Cernusco: Amici di Ikonda Hospital chiude dopo 17 anni e Padre Sandro e la dott.ssa Buzzi rimpatriano con dolore. ''Ci siamo rifiutati di pagare i ricchi per curare i poveri''

L'associazione "Amici Ikonda Hospital - Tanzania" ha chiuso i battenti. E non per mancanza di fondi o di volontari quanto parchè lo scopo per cui era stata creata e per il quale da 17 anni stava lavorando è venuto meno.

Padre Sandro e la dottoressa Manuela Buzzi


Padre Sandro, cernuschese, amministratore del Consolata Hospital in Tanzania, tra i più efficienti del paese ma probabilmente anche di buona parte dell'Africa, ha dato le dimissioni e con lui anche la dottoressa Manuela Buzzi, vice amministratrice, responsabile della farmacia e dell'informatizzazione della struttura. Entrambi hanno preso la via del ritorno in Italia.
"Non siamo venuti in Africa per fare i soldi ma per perseguire il carisma della consolazione e per l'annuncio evangelico". Sono riassunte in queste parole, contenute nella lettera inviata a soci e benefattori, le motivazioni che hanno portato a una scelta tanto drastica quanto dolorosa.

Si voleva dare una impostazione diversa all'ospedale: farlo diventare un cespite di entrata per le varie opere che i missionari della Consolata in Tanzania devono sostenere. Una richiesta che padre Sandro e la dottoressa Buzzi non hanno condiviso, e così, nel rispetto e nella trasparenza verso tutti coloro che in 17 anni hanno contribuito a costruire e a far vivere l'ospedale di Ikonda, essi hanno preferito fermarsi.
Ma facciamo un passo indietro, ricostruendo quello che, senza timore di essere smentiti, è un vero miracolo.
Negli anni Sessanta ai missionari della Consolata viene richiesto di creare una struttura sanitaria sulle montagne di Livingstone, una zona remotissima a ridosso del lago Malawi (o Niassa),  che possa dare sollievo alla popolazione afflitta da fame, malattie, indigenza. Partono con sessanta letti ma le necessità sono ben maggiori.

All'inizio del  2002 si decide per una ristrutturazione e un ampliamento, e per coordinare tutto ciò viene inviato Padre Sandro Nava, cernuschese, già in Tanzania dal 1978, coadiuvato da fratel Gianfranco Bonaudo a cui si aggiungerà la dr.sa Manuela Buzzi.
Probabilmente, senza nemmeno immaginarsi cosa sarebbe stato di lì a 17 anni, Padre Sandro chiede aiuto agli amici brianzoli che, senza incertezze ma fidandosi della sua persona, rispondono con generosità.
Viene fondata l'associazione "Amici  Ikonda Hospital - Tanzania" e si dà il via a campagne di raccolta fondi, iniziative, manifestazioni, sensibilizzazione di privati per donazioni. E, davvero come un miracolo,  gli aiuti iniziano ad arrivare con costanza. Il Consolata Hospital infatti non ha mai ricevuto nessun aiuto statale o da ministeri o da enti. Tutto sulle spalle dell'associazione e dei suoi benefattori e all'inizio anche dalle onlus KUSAIDIA di Riva del Garda, Villasanta Due, UNIFARCO di Belluno e Kammea. Ikonda chiama e la Brianza e i benefattori rispondono.

L'ospedale cresce e con esso anche l'utenza che trova un'assistenza impensabile e sostanzialmente gratuita. Simbolicamente, infatti, i missionari chiedono un contributo e, per chi non può, le cure vengono erogate gratuitamente grazie alle donazioni dei  benefattori.
I numeri annui raccontano di una realtà che si fatica a immaginare possibile, soprattutto perchè, e lo ripetiamo, basata esclusivamente sulla carità, senza alcun sussidio istituzionale: 15mila ricoveri, 110mila pazienti visitati al day hospital,  24mila accessi per visite per l'AIDS, 6 sale operatorie funzionanti, una Tac, una risonanza magnetica, 3 sale raggi X, 6 ecografi moderni, laboratorio analisi, una rianimazione, una farmacia e poi i reparti di maternità, neonatologia, chirurgia, ortopedia, infettivi, isolamento, pediatria, medicina.

Dal punto di vista energetico, Padre Sandro con l'insostituibile aiuto della dottoressa Manuela aveva provveduto a tutto: c'erano 7 generatori elettrici e due turbine idroelettriche, due caldaie per la fornitura di acqua calda in tutto l'ospedale, un acquedotto alimentato da 4 sorgenti, tre macchine per la produzione di ossigeno (16 metri cubi all'ora). E poi 12 fuoristrada, le cliniche mobili, 5 camion, 4 trattori,  un bulldozer Shantui 50 per la pulizia del lago che alimenta le turbine, 2 spaccatronchi per la legna, un garage, una falegnameria e un'officina meccanica con tornio e macchinari per la manutenzione.
Da tre anni era stata aperta una filiale bancaria nel compound dell'ospedale ed era stato installato anche un ripetitore per telefoni.

35 i medici locali  e 40 che, a turnazione andavano dall'Europa, per prestare la loro opera gratuitamente, 320 persone stipendiate,
Un gioiellino nel cuore della Tanzania che la popolazione raggiungeva anche dopo giorni di cammino, a piedi o in bus, (ogni giorno all'ospedale arrivavano 20 pullman) superando ostacoli enormi (dalle strade infangate e impraticabili a quelle battute dal sole cocente) e sicura di ricevere le cure, dalle più "banali" a quelle più complesse come l'impianto di una protesi.
Dietro tutto questo, lo ripetiamo, gli aiuti e le donazioni dall'Italia e in piccola parte dall'Inghilterra, Stati Uniti e dalla CEI (conferenza Episcopale Italiana).

Ikonda diventa così un modello di una sanità al servizio dei poveri. Ma una sanità d'eccellenza, così come la volevano padre Sandro e la dr.sa Manuela. Questo soprattutto in rispetto allo spirito dei missionari della Consolata di dare a tutti le stesse opportunità, senza distinzione di ceto sociale. Il risvolto della medaglia è che l'opera diventa anche un oggetto del desiderio.
Padre Sandro e la Dr.sa Manuela ricevono così pressioni da enti e istituzioni governative locali che chiedono a diverso titolo e a volte anche apertamente tangenti o bustarelle a cui mai cedono affermando che "non vogliamo pagare i ricchi per poter aiutare i poveri".  Al tempo stesso i padri della Consolata africanizzata vogliono che l'ospedale si autofinanzi e che  diventi anche un cespite per sovvenzionare altre attività missionarie in loco.

 "Ci è stato richiesto anche di aumentare i prezzi delle medicine, degli interventi,... per poi col profitto ricavato finanziare l'istituto qui in Tanzania. Noi non lo abbiamo mai fatto e ci siamo opposti a questo", hanno spiegato in una lettera molto dettagliata e che non lascia spazio a interpretazioni.
Lasciare il Consolata Hospital è stata una scelta sofferta ma l'unica possibile, per non tradire la fiducia di tutti coloro che hanno reso possibile l'inimmaginabile.

Ora la gestione, l'approvvigionamento, il sostentamento dell'ospedale sono a carico della Congregazione che ha dovuto già affrontare il primo problema. In arrivo dall'Italia, infatti, c'é la dialisi per l'installazione nel nuovo reparto di nefrologia. Un altro acquisto importante...sì  ma chi provvederà a tutto, formazione dei medici compresa?

Del resto Padre Sandro (che si è preso un anno di riposo) e la dottoressa Buzzi (tornata a lavorare nella farmacia di famiglia dopo 15 anni spesi a Ikonda) sono stati chiari "non possiamo tradire la fiducia di chi ci fa offerte e lasciti per una causa, e impiegare gli stessi soldi per altro. Non sarebbe corretto".
  • La lettera dell'associazione in cui si comunica la fine dell'attività CLICCA QUI
  • La lettera di Padre Sandro e della dottoressa Buzzi indirizzata ai benefattori in cui si spiegano le ragioni della decisione CLICCA QUI
S.V.

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