Merate: il filosofo Natoli invita a riflettere sulla fiducia, dalla famiglia alle istituzioni

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Un altro prestigioso ospite ha calcato il palco dell'aula magna del Liceo Agnesi: grazie all'associazione "La semina", è stato infatti invitato presso l'Istituto meratese il professor Salvatore Natoli. Una conferenza, quella dell'attuale docente ordinario di filosofia teoretica presso la facoltà di scienze della formazione dell'Università di Milano Bicocca, che ha avuto al centro il tema della fiducia. Incalzato dalle domande della moderatrice Chiara Manganini e degli studenti del liceo, l'Accademico si è soffermato sul tema partendo dall'origine della fiducia.

Il filosofo Salvatore Natoli con Chiara Manganini, la prof.ssa Daniela Ripamonti e il presidente della Semina Pierangelo Marucco


«La fiducia
- ha esordito Natoli - trova la sua nascita all'origine della vita. Le persone mettono la loro vita in mano agli altri perché sono stati a loro volta custoditi, e l'immagine fisica di ciò è il seno materno, che è il luogo originario del fidarsi. In questo modo si sviluppa l'idea del sentirsi umanamente in custodia, disposti naturalmente alla fiducia». Una fiducia, come spiegato dal Professore, che ha diverse forme, prima fra tutte la certezza. La certezza è uno status, non un atto: trovarsi nella fiducia e concederla sono infatti due atti distinti. «Da bambini - ha poi proseguito - scopriamo certi fatti e li accettiamo fiduciosamente. L'uomo originario è fatto di credenze e certezze, ovvero ciò che precede il dubbio. Ma la dimensione di fiducia originaria non è solo uno stato, ma è una persona che ha autorità e ti sostiene. Poi la realtà ti pone dei dubbi, e il bambino cerca quindi delle risposte». E queste risposte, il bambino, le cerca nei genitori. «Il bambino torna quindi alla fonte della sua fiducia, della sua certezza. E abbiamo poi un allargamento del cerchio della fiducia stessa, che va quindi oltre alla sfera familiare».

Si passa dunque dallo stato di fiducia all'atto di fiducia, dove emergono i primi problemi: primo fra tutti, l'apertura verso l'altro. «Si arriva quindi a una mozione di affidabilità: do fiducia a chi già mi ha dimostrato di non tradirla, a chi, pubblicamente, ha dimostrato di meritarsela». Si arriva così al soggetto affidabile per eccellenza: l'amico. «L'amico è quella persona di cui ti puoi fidare, quello che per consuetudine è fedele. L'amicizia è rara, eccezionale, tende all'impossibile, perché solo in questo stato si crea la fiducia originale. L'amico vero è uno solo: non si nasce amici, si diventa, ci si può specchiare in lui. E bisogna poi capire perché le amicizie finiscono: è non vera o si è troppo diversi per potersi specchiare l'un l'altro?».

Esiste poi la fiducia pubblica, andando ad analizzare una dimensione molto attuale: la fiducia nelle istituzioni. Quando si esce dall'ambito familiare, accade che abbiamo relazioni con altri che non conosciamo, i cui comportamenti influenzano i nostri. Quando ci incontriamo con qualcuno che non conosciamo, subito ci poniamo alcune domande. «Si parte dal classico "chi è", per poi passare al "da dove viene", come se dalla provenienza si capisse se quella persona può essere mia nemica oppure se può essere una persona interessante. E qui ci sono persone che hanno una mentalità difensiva oppure esplorativa, derivante dai rapporti di fiducia avuti precedentemente, segnati o meno dalla delusione. Bisogna ricordare che la relazione tra uomini è una relazione d'aspettative, e le istituzioni devono precedere queste relazioni per esserne la regola garante». Le istituzioni sono quindi necessarie per mettere in relazione persone che non si conoscono, e perciò è necessario chiederne il pubblico controllo. E per farlo è necessario conoscerne il meccanismo. «È facile - ha continuato il Professore - chiedere il comodo funzionamento delle istituzioni senza operare per renderle efficienti. E le istituzioni sono inefficienti in primis per le competenze, molte volte ritardate rispetto ai processi sociali: è qui che il management vero deve intervenire per tenere sotto controllo le istituzioni e garantirne l'aggiornamento. La cosa più grave che può influenzare il tutto è l'inerzia, ovvero la disaffezione rispetto al lavoro: non sono all'altezza del cambiamento, quindi mi trascino.

Occorre poi, per fare in modo che la fiducia esista, l'atto politico: il lavorare assieme per stare bene insieme. Un atto politico anch'esso costituito dalla fiducia: è infatti la comunità che dovrebbe scegliere il suo rappresentante, e ciò è difficile già nel piccolo. Ma la responsabilità politica, che si concretizza poi nella capacità del domandare, è fondamentale per mantenere la fiducia collettiva: poiché se non si mantiene la persona viene poi sfiduciata; e se viene sfiduciata, ci si chiude in sé, si appassisce e si muore moralmente».

S.R.

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