Montevecchia: la giornalista Serena Uccello parla di corruzione. Ma a pochi interessa
Spiace dirlo, ma mercoledì 29 novembre all'appuntamento culturale sulla corruzione con la giornalista de Il Sole 24 ore Serena Uccello si sono presentate ben poche persone a Montevecchia. Dell'amministrazione comunale c'era solo il vice sindaco Edoardo Sala, che è stato il tramite con il Consorzio Brianteo Villa Greppi per portare alla Casetta di via del Fontanile il ciclo Cultura Antimafia.
Serena Uccello, Ombretta Ingrascì, Edoardo Sala
La rassegna è coordinata da Ombretta Ingrascì, docente del corso di Sociologia della criminalità organizzata alla Statale di Milano e ricercatrice presso RiSSC (Centro Ricerche e Studi su Sicurezza e Criminalità). È stato presentato il libro edito da Einaudi nel 2016 "Corruzione". La giornalista siciliana, ma da 20 anni, ha esplorato il caso Mose in Veneto, individuando quelle che sono le analogie e le differenze rispetto ad altri fenomeni corruttivi. Per ottenere uno spaccato che andasse oltre alle cronache dei giornali è riuscita ad intervistare un testimone chiave, l'imprenditore Piergiorgio Baita. «Tra tutti i fenomeni criminali, sulla corruzione c'è poca letteratura. Per lo più sono magistrati e ricercatori che ne scrivono. Con questo libro ho narrato il caso Mose dal punto di vista interno. Allo stesso tempo però questa vicenda permette di comprendere a livello macro il sistema corruttivo in Italia» ha spiegato Serena Uccello. Durante la serata ha ripercorso il curriculum imprenditoriale, e non solo quello, di Baita.
La giornalista Serena Uccello
Studia ingegneria, si trasferisce all'estero, torna per un affare a Napoli riguardo alla riqualificazione del Golfo di Napoli, in particolare la rete fognaria. Lavori non privi di scandali, ritardi e grandi abbuffate grazie alla Cassa per il Mezzogiorno. Poi approda negli anni Ottanta nella Milano da bere. In Veneto viene coinvolto nella prima tangentopoli veneta, conclusasi per lui con patteggiamenti e assoluzioni. La sua storia si mischia a quella del Mose mentre lavora con la Mantovani.
La dott.ssa Ombretta Ingrascì
Entra così nel circuito del Consorzio Venezia Nuova, istituito teoricamente per sburocratizzare la realizzazione dell'ingente opera pubblica, ma che si è fin da subito caratterizzato per lo sperpero di denaro. Il Consorzio diventa un grosso carrozzone per gestire i rapporti con la politica e gli affaristi. Si organizzano convegni, visite con ministri e anche con il Papa. Strutturalmente non gestisce i collaudi e i progetti ingegneristici, ma si trattiene il 12 per cento dei finanziamenti erogati. Il Mose dovrebbe servire per superare le criticità dell'acqua alta a Venezia con un sistema ingegneristico di eccellenza. «Come quasi tutte le grandi opere in Italia il Mose nasce in un'ottica di emergenza. Per questo adotta la legislazione di emergenza che deroga quella ordinaria. Il problema si è posto nel '65. Si è iniziato a discutere dei progetti negli anni Ottanta e ancora oggi il cantiere è aperto. Anche queste tempistiche sono un classico, per cui da sperimentale l'opera diventa definitiva».
Marta Comi, presidente del Consorzio Brianteo Villa Greppi
Altri elementi comuni ad altri casi di grosse infrastrutture. La programmazione per esempio è orfana dei costi che serviranno per sostenere l'iniziativa e per mantenere le manutenzioni ordinarie una volta costruita. Il sistema stesso del Consorzio ritorna in molte vicende italiane coinvolte da indagini giudiziarie. A differenza della Prima Repubblica, quando lo Stato sovvenzionava i lavori pubblici con enormi risorse, poi prosciugate, con il Mose si riconosce un sistema diverso. Non più lo scambio fisico di denaro per corrompere, ma un meccanismo clientelare fatto di "do ut des". Ad esempio una consulenza in cambio di un contratto di lavoro. «La vicenda Mose ha alzato la mia soglia di indignazione. Sono un'irriducibile delle regole. Oggi sulla corruzione non c'è una soglia emotiva come per la mafia. Eppure frequentare un mafioso è raro. Invece il fenomeno corruttivo non lascia immune nessun aspetto della nostra vita, dall'ambito universitario alla gestione del condominio». Il suo intervento si è trasformato in una lezione etica e un richiamo al ruolo civico di ogni cittadino. «La corruzione esiste in tutto il mondo. Negli altri Paesi però il moto di indignazione si traduce in prassi. Esigere le regole non significa essere talebani delle regole. Significa volere maggiori garanzie».
Ha cercato di chiudere la serata con un messaggio di speranza, a partire dalla responsabilizzazione di ciascuna persona. «Il vero deterrente non è la carcerazione, ma la stigmatizzazione sociale». Rimbombano però le parole dirette dell'imprenditore Piergiorgio Baita, secondo il quale: «nessuno vuole smontare la giostra perché tutti sperano di salirci al giro successivo».
Marco Pessina