Verderio che non c'è più/6: a superiore ul lacée, ul murnée e la falegnameria Stucchi. A Inferiore due osterie/salumerie

Alcuni negozi si sono tramandati ancora oggi e, pur cambiando forma e "insegne", hanno mantenuto il nome: il prestinaio, la salumeria, il forno, il falegname.
In qualche caso anche la tradizione potremmo dire: nell'epoca del mordi e fuggi, rappresentano ancora un punto di riferimento, specialmente per le persone anziane e le massaie, che qui si ritrovano per uno scambio di parole, per l'aggiornamento sugli ultimi fatti della vita quotidiana, per un semplice saluto.
Ai nomi erano come sempre associati i soprannomi delle famiglie, spesso cognomi "storpiati" oppure derivanti dal mestiere o dalle abitudini che lì vi si svolgevano.

 



VERDERIO SUPERIORE


LACÉE
E' una parola dialettale che significa lattaio. Il negozio era stato aperto da Realdo Villa e la moglie Giuseppina Casati che tutti chiamavano la lacera.
Gli abitanti di Verderio lo chiamavano con il soprannome di sipari, sipario, perché suo padre, da giovane pare lavorasse in un teatro con la mansione di aprire e chiudere il sipario.
I coniugi avevano il negozio in via sant'Ambrogio, centro paese, e producevano e vendevano burro e diversi tipi di formaggio lavorando il latte che ritiravano dai contadini quotidianamente.

 

 Realdo Villa  e il fratello Oreste, a destra il figlio Emilio

Realdo, nella Cortenuova, aveva anche una stalla con alcune mucche, diversi maiali e un grosso cavallo da tiro che usava per lavorare i campi e trasportare i foraggi. Proprio durante uno di questi lavori perse la vita tragicamente. Finì schiacciato sotto il carro che gli si era ribaltato addosso, mentre percorreva un tratto di terreno scosceso sul quale aveva appena tagliato l'erba.
Prese il suo posto il figlio Emilio con la moglie Giannina che continuarono l'attività per molti anni. Estate, inverno, primavera ed autunno, giorni feriali e festivi, Natale, Pasqua e Ferragosto, le mucche non avevano mai fatto sciopero e il latte andava ritirato ogni giorno.

 

Realdo con i maiali e il figlio Emilio


L'incremento e la modernizzazione del lavoro aveva costretto la famiglia a comprare una autobotte appositamente attrezzata. Ma il destino volle che Emilio non riuscisse a godersi la pensione tanto sospirata, proprio quando aveva deciso di cessare l'attività e prendersi una lunga vacanza. La causa fu un improvviso malore che lo colpì mentre stava consegnando il latte alla Centrale di Monza nel novembre del 1999.

 


IL FORNO DEI BALII

Nome dialettale che significa balie da latte. La corte dove la famiglia di Giuliano Villa aveva l'abitazione e il negozio era così chiamata perché in essa c'erano molte donne che, dopo il parto, avevano grande abbondanza di latte e venivano ingaggiate da altre partorienti che erano carenti.
La famiglia Villa, numerosa per via di fratelli e parenti che avevano un negozio anche a Paderno d'Adda, oltre alla vendita del pane e dei generi alimentari, trattava anche l'acquisto di cereali dai contadini, in particolare frumento e granoturco che veniva ammassato in un loro magazzino per l'essiccazione e, dopo qualche mese, venduto ai grossisti che producevano le farine per il pane e la pasta.

Il panificio dei balii quando ha chiuso

Oltre al negozio di alimentari, sul retro casa avevano anche un forno, prima a legna poi elettrico, che si tramandava da padre in figlio. Non era l'unico forno del paese perché anche i Riva, un altro prestinaio, ne avevano uno in centro paese.
Giuliano, che aveva sposato in prime nozze Olimpia Colombo e, alla sua prematura scomparsa, Rosa Valtolina, con il figlio Mario e la nuora Onorina si occupavano del negozio di piazza Roma, in centro paese.
Giuliano, Gin per tutti, già dagli anni prima della Seconda Guerra Mondiale, usava girare in bicicletta per le corti e le cascine a vendere il pane fresco che trasportava dentro una gerla coperta da un manto bianco. Buono di carattere, ma aveva un debole: gli piaceva chiacchierare con le donne e quando arrivava in corte era un momento di allegria e di scambio di pettegolezzi che raccoglieva nelle sue lunghe peregrinazioni nelle corti.
L'attività venne continuata dal figlio Mario e dalla nuora per molti anni. Ora l'attività è completamente cessata.

 

I LEGNAMÉE

Sempre sulla via Principale, paragonabile oggi ad un centro commerciale per i numerosi negozi esistenti, trovava posto anche un negozio di falegnameria, di proprietà di Giovanni Stucchi, lo stesso artista che a fine Ottocento, fabbricò gli infissi per la nuova chiesa parrocchiale di Verderio Superiore, voluta e finanziata da Giuseppina Turati Gnecchi Ruscone e dedicata ai santi Floriano e Giuseppe.

 

Nino Bonanomi a cavallo

A lui succedette il genero Emilio Bonanomi, coadiuvato dal figlio Giovanni.
Milii Giuanela, il soprannome di Emilio, era considerato un vero artista del legno e il suo campo di lavoro era molto vasto: andava dalla preparazione dei serramenti per le finestre, alle porte, alle gabbie per il pollame, alle pareti in legno per la divisione dei locali abitativi, agli armadi di varie misure, fino alle casse da morto.

 

Emilio Bonanomi e moglie


Non c'erano molti falegnami nei nostri paesi, tantomeno negozi con esposizione di mobili ricercati e quindi la gente comune ricorreva a Emilio e a Giovanni, detto Nino, per grandi e piccoli lavori inerenti alla casa.



I MURNÉE

Le famiglie contadine che volevano fare la polenta andavano a macinare il granoturco nel negozio del murnée, mugnaio, Attilio Villa che si trovava in una corte della via Principale, in centro paese.
Oltre ad Attilio, Tilii, ci lavorava anche il figlio Angelo, Angiulin, e, non di rado, collaboravano anche le loro mogli.
I mugnai Villa erano imparentati con i Riva (la figlia Valentina aveva sposato Ercole Riva) che avevano un negozio del pane nella stessa corte e che esportavano anche fuori paese.

 

Carolina e Attilio Villa murné dopo le nozze


Il negozio del mugnaio era un grande stanzone con tanti sacchi di farina di diversi tipi. Durante la macinatura, la farina si depositava su tutto: su chi lavorava, sulla gente che andava a macinare, sui sacchi e sui macchinari, e anche sul pavimento, camminando sul quale si lasciavano le impronte degli zoccoli.

Attilio Villa murnè con la nipote Teresa che viveva a roma

C'era appunto un detto che diceva: "Chi va al mulino si infarina". Le farine erano di diversi tipi: quella pregiata che si otteneva dal cuore del granoturco e con la quale si faceva la polenta e quella più grezza, che veniva ricavata dalla parte esterna del chicco di granoturco, detta crusca, che veniva bollita nell'acqua e data agli animali della stalla, in particolare alle mucche per fare più latte.



IL PRESTINÉE

La famiglia Riva, il cui capostipite era Francesco con la moglie Maria, già dall'inizio del Novecento, possedeva un forno, un negozio di generi alimentari e anche un'osteria, sulla stessa via Principale.
Oltre al forno, avevano anche un negozio molto fornito di generi alimentari che si compravano a credito: "segna sul libretto", come si diceva, il cui conto veniva saldato a fine mese.

Prestiné Riva - con il suo cavallo girava per vendita

 

Sul retro del negozio di alimentari, era posto un locale osteria, frequentato soprattutto dai giovani che giocavano alla morra, mura, a scopa, a tresette e a briscola. Sui tavolini era dipinta anche una scacchiera per giocare a dama.
L'osteria, durante la Seconda Guerra Mondiale, nell'ottobre del 1943, era frequentata dalle truppe tedesche che si erano fermati nel nostro paese.

La donna è Annunciata Bono, nipote del prestiné Francesco sfollata da Milano

Avevano stabilito il comando degli ufficiali nella centrale Villa Gnecchi Ruscone, i sottufficiali nell'Aia, mentre la truppa aveva eretto delle tende sul sagrato della chiesa e nella scuola materna delle suore.

Clienti dell'osteria Riva all’aperto in cortile con le bici

Il forno con le pentole per cuocere la torta di latte

Caratteristica dell'osteria dell'ultimo reggente, Ercole: con l'arrivo del telefono, in un angolo dell'osteria, aveva installato anche una grossa cabina di legno per il servizio telefonico. Era l'unico telefono pubblico esistente in paese.
Di tutto questo, oggi è rimasto solo il negozio di alimentari e il forno, ora elettrico, funziona solo nelle feste del patrono e nelle sagre, per cuocere la tradizionale "torta di latte", ancora immancabile sulla tavola di ogni famiglia.

 


VERDERIO INFERIORE


L'OSTERIA SALUMERIA RICCI

In piazza Annoni (ex Verderio Inferiore), a ridosso delle stalle della Cortenuova, si trovava un'osteria con licenza di trattoria, salumeria e vendita di altri generi alimentari. Era chiamata l'usteria del Ricci perché era gestita dal capostipite Pietro Ricci e da alcuni familiari, tra i quali il figlio Angelo, un personaggio noto a tutti e tra i più curiosi del paese.
All'ingresso, sopra la porta del negozio, campeggiava un'insegna di un paio di metri di lunghezza sulla quale si leggeva la scritta: "Trattoria e salumeria di prima qualità".
Aveva le stesse caratteristiche delle altre osterie, ma aveva il vantaggio, invidiato da tutti, di trovarsi nella piazza principale del paese.

 

 Bambini a pierdi scalzi davanti alla trattoria salumeria


Nei giorni di festa, magari seduti all'esterno dell'osteria si assisteva al continuo passaggio della gente che transitava sulla via principale del paese o che si recava alla Messa nella chiesa parrocchiale, posta alle spalle e distante solo una cinquantina di metri.
In questa osteria c'era anche un angolo adibito a tabaccheria dove gli appassionati del fumo potevano scegliere i sigari preferiti o acquistare ogni tipo di sigaretta.
Storica è la fotografia di oltre mezzo secolo fa nella quale si vedono dei ragazzi a piedi scalzi ripresi davanti alla caratteristica insegna dell'osteria: tra loro, due donne che probabilmente appartenevano alla famiglia.

 


MACELLERIA OGGIONI

La macelleria che si trovava in via Roma, angolo Vicolo Chiuso, era di proprietà della famiglia di Giuseppe Oggioni, abitante a Verderio Superiore.

L'aveva aperta nel 1970 e in essa, con la moglie Renata hanno profuso tutta la loro disponibilità e passione per servire l'affezionata clientela. Vendevano carne di ogni tipo che Giuseppe, da esperto macellaio, selezionava e metteva in bella vista sul bancone.
La loro attività è durata fino al 1995, poi furono costretti alla chiusura. La causa era da addebitarsi ai pochi abitanti del paese, ma soprattutto ai tanti supermercati arrivati in questi ultimi decenni nei paesi limitrofi, preferiti dalla gente per i costi contenuti e la scelta più ampia.

 

Continua/6

S.V.
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