Olgiate: l'incredibile vita di Redaelli, il chimico che collaborò alla sintesi e alla purificazione della prima penicillina in Italia

Ci sono anziani che con le loro storie rendono in prospettiva più drammatici gli effetti della recessione demografica in atto negli ultimi tempi in Italia. La fortuna è che probabilmente di giovani disposti ad ascoltare ne mancheranno quando non ci saranno anche più storie di vite avventurose da raccontare, un po' come oggi quella del signor Silvio Redaelli di Olgiate. Tanto per incominciare, dall'ultima e forse anche la meno rilevante delle diverse cose eccezionali che il signor Silvio ha fatto nella sua vita, a 98 anni ha ancora la patente. Gli scadrà il prossimo 28 ottobre, cioè il giorno del suo 99esimo compleanno. Non è detto che gliela rinnoveranno, tuttavia, per quanto sia ancora piuttosto arzillo e sicuro di sé.


Silvio Redaelli, 99 anni il prossimo 28 ottobre

''Togliermi la patente vorrebbe dire mettermi agli arresti domiciliari'' ci ha detto prima di cambiare subito argomento per raccontare come ci è arrivato a 98 anni con la patente ancora in tasca e il suo nome legato ad alcune delle più importanti scoperte italiane nel settore chimico e farmaceutico. Era il 28 ottobre (anche se lo abbiamo già detto) del 1920 quando Silvio Redaelli venne al mondo nell'allora Comune di Mondonico, che poi fu annesso ad Olgiate nel '27. Figlio di contadini, trascorse i primi anni della sua vita tra il lavoro in fattoria e gli studi alle elementari. Il primo aneddoto curioso risale a quando Redaelli aveva 11 anni e la stalla della sua famiglia fu colpita da un devastante incendio. Lui fu costretto a lanciarsi dalla finestra per atterrare sul telone dei pompieri. Fortuna volle che nessuno dei suoi tanti fratelli rimase coinvolto e nemmeno le bestie.
''Fu un vero trambusto, mio papà già era disperato perché eravamo sul lastrico'' ha raccontato. ''Allora, infatti, imperversava la crisi americana. Poco dopo decise che ci saremmo trasferiti tutti a Lentate sul Seveso''. Non mancarono lutti in famiglia, come ad esempio per la morte della sorella Maria Silvia che contrasse la spagnola. Il mondo cominciò a sorridere però al signor Silvio quando la famiglia Fiocchi di Lecco ricompensò la madre dell'olgiatese per essere stata balia di uno dei rampolli di famiglia.



''L'ultimo dei fratelli, Costantino, ebbe come balia mia madre'' ha proseguito il 98enne. ''Un giorno mi volle parlare. Allora frequentavo la quinta elementare ed ero destinato ad imparare il mestiere di falegname. Costantino, però, disse che voleva investire su di me. 'E' un mio dovere aiutarti- mi disse -perché è come se fossi il tuo fratello maggiore'. Mi iscrissi perciò al Collegio Volta e lì frequentai le commerciali. Costantino poi partì per combattere l'avanzata di Franco in Spagna e rimase per otto mesi in ospedale. Mi lasciò da solo, in poche parole, e in qualche modo cercai di andare avanti''. Le cose per il signor Redaelli non andarono poi tanto male anche in assenza di colui che lo aveva convinto a proseguire con gli studi, tanto che agli impegni scolastici affianco giovanissimo, quando aveva circa 16 anni, anche un lavoro di assistente nei laboratori di chimica organica della Farmitalia a Cesano Maderno.
''Erano tre locali presi in affitto dall'ACNA (Azienda Coloranti Nazionali e Affini). Era il 1937 e da lì ho incominciato a fare l'aiuto laboratorio. Quando entrai la prima volta vidi vetri e apparecchiature dappertutto e quasi mi spaventai. Con il tempo però i colleghi mi sono trovato sempre più a mio agio e dopo qualche giorno è venuto da me un direttore del laboratorio di ricerca. Mi disse che sapeva che ero diplomato e siccome avevo collaborato bene con un certo professor Maimeri e che l'azienda voleva che diventassi un perito chimico. Dovetti perciò fare un anno integrativo privato e poi altri quattro''. Quando gliene mancava uno soltanto per diplomarsi, però, scoppiò la guerra e Redaelli fu chiamato alle armi, destinato a reggimento chimico.


Il chimico olgiatese con alcuni allievi del Politecnico di Milano

''Maneggiavamo nebbiogeni, aggressivi chimici e lanciafiamme. Il nostro scopo era quello di avvicinarci ai fortini da dove sparavano le mitragliatrici. Uno doveva imbracciare un lanciafiamme e l'altro puntare un moschettone in difesa di entrambi. Su quindici che andavano ne tornavano tre. Tra le sostanze più pericolose che avevamo c'erano l'iprite, il cloro e il fosgene, un liquido velenoso che quando lo metti per terra con l'umidità evapora e i suoi vapori creano forti irritazioni a livello ascellare e inguinale. Fortuna volle che non mi trovai mai a dover compiere un'azione militare particolarmente rischiosa. Al terzo mese che ero in guerra, il nostro reggimento fu destinato in un campo tra Roma e Ostia, più precisamente nei pressi di Acilia''.
Per quanto riuscì a scampare le battaglie più serrate, come per tutti i soldati in battaglia dall'8 settembre del 1943 le cose per il caporal maggiore dei furieri Silvio Redaelli (che nel frattempo si era guadagnato quel grado grazie anche agli studi effettuati prima di arruolarsi) iniziarono a mettersi male. ''Quando i tedeschi assediarono il nostro campo fummo costretti ad uscire dalle baracche con le mani in alto. Tutti in fila ci hanno cacciato in una grotta che veniva utilizzata da un pecoraio abruzzese per metterci dentro le pecore. Insomma, ero finito in mano ai tedeschi. Dopo qualche giorno dissi ad un mio compagno, un certo Fachini, che avevo intenzione di andarmene''.



Un'allieva di Redaelli al Politecnico di Milano

Una fuga piuttosto rocambolesca, quella di Redaelli, che riuscì anche grazie alla sua stazza piuttosto minuta a non dare particolarmente nell'occhio. Riuscì a carponi a risalire un tratto della ferrovia interrata che transitava poco lontano, trovando per tre mesi ospitalità proprio dal pecoraio abruzzese, del quale - ha aggiunto scherzosamente - diventò garzone per un periodo. Il viaggio di ritorno, compiuto a bordo di alcuni treni, fu tutto sommato tranquillo. ''I primi sei mesi li trascorsi qui ad Olgiate, aspettando che venissero gli americani a liberarci. Alla fine della guerra sono tornato invece a Lentate ed ho finito gli studi, partendo definitivamente con il mio lavoro in Farmitalia''. Ed è qui che il suo nome incomincia a legarsi con alcune delle più importanti prodotti della chimica farmaceutica, e non solo. ''Come aiutante di laboratorio collaborai a fare uno dei primi antimalarici, l'Atebrina. Dopo di ché lavorammo agli steroidi. Il primo fu il cortisone, che sintetizzammo partendo dal colesterolo. In laboratorio arrivavano cervelli di bue in grandi quantità. Era il 1946 e in quel periodo il nostro direttore era il professor Luigi Mamoli, che fu il primo assistente di Adolf Friedrich Johann Butenandt, vincitore del Premio Nobel per la chimica nel 1939. Con lui prima sintetizzammo il cortisone e poi una sequenza di steroidi come testosterone, progesterone e follicolina''.



Il nome di Redaelli iscritto nella pubblicazione sulla scoperta dell'adriamicina

Redaelli lavorò in Italia i primi grammi di penicillina, scoperta molti anni prima dal celebre medico e farmacologo scozzese Alexander Fleming ma lavorata in Italia solo dopo la seconda guerra mondiale. Per farlo, Redaelli lavoro a stretto contatto con un altro Premio Nobel per la chimica, il professor Ernest Chain. Il lunghissimo elenco di prodotti farmaceutici ai quali l'olgiatese oggi 98enne lavorò prosegue con l'acido lisergico e antivirali come la distamicina. ''Gli ultimi 15 anni di attività li ho dedicati alla ricerca del primo farmaco antitumorale che ancora oggi viene utilizzato negli ospedali. E' la cosiddetta adriamicina. Riduce il tumore al seno nel 72% dei casi quando questo è inferiore ai due centimetri. Ho redatto il primo procedimento di laboratorio, la messa a punto dello stesso e quello per la produzione in impianto pilota. La conseguenza fu il riconoscimento da parte della Camera di Commercio di Milano il 26 novembre del 1972 con l'assegnazione di un Diploma e medaglia d'oro come 'Lavoratore particolarmente meritevole che ha contribuito con l'apporto di suggerimenti ed esperienze a favorire e migliorare la produttività promuovendo il progresso tecnico dell'Azienda dalla quale dipende'''.



Un'altra foto di Redaelli nel laboratorio del Politecnico di Milano

Se c'è però un'esperienza che Redaelli porta nel cuore più di altre è quella degli anni trascorsi come volontario, una volta lasciati i laboratori farmaceutici, nel dipartimento di chimica del Politecnico di Milano. ''E' stata per me una grande soddisfazione, questa. Ogni giorno mi chiedevo che cosa pensassero i giovani di questo vecchietto che veniva in laboratorio. Poi però mi accorgevo che riuscivo a trasmettergli carica ed entusiasmo, che poi si rifletteva sui loro studi. Solitamente dicevo loro che non tutto quello che c'è da sapere sulla chimica si trovava sui libri, prima si impara la teoria, ma poi si deve anche mettere in pratica. Ricordavo loro sempre quello che diceva Galileo Galilei e cioè di provare e riprovare, perché anche le prove negative, in fondo, sono prove positive''.
A.S.
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