Lecco: l'inviata del TG1 Grazia Graziadei depone come parte civile per la diffamazione contro don Giorgio, che si difende

Da una parte lei, Grazia Graziadei, storica inviata Rai per il TG1; dall'altra don Giorgio De Capitani, ex vicario parrocchiale a Monte di Rovagnate e oggi residente a La Valletta Brianza con un incarico presso la parrocchia di Dolzago.
Stamani in tribunale a Lecco i due si sono confrontati - nei rispettivi ruoli di parte civile e imputato - nel processo penale che vede il sacerdote accusato di diffamazione per alcuni articoli ''dedicati'' alla giornalista e pubblicati sul proprio blog personale.
A originare il fascicolo d'indagine a carico di don Giorgio - finito nei mesi scorsi nelle mani del giudice monocratico Nora Lisa Passoni che lo ha ereditato dal predecessore, il dottor Gian Marco De Vincenzi - la querela sporta dalla giornalista nel 2010 non soltanto nei confronti del sacerdote, ma anche di Vittorio (Vik) Arrigoni, brutalmente ucciso qualche mese più tardi a Gaza. Era stato proprio l'attivista bulciaghese a ''puntare il dito'' per primo contro un servizio realizzato dalla Graziadei, relativo alla sentenza della Corte d'Appello di Palermo che aveva condannato a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, l'ex senatore Marcello Dell'Utri, ritenendolo ''di parte'' e non oggettivo per la modalità in cui era stato confezionato.
Don Giorgio e Grazia Graziadei
La vicenda è stata ripercorsa stamani in aula, partendo dalla testimonianza resa dalla giornalista Rai, assistita dall'avvocato Francesco Minciotti del foro di Roma (in sostituzione del collega Fabio Viglione).
La parte civile ha riferito che, dopo aver letto l'articolo pubblicato da Arrigoni sul blog Guerrilla Radio dal titolo ''Grazia Graziadei del TG1. Vergogna'', è rimasta ''profondamente offesa come giornalista, ma anche come persona e come donna. Lavoro in Rai da molti anni: il mio nome veniva associato a parole come prostituta e meretrice'' ha affermato la giornalista, aggiungendo un concetto a suo avviso ancor più violento espresso nell'articolo. ''In quelle righe si diceva che una puttana da quattro euro era più degna di rispetto della sottoscritta''.
Parole che la Graziadei ha definito ''forti e umilianti verso la mia dignità di persona e donna: ho dovuto presentare querela per tutelare la mia onorabilità e quella dell'azienda per cui lavoro, oltre che il rispetto che ogni persona merita''.
Sporta denuncia nei confronti di Vittorio Arrigoni - che in quel momento si trovava a Gaza - la Graziadei ha riferito che, qualche mese più tardi, si sarebbe accorta che il medesimo articolo era stato pubblicato sul blog di don Giorgio De Capitani. ''Era assolutamente identico, una sorta di rilancio: mi sono sentita doppiamente offesa'' ha aggiunto la giornalista, riferendo poi gli altri post che la riguardavano inseriti dal sacerdote sulle pagine del proprio sito internet. A partire da quello, risalente all'aprile 2011 dal titolo ''E ora a noi due'': ''ricordo che ero incinta in quel periodo. L'ho vissuto come una sfida nei miei confronti, una sorta di intimidazione. C'era anche una foto che mi ritraeva in primo piano con una didascalia: schiavetta del potere. Mi sono sentita additata come se fossi una persona da cercare o inseguire. Nell'articolo poi venivo definita una leccaculo: al di là dell'offesa di don Giorgio, mi hanno fatto male i commenti dei visitatori del blog: molti sposavano la tesi del sacerdote. Ho avuto paura anche per mia figlia. Pensai: e se qualcuno abbracciasse questa chiave di lettura passando dalle parole ai fatti? Io faccio una vita normale, sono inviata in mezzo alla gente e prendo i mezzi pubblici. Ho dovuto sporgere querela'' ha detto la Graziadei, confermando di aver presentato un'integrazione alla precedente denuncia e citando altri due articoli che la riguardavano pubblicati da don Giorgio sul proprio sito (datati agosto 2015 e gennaio 2016). ''Mi sarei aspettata una mano tesa, una richiesta di scuse, invece così non è stato'' ha concluso la professionista Rai.
Ha voluto però fare un passo indietro rispetto a quanto riferito dalla parte civile, l'avvocato Marco Rigamonti (difensore di don Giorgio insieme al collega Emiliano Tamburini). ''A fronte di cosa sono stati pubblicati questi articoli?'' ha chiesto il legale riferendosi al servizio realizzato per il TG1 che aveva originato le aspre critiche di Vittorio Arrigoni, condivise poi dal sacerdote.
Al centro del ''pezzo giornalistico'' la sentenza di condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti dell'ex senatore Marcello Dell'Utri. Un servizio - della durata di poco meno di due minuti - che è stato rivisto stamani in aula su richiesta dell'avvocato Rigamonti. Se per la giornalista esso era stato realizzato in maniera oggettiva - nel rispetto dei principi deontologici e professionali - la difesa ha rilevato come non fossero stati soltanto Arrigoni e don Giorgio a esprimere delle critiche in merito, tanto da produrre degli articoli tratti dalla stampa nazionale.

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E' toccato poi all'imputato sottoporsi ad esame, rispondendo alle domande formulate dalla pubblica accusa (oggi rappresentata dal vpo Alessandro Figini), dal giudice e dalle parti. Dopo aver precisato di gestire il proprio sito internet in completa autonomia, tanto da rivendicarne la piena responsabilità, don Giorgio ha spiegato le ragioni che lo avevano portato a condividere quel post pubblicato da Vittorio Arrigoni. ''Non lo conoscevo personalmente, ma frequentavo spesso il suo blog perchè si trattava dell'unica voce libera presente a Gaza in quel periodo'' ha detto il sacerdote richiamando l'operazione Piombo Fuso resocontata dal giornalista bulciaghese, con il quale - rispetto alle parole sul servizio della Graziadei - si sentiva in sintonia. ''Non ero l'unico: bastava guardare i giornali dell'epoca per rendersi conto delle migliaia di dissensi nei confronti di quel servizio sulla sentenza Dell'Utri. Io l'ho pubblicato quasi subito sul mio blog senza pensare che sarebbe successo tutto questo'' ha aggiunto don Giorgio, sostenendo di aver avvisato personalmente Arrigoni dopo aver ricevuto la visita del maresciallo della stazione dei carabinieri di Brivio, che gli notificava l'avvenuta querela. ''Lui non ne sapeva nulla e finchè è stato in vita non ha mai ricevuto alcun avviso'' ha precisato l'imputato, dando poi una lettura contrapposta rispetto a quella della giornalista, sulle parole utilizzate nei suoi confronti, in particolare per quel che concerne il termine ''prostituta''. Il primo don Giorgio lo ha definito ''un'allegoria''. ''E' evidente che non si trattava di un'accusa personale a Grazia Graziadei, piuttosto al suo servizio e al modo in cui lo aveva condotto. La condanna a sette anni a Dell'Utri era apparsa come se si trattasse di un'assoluzione: una cosa vergognosa. Vittorio Arrigoni aveva espresso bene quel concetto e mi sono sentito di condividerlo. E poi smettiamola con la questione sessista: non c'entra nulla in questo caso'' ha aggiunto il sacerdote riferendosi a quanto detto in precedenza dalla parte civile. ''Il concetto di fondo era quello di vendersi al potere sacrificando la verità. Nelle mie critiche mi sono sempre battuto contro i maschi, difendendo invece le donne dai poteri forti, come quello di Berlusconi. Quella di Vik era un'immagine che bene rendeva l'idea di come ci si possa vendere al potere'' ha detto il religioso, spiegando poi il titolo utilizzato per un successivo articolo dedicato alla Graziadei: ''E adesso a noi due'', pubblicato qualche giorno dopo i funerali di Arrigoni, nell'aprile 2011. ''Quando andai a Bulciago a rendere omaggio alla salma di Vik, incontrai suo padre, che all'epoca era già malato: appena mi vide, quasi urlando mi disse di difendere la memoria del figlio. Mi sentii in dovere di mantenere quella parola, così scrissi un secondo articolo'' ha concluso il sacerdote, precisando di non aver mai querelato nessuno, nonostante i diversi insulti e le minacce subite in questi anni. ''Sono un personaggio pubblico e devo accettare anche le critiche e le offese. Nel contempo sono per la libertà di espressione: quando vedo un servizio giornalistico espressione di una sorta di regime, come è stato a mio parere quello di Berlusconi, ho il diritto e il dovere di contestarli''.
Al termine della doppia deposizione il giudice Passoni ha aggiornato l'udienza al prossimo 13 settembre per la discussione finale, con i legali che hanno rinunciato - per il momento - ai rispettivi testimoni indicati in lista.
G. C.
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