Il giudice Pratticò: 'Il 416 bis non sufficiente per contenere condotte ritenute mafiose'
Il giudice Natina Pratticò è presidente della Sezione Dibattimento del Tribunale di Reggio Calabria. In aula non si occupa solo di processi di mafia, ma nella città al centro dell'operazione Mammasantissima è difficile rimanere avulsi dal celebrare anche solo un'udienza sulla 'ndrangheta. Dal 2012 ha assunto l'incarico di collaboratore della Commissione parlamentare antimafia. In una serata in rosa, non si poteva non chiedere cosa comporta essere magistrato donna.
Il giudice Natina Pratticò e la signora Marisa Fiorani
In Cose di Cosa Nostra Giovanni Falcone raccontava in maniera particolareggiata come si sviluppassero i rapporti con i collaboratori di giustizia. Erano basati sul riconoscimento di trovarsi di fronte a un altro uomo e sulla fiducia. L'essere donna facilita la possibilità di trovare un contatto con il collaboratore o testimone, o viceversa fa erigere un ulteriore muro?
Premetto che, rispetto a un pubblico ministero, un giudice ha un rapporto meno diretto con i collaboratori e testimoni di giustizia. Tuttavia pure in udienza - e non solo per i fatti di mafia, ma per esempio anche per la violenza di genere - un giudice donna può trovare una chiave diversa, indispensabile per mettere a suo agio il teste. Quando lavoravo nel Gip del Tribunale di Reggio Calabria, mi è capitato di andare a prendere i boss per degli ordini di arresto. Il mafioso considerava la mia presenza come un ulteriore affronto dello Stato.
In questo periodo si sta cominciando per la prima volta a discutere di togliere la patria potestà ai mafiosi. Cosa ne pensa di questa ipotesi, ovvero di allontanare i ragazzi dai propri genitori? Nel vostro Tribunale esistono già dei rapporti per esempio con i servizi sociali volti in questa direzione?
Spero di avere l'opportunità di parlarne anche tra poco nello spazio aperto al pubblico. A Reggio Calabria è in corso una sperimentazione che sta attirando anche la stampa estera. Ritengo sia necessario estrapolare i figli di 'ndrangheta dal contesto familiare. In assenza di una normativa nazionale è stato difficile ottenere il nostro obiettivo. L'idea di fondo è che sono figli maltrattati. Le condizioni in cui vivono non consentono una crescita sana. Far imbracciare un kalashnikov è maltrattamento, così come far spacciare droga o assistere a episodi criminali. Già dal 2012-2013 abbiamo avviato i primi rapporti - che sono necessari - con gli specialisti che possono affiancare i ragazzi: psicologi ed educatori in primis.
Non dev'essere un passaggio facile da affrontare. I ragazzi hanno accettato le vostre condizioni? A distanza ormai di qualche anno, quali sono stati i primi risultati che avete potuto riscontrare?
Premetto che, rispetto a un pubblico ministero, un giudice ha un rapporto meno diretto con i collaboratori e testimoni di giustizia. Tuttavia pure in udienza - e non solo per i fatti di mafia, ma per esempio anche per la violenza di genere - un giudice donna può trovare una chiave diversa, indispensabile per mettere a suo agio il teste. Quando lavoravo nel Gip del Tribunale di Reggio Calabria, mi è capitato di andare a prendere i boss per degli ordini di arresto. Il mafioso considerava la mia presenza come un ulteriore affronto dello Stato.
In questo periodo si sta cominciando per la prima volta a discutere di togliere la patria potestà ai mafiosi. Cosa ne pensa di questa ipotesi, ovvero di allontanare i ragazzi dai propri genitori? Nel vostro Tribunale esistono già dei rapporti per esempio con i servizi sociali volti in questa direzione?
Spero di avere l'opportunità di parlarne anche tra poco nello spazio aperto al pubblico. A Reggio Calabria è in corso una sperimentazione che sta attirando anche la stampa estera. Ritengo sia necessario estrapolare i figli di 'ndrangheta dal contesto familiare. In assenza di una normativa nazionale è stato difficile ottenere il nostro obiettivo. L'idea di fondo è che sono figli maltrattati. Le condizioni in cui vivono non consentono una crescita sana. Far imbracciare un kalashnikov è maltrattamento, così come far spacciare droga o assistere a episodi criminali. Già dal 2012-2013 abbiamo avviato i primi rapporti - che sono necessari - con gli specialisti che possono affiancare i ragazzi: psicologi ed educatori in primis.
Non dev'essere un passaggio facile da affrontare. I ragazzi hanno accettato le vostre condizioni? A distanza ormai di qualche anno, quali sono stati i primi risultati che avete potuto riscontrare?
All'inizio viene considerata un imposizione. Poi cominciano a fare esperienze che li portano a maturare, l'amicizia o l'innamoramento. Fondamentale è però il lavoro dei servizi sociali, degli psicologi e del Tribunale dei Minori. Sull'altro versante ci sono le madri. Inizialmente si ribellavano, non potevano accettare la separazione dai propri figli. Oggi invece in gran segreto stanno cominciando ad avvicinarsi spontaneamente al Tribunale dei Minori affinché vengano applicate queste misure per il bene dei loro figli. Questo è un dato estremamente incoraggiante.
Sara Velardo, Aurora Spreafico, Natina Pratticò, Claudia Crevenna, Giusi Vassena
Il dott. De Raho attualmente è procuratore capo di Reggio Calabria. Ha lavorato a lungo in Campania, la sua terra di origine, conducendo importanti inchieste. Conosce molto bene i fenomeni mafiosi. Adesso è a un passo dalla nomina con la maggioranza dei voti del Csm a suo favore. Sarebbe un motivo di orgoglio.
Per finire, cosa pensa di una possibile riforma del 416 bis? Secondo lei è necessaria una rivalutazione della definizione stessa di mafia da un punto di vista giuridico?
Penso che attualmente il 416 bis non sia più sufficiente a contenere alcune condotte che si possono ritenere mafiose. Il metodo mafioso oggi viene esercitato in forme più subdole, facendo ricorso alla violenza in rari casi. Ci sono figure intermedie - come i finanziatori, gli imprenditori e altri professionisti - che stanno acquisendo un peso sempre maggiore. È auspicabile che la norma venga rivista, per includere al suo interno le espressioni nuove della criminalità organizzata rispetto a quella tradizionale.
Marco Pessina