Calco:la promozione umana per anticipare l’eutanasia, la ricetta del professor Mariani
Pensare ad un nuovo modello di accompagnamento nelle difficoltà umane, che non sia mera assistenza ma valorizzazione di ogni aspetto della persona. In questo modo, secondo il professor Vittore Mariani, pedagogista dell’Università Cattolica di Milano invitato dalla parrocchia di Calco nella serata di giovedì 30 gennaio ad affrontare un tema spinoso come quello dell’eutanasia, il disagio che può avere il sopravvento in situazioni psicofisiche limitanti viene in qualche modo alleviato e passa in secondo piano di fronte alla possibilità di prendere decisioni drastiche come la ''dolce morte''.
''In ognuna delle comunità umane che conosciamo, dalle famiglie a quelle strutture che chiamiamo servizi alla persona come asili, scuole e residenze anziani, l’essere umano necessità in diverse forme di essere accompagnato, anche solo temporaneamente o perennemente'' ha spiegato il pedagogista. ''Oggi come oggi ci mettiamo nella condizione di chiederci se sia meglio vivere o morire. Se stiamo a guardare la modalità di accompagnamento di tante Rsa viene quasi da pensare che sia meglio la seconda opzione. Ma non pensiamo che siano solo i centri per anziani il problema. Spesso anche nelle famiglie il disabile o l’anziano non autosufficiente lo facciamo sentire un peso''. E' dunque necessario un cambiamento culturale e politico nello stile e nel modo di accompagnare le persone. Nel suo intervento, il docente universitario ha poi elencato che cosa dovrebbe mutare dell’atteggiamento assistenziale nella società odierna.
''Assistere significa che io mi limito ad occuparmi delle necessità primarie dell’essere umano'' ha proseguito. ''Gli do da mangiare, da bere, ne curo l’igiene e tutelo la sua salute. Finito. Tutto ovviamente fondamentale, ma non sufficiente. L’essere umano non vive di sola assistenza, perciò dobbiamo incominciare a parlare di accompagnamento''.
Il secondo passaggio, consequenziale al primo, è quello dalle necessità primarie allo sviluppo globale della persona. ''Noi non siamo riducibili solo alla nostra motricità o alla nostra elaborazione intellettiva. Cosa facciamo altrimenti dei disabili intellettivi? Lo sviluppo globale significa mettersi in una dinamica di promozione integrale che ponga in primo piano l’aspetto umano che più importa a tutti: l’affettività. Uno può essere un genio, ma se è solo è facile che sia disperato. C’è bisogno perciò di una progettualità di accompagnamento alla ricerca di un’esperienza della benevolenza''.
Il professor Vittore Mariani, pedagogista dell’Università Cattolica di Milano
Circondare di affetto, dunque, deve essere la prima proposta di una comunità nei confronti dei suoi componenti più in difficoltà. ''Dobbiamo necessariamente limitare l’utilizzo della parola individuo. Uno dei motti più devastanti di oggi è infatti 'l’individuo e i suoi bisogni'. Dobbiamo passare una volta per tutte dall’individuo alla comunità. L’essere umano è una persona in relazione con gli altri che vive a prescindere dalle forme e trova sempre accoglienza''. Altro termine che dovrebbe essere messo al bando è quello di prestazione. ''Nella nostra società parlare di funzionamento e prestazione significa definire un punto da raggiungere senza alternative. La libertà è un’altra cosa, è dare possibilità.
Il parroco di Calco, don Carlo Motta
Ognuno deve potersi esprimere secondo le proprie capacità''. Per una comunità più efficiente, che svolga nel migliore dei modi il suo compito, serve poi sfatare il mito dell’autodeterminazione. ''Siamo sempre più convinti che l’indipendenza sia la nostra libertà, ma è una presa in giro. Dobbiamo riconoscere, invece, che l’essere umano può trovarsi in varie situazioni in una condizione di dipendenza dagli altri, a partire dal bimbo che esce dal grembo materno fino agli anziani''. Prendendo spunto nuovamente dall’arrivo di un bebè, il professor Mariani ha poi chiamato in causa il passaggio necessario da quotidianità a progettualità. ''Dobbiamo dotarci di un progetto di accompagnamento'' ha spiegato. ''E’ un po’ come i genitori che, quando aspettano un bambino, si ingegnano per accoglierlo nei primi anni di vita. Preparano la cameretta, il lettino e il fasciatoio. Così deve essere la progettualità comunitaria che si ingegna per accompagnare le altre persone''.
Ciò che di più tragico può avvenire nelle relazioni umane, ha proseguito, è la creazione di aspettative reciproche, da sostituire invece con la ricerca – attraverso uno sguardo pedagogico – del bello negli altri, nel potenziale che si può trovare in ciascuno. In conclusione, il professor Mariani ha racchiuso ognuno di questi mutamenti in uno solo, e cioè il passaggio dalla disperazione alla speranza. ''Dobbiamo creare le condizioni che ci permettano di realizzare un’inclusione comunitaria talmente centrale che consenta di vivere pur in mezzo ai vari travagli in una situazione di serenità. Per questo dobbiamo sicuramente attivare un cambiamento culturale e politico''.
A.S.