Sartirana: viaggio attorno al lago, tra scorci di rara bellezza e selve di rovi spinosi e canneti, sotto le mangrovie e gli ontani

Per rendersi conto dello stato di salute del lago di Sartirana non è sufficiente passeggiarci attorno. Occorre camminare molto lentamente, soffermarsi più e più volte, insomma impiegare non 50 minuti ma almeno due ore. Solo così si possono notare i particolari evitando l'inganno visivo che porta a conclusioni spesso sbagliate. Il lago è malato, sì ma di una malattia degenerativa di lunga e lenta evoluzione. Morirà? Sì, ma possono volerci 50 anni o 3 secoli. Dipende dall'uomo. Che può alzare le mani e lasciare alla natura il proprio epilogo oppure intervenire e curare, esattamente come il medico fa con il paziente. Il quale, è certo, morirà, ma molto più tardi se assumerà cure appropriate. E il medico deve essere rigoroso, non pietoso. Perché, come dice l'adagio popolare, il medico pietoso fa la piaga cancrenosa. Ecco, un giro di parole, una metafora per entrare nel dibattito a gamba tesa, anzi a palla di fucile: gli interventi devono essere decisi, quando servono ruspa e ruspetta debbono usarsi ruspa e ruspetta. Per il bene dello specchio d'acqua e per la sua fruibilità da parte delle migliaia di persone che, soprattutto nella bella stagione, ma anche in inverno amano camminare lungo il sentiero, per i pescatori sempre alla ricerca di un angolo nascosto e possibilmente ombroso, per le famiglie con passeggini al seguito che quando giungono su uno di quei dannati ponticelli in pietra lanciano maledizioni a coloro che li hanno ideati. C'è moltissimo da fare gli obiettivi sono, allungare la vita al lago e renderlo al tempo stesso una vera e propria attrazione turistica.

Il nostro cammino inizia proprio alla foce, lato est. La prima impressione è negativa, sull'acqua galleggiano le alghe, una sorta di mucillagine da mare Adriatico. Si tratta sì di alghe che però si sono staccate dal fondo a causa del primo caldo, alla riduzione dell'ossigeno e all'aumento dell'azoto. L'alga si spezza e sale in superficie. Ci fosse una corrente maggiore se ne andrebbe rapidamente.

La superficie del canale tra la sponda e l'isolino è coperta da ninfee con i bianchi fiori aperti. Una bella vista ma anche uno sbarramento naturale alla corrente. Il sentiero è molto ben tracciato, ampio e la riva accessibile grazie al taglio del canneto. Sulla destra ci sono alcune tavole di legno con panchine per una sosta. Bisogna però incrementare il numero dei cestini. E qui apriamo una parentesi: Andrea Massironi che col lago vive un perenne conflitto emotivo essendo stato tra i primi, nel lontano 1974 a rovesciare le maniche e mettersi al lavoro dopo che i contadini avevano abbandonato la pratica di taglio delle cannette, dovrebbe scegliere un consigliere del suo gruppo, possibilmente un volontario cui affidare il compito di creare un gruppo di lavoro, volontario, tra pensionati, pescatori e gente del posto cui chiedere un'ora al giorno da dedicare al lago. Un gruppo che si possa occupare della pulizia delle sponde, della manutenzione di arredi e cartelli, di piccoli lavori in cambio del piacere di fare qualcosa per la comunità e, eventualmente, di un buon bicchiere al bar della cooperativa.

Superato il canale grande il lago si apre. Le acque appaiono pulite e i pesci si scorgono a vista. Non ovunque chiaramente, ma in quel tratto sì.

Però la riva tende progressivamente a coprirsi di cannette e, soprattutto, di arbusti e rovi. Rendendo così sempre più difficile l'accesso all'acqua.

Superato il "bagnolo" ci si addentra nel sentiero. Il primo ostacolo per i passeggini è costituito dal ponticello in pietra. Le ruote non lo scavalcano occorre sollevare di peso il mezzo. Tra i primi lavori ci sarà proprio quello di sostituire tutti questi sgradevoli ponticelli con quelli in legno a saliscendi, belli da vedere, ben inseriti nell'ambiente e divertenti da superare.

Oltre il primo ponticello la riva sparisce. La sponda si ricopre di canne e rovi, intrecciati a piante, rampicanti in un groviglio che impedisce l'accesso al lago e pure la vista.

Le acque si rivedono dopo una cinquantina di metri dall'imbocco del sentiero. Sono pozze sotto le mangrovie, coperte da cespugli di erba palustre, quella che un tempo serviva a impagliare le sedie, arbusti spezzati, vegetazione varia e una impenetrabile massa di rovi spinosi.

A un certo punto anche il sentiero scompare e si deve proseguire all'esterno della folta vegetazione lungo un percorso creato via via dai visitatori. Eppure il sentiero originario c'è, basta scostare con ardimento i rovi per scorgerne le tracce. E vedere anche minuscoli canali che si snodano tra gli arbusti. Si tratta di vegetazione spontanea che nulla ha di pregio. Ma che di fatto impedisce completamente la fruibilità di quella sponda del lago. Va tolta con una ruspa che, nel contempo, "draghi" la riva in modo da togliere metri cubi di fanghiglia e consentire alla corrente di riprendere a scorrere.

Attraverso un sentiero appena tracciato nel fango si giunge a un minuscolo promontorio proprio sul lago. Uno spicchio di terra ferma che può ospitare 4-5 persone. Ci sono tre ragazzi di Verderio che pescano. Più che altro, diciamo, si godono la frescura. Anche qui occorre ritracciare il passaggio che permetta di raggiungere il promontorio in sicurezza.

Il sentiero riprendere puntando verso la parte nord del lago. Ma ben lontani dalla sponda che anche qui risulta del tutto inaccessibile. Ci sono punti dove l'acqua occhieggia sotto le frasche, alberi caduti, ancora mangrovie e cannette. Un habitat che, se apparentemente poco gradevole, va mantenuto per assicurare l'equilibrio biologico; ma altri ambiti sono soltanto coperti da rovi.

Più avanti l'occhio attento nota un piccolo ruscello. Si tratta di un canaletto artificiale che raccoglie l'acqua piovana e quella di falda attorno alle abitazioni poste a nord e le incanala nel lago. E' acqua pulita che si immette 24 ore su 24. Uno dei tantissimi piccoli immissari che però devono essere manutenuti affinché l'acqua possa scorrere senza ostacoli.

La riva intanto si avvicina, ma solo attraverso sentieri quasi impercettibili, creati dall'uomo nel suo continuo passaggio alla ricerca di un punto in cui pescare, si arriva alla sponda. A far da barriera la solita fitta vegetazione, arbusti, cespugli a volte proprio impenetrabili. Il lago non è fruibile e non certo perché essenze autoctone o comunque di pregio ne facciano da barriera. Si tratta solo di vegetazione che va estirpata da terra mentre la chiatta ripulisce le sponde.

Il sentiero scompare di nuovo e per proseguire si deve entrare nel prato seguendo le tracce di chi ci ha preceduto. Anche qui però il sentiero antico esiste solo che è sepolto sotto i rovi. E anche qui la ruspa deve entrare in azione estirpando tutto per ripristinare lo sterrato, percorribile anche dopo un giorno di pioggia.

Oltre la barriera verde c'è il canale. Che andrebbe allargato, parimenti al canaletto che taglia in due l'isolotto centrale, realizzato a semicerchio. Una modalità che di fatto impedisce la vista sul lago aperto. Anche i due isolotti, peraltro andrebbero ridotti di dimensione in modo da allargare il canaletto e favorire un maggior ricircolo dell'acqua. Molto bello invece il pontile che conduce alla casetta in legno per l'osservazione. Da lì la vista sul lago è perfetta. Ma sotto i pali, conficcati a una dozzina di metri di profondità, si alterna acqua e terra ferma; il tutto ancora ricoperto da vegetazione. Un'opera intensiva di ripulitura consentirebbe all'acqua di riappropriarsi di quel lato del lago.

Finalmente siamo tornati sul sentiero del lato ovest e i recenti lavori - in parte criticati - hanno in realtà ridato fruibilità alla sponda. Sono state tagliate tutte le canne e asportati i rovi. Il lago torna in tutta la sua bellezza e lo si può ammirare proprio stando sulla sponda.

Notiamo un tubo di scarico solo in parte fuori dall'acqua. E' il collettore che raccoglie le acque piovane della collina alle spalle di via Volta. Se il livello del lago è alto il tubo finisce sott'acqua impedendo il deflusso. Col rischio quindi che in caso di piogge forti e prolungate il fossato a monte esondi allagando i campi. E' una delle ragioni per le quali nei giorni scorsi l'Amministrazione comunale ha operato un abbassamento del livello manovrando la chiusa alla foce (tra qualche protesta di alcuni pescatori).

Il sentiero continua a costeggiare il lago mentre sulla destra i recenti lavori hanno reso accessibile una vasta porzione di campo sotto alberi di alto fusto. Restano orrendi i due condotti scoperti, l'uno che portava le acque nere prima della realizzazione della vasca di laminazione che oggi consente di trattenere le acque nere in caso di troppo pieno e l'altro, sulla destra, che oggi trasporta le acque chiare.

Sotto il "palazzo reale", i cui lavori sono fermi da molto tempo e solo recentemente sono state fatte opere imponenti di pulizia, il canneto riprende il sopravvento e di nuovo la sponda è inaccessibile. Anche qui è necessario intervenire come nel tratto precedente e operare una ripulitura a fondo in modo che sia anche duratura nel tempo.

Il nostro viaggio è quasi terminato. Nell'ultimo tratto prima della foce le rive sono pulite e accessibili e il lago torna a mostrarsi nella sua interezza. Le acque sono monitorate quindicinalmente dall'Arpa per cui gli antiquati strumenti di controllo posizionati sulla zattera andranno rimossi.

Dicevamo all'inizio: c'è davvero molto da fare. Ma soprattutto ci vuole il coraggio di fare. L'Amministrazione comunale che ha la gestione della riserva deve mettersi al lavoro con l'ausilio degli esperti e redigere un massiccio piano di intervento da realizzarsi tra novembre e febbraio. E destinare ogni euro non strettamente necessario altrove per questo lavoro. Merate dispone di una rara bellezza, che ben pochi comuni possono vantare. Oggi è scarsamente utilizzata e, perché no, anche sfruttata. Per ciò bisogna agire non dimenticando che tra le prime opere ci sono le pulizie di tutti i fossati che scendono dalle colline e dalle case sovrastanti, fossati che portano acqua pulita in continuazione. La zona ha falde acquifere un po' ovunque e a pochi metri di profondità. Ripulire i fossati significa alimentare lo specchio d'acqua, favorire la circolazione e, a cascata, attraverso la Ruschetta, ridare vita anche allo stagno di San Rocco, altro angolo dimenticato della città.


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