Osnago: i ragazzi di GinSong presentano l'esperienza in Bosnia con l'associazione Most Mira

"Finché non impareremo a non incolparci a vicenda, non si potrà mai andare avanti. Bisogna riuscire a perdonare, senza dimenticare". Kemal è stato uno degli oltre 4mila detenuti del campo di concentramento di Omarska durante la guerra in Bosnia del ‘92.

Nonostante il ricordo incancellabile di donne maltrattate ripetutamente per una minestra annacquata, di uccisioni sommarie tra copertoni, fango e detriti, Kamal ha reagito decidendo di portare un messaggio di speranza, e ha voluto farlo attraverso  un’associazione, Most Mira, che ha come obiettivo principale quello di dimostrare l’inutilità della guerra in Jugoslavia e di costruire ponti con attività ricreative e inclusive per i giovani.

Qualche mese fa la sua storia si è incrociata con quella dei ragazzi di Ginsong - compagnia teatrale amatoriale con sede a Pagnano - che hanno deciso di sposare la sua causa. Ieri, presso la Sala civica di Osnago, i membri dell’associazione hanno raccontato la loro esperienza in Bosnia, parlando del loro viaggio attraverso i luoghi e le anime della guerra.

Dopo una serie di iniziative volte a raccogliere fondi, nove ragazzi hanno affrontato un viaggio per portare il loro spettacolo e le offerte raccolte e capire quali fossero i motivi di tanto odio mascherato da guerra religiosa. Il loro viaggio si è così trasformato in un percorso tra le ferite e le cicatrici della guerra, tra le ombre dei dispersi e tra i cadaveri degli innocenti.

"Volevamo far conoscere questa associazione perché porta un pensiero positivo.  È un progetto che serve per fare in modo che non succeda più la stessa cosa. Most Mira non vuole mettere pace tra le religioni, anche perché la religione è stata usata come mezzo. È una associazione che lavora su ragazzi, per fare in modo che non dimentichino” – ha spiegato uno dei volontari di Ginsong.

Alcuni ragazzi hanno poi voluto condividere la loro esperienza e le loro emozioni con i presenti. “Non dimenticherò mai i volti segnati dal dolore. Di chi non sapeva nulla di quello che è successo negli anni 90. Non dimenticherò mai le facce di chi ha sentito parlare per la prima volta di fosse comuni o campi di concentramento, qualcosa che noi associamo solo alla Seconda guerra mondiale.  Le persone che abbiamo incontrato ci hanno aperto la loro case e il loro cuore”.

Oltre alle esperienze personali e ad un breve video del viaggio, la voce del ricordo è stato affidata ai passi del romanzo di Margaret Mazzantini “Venuto al mondo”, vincitore del premio Campiello nel 2009.



Molto toccante poi la testimonianza di un signore bosniaco, che ha vissuto quei drammatici giorni del 2 maggio 1992. "Tanti si chiedono le origini del conflitto. Zdenko, tu che cosa sei?, mi chiedono spesso. E io rispondo: italiano, nato in Bosnia e con origine ceca. Però mi sento bosniaco, anche se in casa mia si parla ceco. E mi sente profondamente italiano. Sono tutte queste cose, insieme. La Bosnia è un pentolone di culture, che Tito è riuscito a tenere insieme nel bene e nel male. Tutto è iniziato perché abbiamo iniziato a distinguerci, direi senza motivo. Non si capirà mai perché lo abbiamo fatto, perché ci siano stati 250mila morti, ma lo abbiamo fatto e basta”.
B.V.
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