un titolo che annuncia un cambiamento, sì, ma lo fa in toni rassicuranti, quasi burocratici.
Peccato però che, dietro quella che sembra una normale riorganizzazione scolastica, si nascondano scelte che rischiano di discriminare decine di famiglie del nostro Comune.
Perché il punto non è che il sabato non si andrà più a scuola.
Il punto è che, per l’anno scolastico 2025/2026, le famiglie hanno potuto scegliere tra due modelli di orario: 30 ore (tempo normale) e 36 ore (tempo prolungato). Una libertà legittima, prevista e tutelata dal nostro ordinamento scolastico.
Ma appena esercitata, questa libertà ha rivelato le sue contraddizioni. Perché a chi ha scelto il modulo a 30 ore non verranno garantiti – almeno secondo quanto indicato nella comunicazione comunale – né il servizio di trasporto scolastico per tre giorni alla settimana, né l’accesso ai laboratori extra-curriculari, né alcuna riduzione tariffaria per il mancato utilizzo.
Perché qui, scegliere il tempo normale non significa semplicemente uscire prima da scuola.
Significa rinunciare a tre giorni su cinque al servizio di trasporto scolastico.
Significa non accedere ai laboratori extracurricolari finanziati dal Comune.
Tutto questo mentre, ancora oggi, a inizio maggio, le famiglie non hanno ricevuto alcuna conferma ufficiale su quale classe sarà assegnata ai propri figli. L’Istituto Comprensivo ha dichiarato di essere in attesa di una risposta dall’Ufficio Scolastico Territoriale, eppure il Comune ha già diffuso date, orari e servizi strutturati esclusivamente sul modello a 36 ore. Con che certezza? Su quali basi?
Nel frattempo, apprendiamo che il Comune ha deliberato una spesa di circa 50.000 euro per l’implementazione del bike sharing, parte dei quali finanziati dalla Regione. Nessuno mette in discussione l’importanza della mobilità sostenibile. Ma in un paese di meno di 7.000 abitanti, quanti cittadini useranno davvero il bike sharing? E se proprio dev’esserci, allora che venga installato almeno davanti alla scuola: sarà un’alternativa – ironica ma simbolica – per quei ragazzi a cui è stato negato lo scuolabus. Una provocazione? Forse. Ma a volte è solo attraverso i paradossi che si mettono a nudo le priorità.
Perché qui non si tratta più solo di servizi. Si tratta di diritti.
Si tratta di bambini che rischiano di essere esclusi per aver fatto una scelta educativa pienamente legittima.
Di famiglie che oggi non sanno se iscrivere o meno i propri figli ai servizi scolastici, nel timore di incorrere in penali o di non ricevere ciò per cui pagano.
E si tratta, infine, di una comunità che non chiede privilegi, ma giustizia.
Che non cerca scontro, ma ascolto.
Che non vuole polemiche, ma risposte.
Trent’ore non possono costare un diritto. Non in una scuola. Non in uno Stato di diritto.
Lettera firmata