Crippa e Marinoni protagoniste al teatro greco di Siracusa
Maddalena Crippa e Laura Marinoni, ovvero due grandi attrici protagoniste, con "Le Troiane" ed "Elena" di Euripide, al Teatro Greco di Siracusa. Cinquemila ogni sera gli spettatori. Nella programmazione di "Donna e guerra" , tema proposto per la stagione 2019 da INDA (Istituto Nazionale Dramma Antico di Siracusa, diretto da Antonio Calbi) le protagoniste però sono tre. Chiuse il 23 giugno le repliche dei primi due spettacoli, dal 28 giugno andrà in scena "Lisistrata", di Aristofane, con Elisabetta Pozzi. Noi ci siamo fermati solo il 15 e 16 giugno per le prime due, nonchè il 17, per la "Giornata del rifugiato".
Il 1 luglio Luca Zingaretti sarà in scena, per un solo giorno, con "La Sirena" lettura dal testo di Giuseppe Tomasi di Lmpedusa. Il 18 luglio "Il canto di Orfeo" con l'Orchestra sinfonica Bellini di Catania. Il 25 luglio Ludovico Einaudi al pianoforte con "Seven Days Wlaking". Un paio di mesi fa, per dieci giorni, la Sea Wach, nave della onlus che accoglie i naufraghi in fuga da guerre e povertà dei loro Paesi, era rimasta ferma per una decina di giorni al largo di Siracusa. Gli spettacoli proposti finora sui gradoni dell'anfiteatro sono stati sempre sold out. Da quanto ci ha raccontato chi andrà in scena tra giugno e luglio, nei prossimi appuntamenti accadrà la stessa cosa. E non potrebbe essere altrimenti. Le interpretazioni che Maddalena Crippa e Laura Marinoni danno di Ecuba ("Le Troiane") e di "Elena" sono così intense da commuovere fino alle lacrime. "Dopo una lunga guerra - si legge nella sintesi de "Le Troiane" (la traduzione è di Alessandro Grilli) - la città di Troia è sconfitta. Gli uomini troiani sono stati trucidati e le donne assegnate come schiave ai vincitori. Cassandra viene data ad Agamennone, Andromaca a Neottolemo, ed Ecuba ad Odisseo. Andromaca subisce una sorte terribile. Astianatte, il figlio avuto da Ettore viene ucciso dai Greci per evitare che un giorno possa vendicare la morte del padre (e qui l'emozione non può che sopraffare). Ecuba ed Elena si sfidano in una sorte di agone giudiziario, per stabilire le responsabilità dello scoppio della guerra. Intanto il corpicino di Astianatte viene riconsegnato ad Ecuba per il rito funebre. Troia viene data alle fiamme, mentre le prigioniere salutano per l'ultima volta la loro città. Attori tutti bravissimi, ma a lasciare subito senza respiro per l'intensità dell'interpretazione, è fin dalle prime parole, la voce di Ecuba, ovvero Maddalena Crippa.
Ma i Dioscuri la frenano, convincendolo ad accettare la volontà degli dei. La scenografia è spettacolare, con attrice e attori che per oltre due ore cammineranno nell'acqua, il mare che copre l'intero palcoscenico. Sempre in scena, Laura Marinoni interpreta Elena con un'intensità che deve richiedere una fatica enorme. Ma è la bravura di tutti, nessuno escluso, a consegnare al pubblico uno spettacolo continuamente interrotto dagli applausi. Che continuano a lungo, anche quando, concluso lo spettacolo, gli attori si presentano al pubblico per salutare. La Sicilia è regione dove il turismo è certamente in aumento. L'aeroporto di Catania era strapieno. Molti anche i turisti in visita a Siracusa. Certamente qualcuno sta pensando di visitare questa splendida regione. Ecco, allora nel programma, avanzate una sera libera, meglio ancora un paio, e trovate il modo per visitare Siracusa, la bellissima Ortigia, ma soprattutto prenotate una serata al Teatro Greco. Non sappiamo cosa sarà in programmazione nel 2020. Scopritelo da soli. Noi però siamo certi che, se vorrete seguire questo piccolo consiglio, forse ci ringrazierete.
Lettura di Maddalena Crippa per la giornata del rifugiato
La canzone di Benson Sakey
Anno 2006: arrivò sulla costa di Siracusa un barcone pieno di profughi stremati dal viaggio. Erano tutti provenienti dall’Africa centro occidentale. Uno di essi, un ragazzo di 16 / 18 anni morì subito dopo per i troppi stenti patiti. In seguito ne rintracciammo il fratello e così sapemmo che si chiamava Benson Sakey. Non era morto un cane né un anonimo e non potevamo sopportare l’idea di fargli dare una frettolosa sepoltura senza neanche una lapide, senza neanche un fiore e nella indifferenza della città.
Riempimmo le mura di Siracusa con duecento inviti a partecipare al funerale nella chiesa di Bosco Minniti. Il funerale di “CLANDESTINO”. Così lo chiamammo, sia perché non conoscevamo ancora il suo nome, sia per sbattere in faccia al “civile” occidente il criminale tentativo di spogliare di ogni dignità chi arriva da noi in cerca di futuro, vita, sicurezza e si vede derubato subito anche del suo nome. Almeno un migliaio di persone furono presenti e tutte le autorità locali. Quel ragazzo fu salutato da essere umano e tutti piansero per il suo sogno stracciato.
I suoi amici mi dissero i loro sentimenti, cosa pensavano e il mio compito fu di esprimerli in parole scritte che sono esposte in chiesa a Bosco Minniti, nell’ erigendo LUOGO DELLA MEMORIA insieme alla lapide che stava sulla sua tomba. Nacque così la CANZONE DI BENSON SAKEY.
Dalle sabbie del Sahara o dagli abissi del Mediterraneo
Siamo saliti al cielo di Dio.
Il sole martellante del deserto ci ha disseccati,
un mare di liquida disperazione ci ha sommersi
e ondate di lacrime ci hanno chiuso gli occhi per sempre.
Uomini, donne, bambini, neonati.
Ora anche noi abbiamo le scarpe ai piedi
E camminiamo per i cieli liberi di nostro Padre:
senza frontiere
senza motovedette della polizia,
senza respingimenti,
lontani dalle naziste prigioni della Libia,
senza temere l’urlo delle onde nella notte.
Non siamo più clandestini nei cieli sconfinati.
Ma neanche prima eravamo clandestini
perché la terra è di Dio.
Di nuovo si aprirà un giorno il mar Rosso
E i nostri figli lo attraverseranno
Con le scarpe ai piedi e bei vestiti colorati.
I nostri figli, anche quelli frutto dello stupro di massa
che le nostre mogli hanno subito in Libia.
Ma quelli che ci hanno lasciato morire:
i faraoni padroni del mondo
e la gente che non vede mai niente,
loro saranno sommersi dalle onde pesanti
del giudizio della storia.
Vivranno solo nel nostro perdono.
La nostra pietà darà vita nuova
a chi ci chiamò “clandestini”
E ci condannò a giacere insepolti tra le dune del Sahara
o sprofondati nel Mediterraneo:
mare pesante dove annega la speranza.
La nostra pietà darà vita nuova a chi ci chiamò “clandestini”
e disprezzò e sfruttò sino alla radice gli altri di noi,
quelli riusciti a toccare i vostri scogli
con l’ingenua sicurezza di trovare le scarpe
ma camminano ancora a piedi nudi
per le strade delle vostre tristi città.
Avrà fine il genocidio.
Ma quanto ancora il grido di chi cerca vita
Solo dalla morte sarà udito e vilipeso?
La canzone di Benson Sakey
Anno 2006: arrivò sulla costa di Siracusa un barcone pieno di profughi stremati dal viaggio. Erano tutti provenienti dall’Africa centro occidentale. Uno di essi, un ragazzo di 16 / 18 anni morì subito dopo per i troppi stenti patiti. In seguito ne rintracciammo il fratello e così sapemmo che si chiamava Benson Sakey. Non era morto un cane né un anonimo e non potevamo sopportare l’idea di fargli dare una frettolosa sepoltura senza neanche una lapide, senza neanche un fiore e nella indifferenza della città.
Riempimmo le mura di Siracusa con duecento inviti a partecipare al funerale nella chiesa di Bosco Minniti. Il funerale di “CLANDESTINO”. Così lo chiamammo, sia perché non conoscevamo ancora il suo nome, sia per sbattere in faccia al “civile” occidente il criminale tentativo di spogliare di ogni dignità chi arriva da noi in cerca di futuro, vita, sicurezza e si vede derubato subito anche del suo nome. Almeno un migliaio di persone furono presenti e tutte le autorità locali. Quel ragazzo fu salutato da essere umano e tutti piansero per il suo sogno stracciato.
I suoi amici mi dissero i loro sentimenti, cosa pensavano e il mio compito fu di esprimerli in parole scritte che sono esposte in chiesa a Bosco Minniti, nell’ erigendo LUOGO DELLA MEMORIA insieme alla lapide che stava sulla sua tomba. Nacque così la CANZONE DI BENSON SAKEY.
Dalle sabbie del Sahara o dagli abissi del Mediterraneo
Siamo saliti al cielo di Dio.
Il sole martellante del deserto ci ha disseccati,
un mare di liquida disperazione ci ha sommersi
e ondate di lacrime ci hanno chiuso gli occhi per sempre.
Uomini, donne, bambini, neonati.
Ora anche noi abbiamo le scarpe ai piedi
E camminiamo per i cieli liberi di nostro Padre:
senza frontiere
senza motovedette della polizia,
senza respingimenti,
lontani dalle naziste prigioni della Libia,
senza temere l’urlo delle onde nella notte.
Non siamo più clandestini nei cieli sconfinati.
Ma neanche prima eravamo clandestini
perché la terra è di Dio.
Di nuovo si aprirà un giorno il mar Rosso
E i nostri figli lo attraverseranno
Con le scarpe ai piedi e bei vestiti colorati.
I nostri figli, anche quelli frutto dello stupro di massa
che le nostre mogli hanno subito in Libia.
Ma quelli che ci hanno lasciato morire:
i faraoni padroni del mondo
e la gente che non vede mai niente,
loro saranno sommersi dalle onde pesanti
del giudizio della storia.
Vivranno solo nel nostro perdono.
La nostra pietà darà vita nuova
a chi ci chiamò “clandestini”
E ci condannò a giacere insepolti tra le dune del Sahara
o sprofondati nel Mediterraneo:
mare pesante dove annega la speranza.
La nostra pietà darà vita nuova a chi ci chiamò “clandestini”
e disprezzò e sfruttò sino alla radice gli altri di noi,
quelli riusciti a toccare i vostri scogli
con l’ingenua sicurezza di trovare le scarpe
ma camminano ancora a piedi nudi
per le strade delle vostre tristi città.
Avrà fine il genocidio.
Ma quanto ancora il grido di chi cerca vita
Solo dalla morte sarà udito e vilipeso?
Sergio Perego