Merate: la figlia di Giorgio Ambrosoli, servitore dello Stato ucciso da un sicario di Sindona, racconta il suo grande papà
Il suo è stato un racconto a cuore aperto, umano, toccante. Con la voce a tratti commossa, specialmente quando ha ripercorso le ore seguenti all'uccisione del papà, Giorgio Ambrosoli, mentre lei, Francesca, con la mamma e i due fratelli erano in vacanza e sono stati raggiunti dalle informazioni, ancora frammentarie, di un incidente.
L'incontro di questa mattina, collocato all'interno delle iniziative per la "Giornata Nazionale della Memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime di mafia", ha visto una rappresentanza degli studenti di Viganò e Agnesi ascoltare il racconto della figlia dell'avvocato ucciso l'11 luglio 1979 da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attività stava indagando, nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana dello stesso Sindona.
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"Tutto questo è un modo per sentire il papà vicino e ne vediamo i frutti. Lui ha continuato imperterrito a fare il suo dovere, pur sapendo a cosa andava incontro. Con il suo nuovo incarico pensava di lavorare con un gruppo e ne era orgoglioso, invece ha scoperto che era da solo e ne ha sentito il peso senza comunque fare passi indietro. Hanno provato sin da subito a corromperlo ma non ci sono mai riusciti. E lui poco dopo avere iniziato questa indagine aveva scritto una lettera alla mamma, a cui non l'aveva mai consegnata ma che lei trovò tra le carte. In quell'incarico papà aveva visto qualcosa da fare per il suo paese, non l'Italia ma l'Europa".
Lui che aveva solo come compagno fidato il maresciallo Silvio Novembre e che aveva rinunciato alla scorta perchè il pensiero correva a un possibile sacrificio delle sue guardie, magari giovani papà di famiglia.
Lui che probabilmente aveva provato la solitudine, sostenuto da molti ma abbandonato anche da altrettanti che non avevano ben visto il suo incarico.
Lui che, "confortato dalla presenza di Dio", non era mai venuto meno al suo dovere e che "non era andato a cercarsela" come aveva avuto modo di affermare Giulio Andreotti, suscitando sentimenti di rabbia e indignazione. "Era consapevole dei rischi che correva ma era più grande il senso del dovere e dell'appartenenza allo Stato e al suo Paese. Certo se papà si fosse tirato indietro, per noi figli e per la mamma sarebbe stato tutto molto più bello ma io sono assolutamente fiera e orgogliosa che abbia scelto la strada che ha percorso sino alla fine".
Giulia Venturini dell'ARCI di Lecco e Francesca Ambrosoli
L'incontro di questa mattina, collocato all'interno delle iniziative per la "Giornata Nazionale della Memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime di mafia", ha visto una rappresentanza degli studenti di Viganò e Agnesi ascoltare il racconto della figlia dell'avvocato ucciso l'11 luglio 1979 da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attività stava indagando, nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana dello stesso Sindona.
Francesca Ambrosoli nel corso del suo appassionato e umano racconto di figlia
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"Tutto questo è un modo per sentire il papà vicino e ne vediamo i frutti. Lui ha continuato imperterrito a fare il suo dovere, pur sapendo a cosa andava incontro. Con il suo nuovo incarico pensava di lavorare con un gruppo e ne era orgoglioso, invece ha scoperto che era da solo e ne ha sentito il peso senza comunque fare passi indietro. Hanno provato sin da subito a corromperlo ma non ci sono mai riusciti. E lui poco dopo avere iniziato questa indagine aveva scritto una lettera alla mamma, a cui non l'aveva mai consegnata ma che lei trovò tra le carte. In quell'incarico papà aveva visto qualcosa da fare per il suo paese, non l'Italia ma l'Europa".
In prima fila a sinistra la professoressa Lucilla Barassi, docente di diritto del Viganò,
che si occupa dei progetti sulla legalità all'interno dell'istituto scolastico
Lui che aveva solo come compagno fidato il maresciallo Silvio Novembre e che aveva rinunciato alla scorta perchè il pensiero correva a un possibile sacrificio delle sue guardie, magari giovani papà di famiglia.
Lui che probabilmente aveva provato la solitudine, sostenuto da molti ma abbandonato anche da altrettanti che non avevano ben visto il suo incarico.
Lui che, "confortato dalla presenza di Dio", non era mai venuto meno al suo dovere e che "non era andato a cercarsela" come aveva avuto modo di affermare Giulio Andreotti, suscitando sentimenti di rabbia e indignazione. "Era consapevole dei rischi che correva ma era più grande il senso del dovere e dell'appartenenza allo Stato e al suo Paese. Certo se papà si fosse tirato indietro, per noi figli e per la mamma sarebbe stato tutto molto più bello ma io sono assolutamente fiera e orgogliosa che abbia scelto la strada che ha percorso sino alla fine".
S.V.