Merate: il giornalista Antonio Calabrò racconta i 1000 morti di Palermo alla Semina

"I mille morti di Palermo", ovvero diciassette anni di mafia raccontati in un libro da chi, come Antonio Calabrò, per almeno quindici li ha vissuti come giornalista in un piccolo giornale del pomeriggio, l"Ora" di Palermo. A presentarlo, con l'autore, nell'aula magna del liceo "Agnesi" c'era "La Semina", associazione culturale del territorio.

Antonio Calabrò

"E' un libro che ti appassiona, per lo stile asciutto della scrittura, perchè racconta un pezzo di storia siciliana che ha condizionato per anni anche il resto del Paese
- ha detto Stefania Grazia nella sintesi che ha aperto l'incontro - ci sono i 500 morti ammazzati e altri 500 per lupara bianca. C'è il maxiprocesso di Palermo (1986) ci sono Caponnetto, Falcone e Borsellino. Ci sono i Corleonesi, dunque Riina, Provenzano, Brusca, Bontade e le altre "famiglie" Palermo era in ostaggio, sotto scacco della criminalità legata al potere; economico, Politico e qualche volta istituzionale. Col maxiprocesso di Palermo, la battuta d'arresto. Ora la mafia è diventata anche altro, fa affari. Questo librò però - ha concluso Stefania - è soprattutto un tributo alle vittime di mafia".

"Per chi come me ha avuto la fortuna di vivere intensamente - ha esordito l'autore - arriva il momento in cui ti senti in dovere di rendere conto di quanto hai avuto. E questo è il motivo per il quale ho deciso di scrivere questo libro. Non solo. Dai fatti di cui ho raccontato, sono trascorsi trent'anni. Il tempo necessario perchè le emozioni decantassero. Perchè la storia potesse essere riletta col necessario distacco. Dopo Palermo ho scelto di vivere a Milano, nella città che mi sembrava l'opposto da quella in cui ero nato e cresciuto, dove avevo cominciato il mio lavoro da giornalista".


Pio La Torre e il suo autista Rosario Di Salvo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Manuela Setti Carraro, il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella (fratello dell'attuale Presidente della Repubblica) Rocco Chinnici un magistrato, Boris Giuliano ("bravissimo poliziotto") alcuni dei nomi citati nel lungo elenco delle vittime di mafia. In quella che ha chiamato "la rimemorazione", Calabrò ha raccontato come il giornale in cui aveva lavorato fosse diventato "il punto di incontro per pezzi della città, tra il popolo e l'impegno civile di scrittori (Sciascia, Consolo, Bufalino, Luchino Visconti) e giornalisti". "Nonostante questo - ha sottolineato - ad un certo punto della nostra vita, con mia moglie abbiamo deciso di andarcene. Non volevamo più stringere mani o incontrare qualcuno col quale non volevamo avere nulla a che fare". Quattro le domande di Stefania Grazia. In quegli anni Palermo era sotto scacco. Gli intellettuali si rifugiarono nella torre d'avorio? La mafia è nata perchè lo Stato era assente? E come tutto questo è stato vissuto da un palermitano? Ci racconta le minacce alla sua famiglia? Dal maxiprocesso, le armi hanno cominciato a tacere. Come la mafia si è trasformata in comitato di affari? Rispondendo Calabrò ha continuato a raccontare quei diciassette anni di mafia, nonchè il Paese, la politica e i cambiamenti che l'Italia stava vivendo. La storia, da Garibaldi a Crispi. Michele Sindona o il 41 bis, ovvero l'isolamento in carcere, al quale i mafiosi cercano continuamente di opporsi.

Stefania Grazia della Semina con il giornalista Antonio Calabrò

Quanto all'attualità, rispondendo alla domanda sull'opportunità che il figlio di Riina venisse accolto in tv, Calabrò ha sottolineato come nelle interviste, il giornalista deve cercare di far emergere quello che l'intervistato vuole tenere nascosto. "Su quello che abbiamo visto - ha sottolineato - lascio a voi il giudizio".

Per due ore, l'autore da una parte e il pubblico dall'altra hanno continuato in un dialogo serrato che non ha registrato momenti di stanchezza. Chiudendo l'incontro, Calabrò ha voluto ringraziare per "questo bel dibattito".
Sergio Perego

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