Novate: da anni indaga sui crimini del web, l’assistente capo Luca Brigatti incontra i genitori

Dallo scorso marzo fa parte della divisione distrettuale antimafia e antiterrorismo, oltre che essere analista forense del Tribunale di Milano, ma buona parte della sua carriera in Polizia dello Stato, con grado di assistente capo, il novatese Luca Brigatti l'ha trascorsa ad investigare su casi di pedopornografia online ed a catturare i diffusori di quel materiale - per usare un eufemismo - illecito. In buona sostanza, un appassionato informatico che ha messo a disposizione le sue competenze per la legge.  Ed è perciò che, nel bel mezzo della settimana dell'educazione 2019, la parrocchia di Novate ha scelto di organizzare con lui un incontro rivolto ai giovani e ai loro genitori.

Don Eugenio con Luca Brigatti

Questi ultimi sono stati decisamente più numerosi mercoledì sera, 23 gennaio, ma soprattutto hanno posto da subito molte domande che hanno contribuito a rendere l'iniziativa un confronto molto aperto. Se non fosse entrato in Polizia giovanissimo, appena ventenne, l'assistente capo Brigatti si sarebbe con ogni probabilità dedicato a lavorare sui cervelloni elettronici.
''Da marzo ho incominciato ad occuparmi di materie molto serie come antimafia e antiterrorismo'' ha raccontato. ''Per i primi 15 anni mi sono occupato di tutta quella serie di reati che possono essere commessi in rete, dalla banale violazione dei diritti di autore, con i film scaricati, fino alle truffe online di cui si sente parlare spesso ma che nonostante ciò continuano a raggirare molte persone.

Il mio primo caso di pedopornografia l'ho seguito a 20 anni. Allora, più o meno a metà degli anni '90, quelli della mia generazione erano considerati degli 'scienziati' perché sapevano usare il computer. Altri ci trattavano più come 'gli sfigati', perché non eravamo i classici poliziotti. Erano i tempi delle prime chat, dei primi servizi di file-sharing''
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Tutti prodotti che ancora oggi usufruiamo, nient'altro che i ''discendenti'' di quelle prime piattaforme dove si iniziavano ad annidare reti di pedofili e malfattori del web.

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''Erano le prime indagini informatiche in Italia, quelle che facevamo'' ha proseguito Brigatti. ''E' lì che nacque la vera Polizia Postale. Ed è lì che la Polizia ha preso ad investigare in maniera massiva sul web. Cercavamo di capire chi metteva online certi materiali, e qualche volta riuscivamo ad arrestarli. Ci arrivavano anche molte segnalazioni. In alcuni casi erano gli stessi autori o gente che era finita in alcune di quelle reti. Facevano il primo passo pensando che in quel modo non saremmo andati a investigare su di loro, ma molto spesso riuscivamo comunque ad incastrarli''.

Visto così potrebbe anche sembrare un lavoro adrenalinico, e in parte può pure essere vero. Ma per portare a termine certe operazioni l'assistente capo di origini meratesi ha raccontato che spesso ha dovuto trascorrere lunghi periodi in cui per otto ore al giorno analizzava filmati contenenti atti sessuali e violenze in presenza di bambini e minorenni. E forse al mondo non vi è niente di più sconvolgente di tutto ciò. ''Non basta trovare il materiale, ma bisogna anche analizzarlo passaggio dopo passaggio'' ha proseguito.

''Una delle ultime indagini che ho fatto mi ha occupato per un anno e mezzo e per giorni interi ho dovuto visionare videocassette e video autoprodotti. Siamo arrivati ad arrestare persone in Romania e Norvegia, persino in Pakistan. E tutto era partito da una banale segnalazione di uno che denunciò di aver visto del materiale 'strano' sul PC del suo collega''. Gli spunti forniti dal poliziotto novatese hanno dato il là ad un dibattito che si è esteso a tutti i presenti con i genitori che hanno sostanzialmente cercato di trarre dalle sue conoscenze informazioni utili per evitare che i figli possano incappare nei luoghi più oscuri di internet mettendo a repentaglio la propria serenità.

Brigatti ha innanzitutto consigliato uno stratagemma tecnico relativamente semplice per evitare che foto, video, conversazioni e contatti che i giovani producono con il loro smartphone finiscano in cloud o nelle mani di altri. Tutto sta nel non fornire al cellulare un Apple ID oppure un Google Account. Meglio farlo solo una volta per scaricare le applicazioni necessarie (Whatsapp ad esempio), ma poi conviene toglierlo. In questo modo nessun file viene condiviso in rete. Ci sono anche degli apparecchi che permettono al genitore di controllare quello che il figlio o la figlia condividono o fanno con il cellulare, ma difficilmente i ragazzi rinuncerebbero ad avere un telefono alla moda per essere controllati da mamma e papà.

Ecco perciò che, secondo Brigatti, il metodo migliore è instaurare un rapporto di fiducia. I casi più difficili che spesso riempiono le pagine dei giornali, con gruppi di ragazzini che condividono video a sfondo sessuale, piuttosto che atti di violenza, spesso ha spiegato l'assistente capo partono da una situazione di totale disinteresse del genitore.

''Si torna a casa troppo stanchi, dopo una giornata di lavoro, per stare a controllare anche il cellulare del figlio. Quello che conta, però, è essere più svegli di loro. Ad una coppia di amici ho consigliato di fare così con i loro bimbi che non volevano saperne di leggere un libro per compito: far guardare loro Netflix senza audio ma con i sottotitoli. Questi dopo tre puntate hanno preferito andare a fare i compiti. Non bisogna essere soltanto amici dei ragazzi. Certo, la confidenza è necessaria, ma deve essere ben chiaro chi è il genitore. Ci deve essere un rapporto di fiducia tale per cui prima mi dimostri che con Whatsapp o i giochi online non ci fai nulla di male, magari usando il computer o il cellulare solo in salone. Poi magari potrai farlo anche in camera, da solo''.
A.S.
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