Mai avremmo pensato di poter dire che la spettralità delle piazze, oggi, è un grande valore

Tutto il mondo è paese. Di gesti, azioni o parole scriteriate se ne sono registrate molte su scala nazionale. Dal "è poco più di una normale influenza" pronunciato, tra gli altri, dall'uomo mascherato; alla negazione della necessità di estendere la zona protetta nelle Province venete, come ha sostenuto lo stesso dello stereotipo sui topi mangiati vivi in Cina, poco prima che le limitazioni venissero estese in tutta Italia; alla deputata leghista umbra che ha ricalcato l'episodio nostrano. Potremmo dire, Dio li fa e poi li ficca nello stesso partito. Così l'opinione dei cittadini ha vacillato in un'oscillazione pendolare (e poco sobria) tra l'ottimismo e il catastrofismo.
L'assenza di responsabilità da parte dei vertici del Governo e della Regione oggi viene lamentata dal mondo delle industrie. Con il Protocollo appena firmato lo Stato dimostra ancora una volta di arrivare in ritardo nell'affrontare l'emergenza Coronavirus. Nel documento vengono previste misure precauzionali che le grandi aziende stanno già applicando autonomamente da una settimana. A loro serviva il blocco totale dell'attività per due settimane e deciso dal Governo, come accaduto in Cina, non un elenco di buone prassi. Sarebbe stato un elemento di garanzia nei rapporti tra aziende e clienti italiani, ma soprattutto stranieri, nel caso in cui non si riuscisse ad ottemperare agli accordi commerciali. Il Protocollo è insufficiente in quanto considera unicamente l'aspetto - pur fondamentale - della salubrità dei luoghi e della salute dei lavoratori. A titolo di esempio, se l'azienda X non ricevesse una fornitura dalla ditta Y che a sua volta ha dovuto chiudere per Coronavirus, si dovrebbe interrompere il ciclo produttivo. X si troverebbe da sola nel rimodulare i termini del contratto con il cliente Z. Altro tema rimasto sottotraccia è il tasso di assenteismo, che in alcune aziende della Brianza ha sfiorato il 25 per cento negli ultimi giorni. Come biasimare un lavoratore che si procura un certificato di malattia, dato il contesto? I turni dei reparti non possono però reggere così. Sono queste le situazioni reali a cui anche Confindustria non ha saputo offrire risposte, si è guardata i piedi anziché guardare avanti.
L'analogia tra i livelli nazionale e locale vale anche per la sanità. È cosa risaputa che i fondi verso questo ampio settore di spesa, dai valori accertati a quelli previsionali, sono stati ridotti sempre di più. Nell'opinione pubblica andava sempre più affermandosi il pensiero che il Servizio Sanitario Nazionale fosse più un fardello che non la realizzazione di un principio costituzionale di cui andare orgogliosi. Il triste tasso di evasione fiscale nel nostro Paese (le cifre sono ballerine, diciamo 180 miliardi di euro considerando pure l'economia sommersa) sta lì a dimostrare quanto poco si tenga a contribuire per garantire investimenti e prestazioni fondamentali e gratuite. Intanto adesso, in piena emergenza Coronavirus, oltre all'hashtag #restoacasa, va tanto di moda lustrarsi di encomi verso l'SSN, pure da parte di quella politica che o promuove condoni à gogo o sviluppa ipotesi di premiare la sanità privata rispetto alla pubblica o entrambe le cose insieme.
Tornando al nostro ospedale, a prevalere fino a un paio di settimane fa era la non curanza dei cittadini sulle sorti del presidio. Nemmeno un mese fa il direttore di questa testata si sfogava per l'ennesima lettera ricevuta in redazione attorno alle deiezioni canine a Merate contro i zero commenti sulla chiusura definitiva del reparto di Chirurgia pediatrica. Guardandoci allo specchio, chi in questi giorni è sottoposto a turni massacranti al Mandic, senza nemmeno essere dotato dei giusti dispositivi di sicurezza, non ci merita. Togliere un tassello dopo l'altro al presidio ospedaliero, non aumentare i livelli di occupazione, cronicamente insufficienti, significa depotenziare la struttura. Così le nuove leve di professionisti specializzati non trovano qui il luogo in cui maturare le proprie legittime ambizioni di carriera e i bandi capita vadano deserti. Benissimo la raccolta fondi della Fondazione Comunitaria Lecchese ma, a futura memoria, partecipare emotivamente alla vita delle corsie ospedaliere al tempo del COVID-19 non sarà sufficiente per quando poi tutto si sgonfierà. Almeno oggi è palese a tutti quanto sia becera una Legge regionale che fa chiudere un Pronto soccorso o un punto nascite sulla base del numero degli accessi annuali.
L'esperienza Coronavirus, nella sua eccezionalità, ha portato ad estremizzare come in uno stress test i difetti dell'intero sistema. Dall'Europa che non ha mancato di dimostrare la sua frammentarietà, alla quindicina di Comuni del Meratese che non sono ancora riusciti a riunirsi una volta per discutere, ad esempio, sull'alternativa da dare a sostegno delle famiglie con figlio disabile. Una chat tra sindaci non può risolvere situazioni così delicate. Dopo tre settimane di stop delle lezioni scolastiche ci si aspetterebbe la convocazione della Conferenza dei Sindaci o dell'Assemblea del Distretto. Ci sono state poi lungo l'intera penisola le sommosse negli istituti penitenziari che hanno fatto emergere tutti i limiti della condizione carceraria. Limiti che non potranno essere risolti con i soliti slogan. Ancora nel sommerso rimane la discussione su un analfabetismo funzionale che non fa capire il significato di un decreto, in attesa di un serio confronto rimandato all'infinito sull'Istruzione.
Ci sono fortunatamente anche elementi virtuosi. In primis la dedizione di medici, infermieri e operatori socio-sanitari che si stanno spendendo oltre misura fino allo stremo, sacrificando se stessi e le proprie famiglie in apprensione. Aggiungiamo il riconoscimento del ruolo dell'informazione, troppo spesso bistrattata. Infine il senso di responsabilità dei singoli per un ritrovato senso di appartenenza ad un organismo collettivo. Nel cambio delle abitudini c'è qualcosa di ben profondo: la rinuncia a quegli elementi che connotano antropologicamente l'essere umano, il vivere insieme le gioie o il condividere l'elaborazione di un lutto. In nome del bene per la comunità -riscoperto obiettivo - abbiamo sovvertito l'accezione delle cose. Mai avremmo pensato di poter dire che la spettralità delle piazze, oggi, è un valore.
Marco Pessina