Merate: assolti dall'accusa di bancarotta fraudolenta i tre sindaci della Beton Villa
Il rinvio a giudizio è datato 5 giugno 2013. Quella mattina, contrariamente agli amministratori, i tre sindaci della Beton Villa, al cospetto del giudice per le udienze preliminari Paolo Salvatore, avevano scelto di non adire a riti alternativi, andando a dibattimento nella convinzione di poter dimostrare, nel corso dell'istruttoria, la loro estraneità alla accuse mosse a loro carico dalla Procura e dunque alla supposta bancarotta fraudolenta contestata in relazione al crack della storica impresa meratese. Quest'oggi, a distanza di oltre quattro anni, hanno ottenuto dal collegio giudicante del Tribunale di Lecco (presidente Enrico Manzi, a latere Salvatore Catalano e Maria Chiara Arrighi) l'assoluzione con formula piena: Sergio Maiorana, Danilo Tomasi e Luca Leidi sono stati prosciolti, "per non aver commesso il fatto".
Evidenziando al termine della propria requisitoria, senza spirito polemico, come, se vi fosse stata interlocuzione tra le parti nelle fasi pre-processuali, probabilmente non si sarebbe perso tutto questo tempo, lo stesso sostituto procuratore Paolo Del Grosso, era arrivato a suggerire la medesima conclusione, optando però per "il fatto non costituisce reato". Il magistrato ha infatti ripercorso il capo accusatorio, ritenendo di non poter addossare responsabilità ai tre imputati per la mancata vigilanza in riferimento alle quattro ipotesi di reato finite sotto la lente e dunque la distrazione di cinque beni di proprietà della Beton Villa per un valore di 600.000 euro mediante la cessione ad una controllante e l'iscrizione nelle scritture contabili di passività inesistenti dovute alla sovrafatturazione ad altre imprese del settore ("fatti realmente accaduti" per il PM ma "di gestione addebitabile a altri soggetti" che hanno già definito la loro posizione) nonché la distrazione del magazzino della cava di Medolago di proprietà del colosso meratese dell'edilizia, costituito da mistone inerte non valorizzato al momento della vendita e la distrazione della cava stessa, ceduta, quale ramo d'azienda, alla controllante SAFI avente il medesimi sindaci.
Hanno spinto, di contro, per l'assoluzione "perché il fatto non sussiste", i legali dei tre professionisti e dunque gli avvocati del Foro di Bergamo Stefano Chinotti per Ledi, Tomaso Cortesi per Maiorana e Manco Zambelli per Tomasi. Prendendo la parola, ciascuno su uno specifico aspetto, le toghe hanno ulteriormente argomentato - rispetto alle conclusioni del PM - in favore dei loro assistiti, uno solo dei quali presente personalmente in Aula. La sentenza, pronunciata a metà pomeriggio, ha chiuso la partita.
L'impianto della Beton Villa ai "tempi d'oro"
Evidenziando al termine della propria requisitoria, senza spirito polemico, come, se vi fosse stata interlocuzione tra le parti nelle fasi pre-processuali, probabilmente non si sarebbe perso tutto questo tempo, lo stesso sostituto procuratore Paolo Del Grosso, era arrivato a suggerire la medesima conclusione, optando però per "il fatto non costituisce reato". Il magistrato ha infatti ripercorso il capo accusatorio, ritenendo di non poter addossare responsabilità ai tre imputati per la mancata vigilanza in riferimento alle quattro ipotesi di reato finite sotto la lente e dunque la distrazione di cinque beni di proprietà della Beton Villa per un valore di 600.000 euro mediante la cessione ad una controllante e l'iscrizione nelle scritture contabili di passività inesistenti dovute alla sovrafatturazione ad altre imprese del settore ("fatti realmente accaduti" per il PM ma "di gestione addebitabile a altri soggetti" che hanno già definito la loro posizione) nonché la distrazione del magazzino della cava di Medolago di proprietà del colosso meratese dell'edilizia, costituito da mistone inerte non valorizzato al momento della vendita e la distrazione della cava stessa, ceduta, quale ramo d'azienda, alla controllante SAFI avente il medesimi sindaci.
Hanno spinto, di contro, per l'assoluzione "perché il fatto non sussiste", i legali dei tre professionisti e dunque gli avvocati del Foro di Bergamo Stefano Chinotti per Ledi, Tomaso Cortesi per Maiorana e Manco Zambelli per Tomasi. Prendendo la parola, ciascuno su uno specifico aspetto, le toghe hanno ulteriormente argomentato - rispetto alle conclusioni del PM - in favore dei loro assistiti, uno solo dei quali presente personalmente in Aula. La sentenza, pronunciata a metà pomeriggio, ha chiuso la partita.
