Merate: il prof. Antonio Calabrò parla di industria e cultura alla Semina. Sabadini (Api): le generose intelligenze sono un valore

"Cultura è industria", ovvero un dialogo tra due realtà che devono lavorare insieme. L'industria manifatturiera come volano della ripresa, raccontata attraverso le pagine de "La morale del tornio", ultimo libro di Antonio Calabrò, giornalista, scrittore, docente alla Bocconi e alla Cattolica, nonchè responsabile cultura di Confindustria, ora dirigente alla Pirelli. Di questo si è discusso giovedì sera, 19 novembre, nell'incontro promosso al Liceo Agnesi e Viganò, dall'associazione culturale "La Semina" in collaborazione con l'Api, associazione piccole imprese di Lecco, rappresentata in aula magna dal presidente Luigi Sabadini. L'incontro ha visto una partecipazione numerosa.

"Attraverso la fabbrica - ha detto Calabrò aprendo il suo intervento - negli anni sessanta milioni di italiani hanno acquisto il sistema di valori (diritti e doveri) sui quali si fonda la democrazia. La fabbrica è luogo da conoscere e amare". La parola è poi passata al presidente Sabadini cui è toccato il compito di spiegare la realtà industriale vissuta nel quotidiano.

"Impresa è cultura è il titolo che abbiamo voluto dare a questo incontro, che continua sulla strada aperta con Adriano Olivetti - ha spiegato Stefania Grazia de la "Semina" - perchè se l'impresa deve entrare nella cultura, è vero anche il contrario".

E non c'è dubbio come questa sia anche la descrizione della realtà industriale che ha caratterizzato Lecco e la Brianza, dove la manifattura è da sempre al centro della grande e piccola industria, senza per questo dimenticare la cultura. Negli ultimi anni le difficoltà non sono mancate. E' allora necessario seguire Calabrò, quando dice che "per crescere ancora servono imprenditori con una forte intelligenza del cuore, e che le parole chiave sono innovazione, qualità, ricerca e capitale umano". Nonchè quelle di Sabadini "Siamo solo imprenditori o anche operatori sociali? Il nostro lavoro quotidiano è decidere. Dobbiamo farlo senza dimenticare l'etica. In questi anni di crisi, ci siamo trovati di fronte a scelte difficili, come quella di licenziare, dislocare, chiudere e liquidare. Decisioni che toccano le persone anche nel profondo. Nel nostro agire non dobbiamo dimenticare che le nostre scelte coinvolgono il territorio. Il radicamento - ha continuato l'imprenditore - è uno dei nostri punti di forza. La qualità dei prodotti nasce dalla capacità e dalla passione con le quali i nostri collaboratori e operai si impegnano. Nel lecchese, dove il manifatturiero, metalmeccanico in particolare, rappresenta tuttora il 70% delle industrie, le generose intelligenze sono un valore. Nella qualità della formazione, serve però un nuovo modello. In questo momento il rapporto scuola-lavoro non funziona. Per non prendere strade diverse, dobbiamo migliorare il passaggio di competenze".

Stefania Grazia della Semina, il giornalista Antonio Calabrò e il presidente Api Luigi Sabadini


"Sono cresciuto nella redazione de "L'Ora", piccolo giornale di Palermo, dove ho seguito praticamente tutto, dalla cronaca nera alla politica - ha esordito Calabrò - è stata una grande scuola. Non credo che a "Repubblica", dove ho poi lavorato, avrei potuto imparare tanto. C'è chi guarda la realtà e chi la fa. Questo libro nasce dall'impegno di chi ha voluto guardarci dentro. Anche per una piccola parte, ognuno di noi può partecipare. Pur breve, il piccolo passo che facciamo rappresenta sempre un'opportunità da cogliere. Adesso mi occupo di altro. Quando insegno, ai ragazzi racconto come è cambiato il mondo nell'informazione. In questo libro, con titolo che ho "rubato", lui consenziente, a Giulio Tremonti, racconto anche della crescita truccata. Ricordo bene quella frase di Rourke quando in "Nove settimane e mezzo", diceva "Fare soldi per mezzo dei soldi". In "Wall Street" era Michael Douglas a raccontare l'avidità di chi vuole soprattutto guadagnare. "Come diceva Carlo Maria Cipolla - ha continuato il docente, ora dirigente di una grande azienda - gli italiani sono abituati, fin dal Medioevo, a produrre cose belle e utili. I laboratori dei nostri artigiani sorgevano accanto alle chiese con i quadri di Piero della Francesca o del Caravaggio. E quando lavoravano, non potevano certo dimenticare quello che avevano visto. I nostri prodotti sono i primi al mondo, ma non sempre siamo stati capaci di cogliere l'attimo. Vi faccio un esempio. Venezia era il centro del commercio e della navigazione. Non ha saputo però cogliere il momento in cui l'industria della navigazione si stava rinnovando. Ancora oggi solo il 2% del nostro PIL viene investito in ricerca. Ciò nonostante siamo tra i primi al mondo. C'è una spiegazione. Le fabbriche innovano molto di più di quanto il PIL abbia registrato. Siamo bravi ad intercettare i gusti che cambiano. E il mondo ci riconosce questa qualità, che poi diventa capacità di produrre cose belle. Oggi come ieri, in Italia arte, cultura e industria devono camminare insieme".


Stefania Grazia ha poi proposto quattro interventi di altrettanti rappresentanti della società civile. Marco Colombo, giovane imprenditore della Project di Robbiate ha chiesto come "Trattenere i giovani ingegneri che ci lasciano per cercare altre strade". "Mio figlio ha studiato si è laureato in Italia e in Francia - ha risposto Calabrò - questa seconda laurea gli ha offerto maggiori possibilità di lavoro. Adesso è in Brasile. Lo abbiamo perso. Dobbiamo saper attrarre". Eva Ratti ricercatrice, ha raccontato invece un'esperienza diversa. Dopo anni all'estero, come ricercatrice astrofisica, è tornata e si occupa ora di collocazione dei dottorandi. "Il rapporto tra industria e accademia è necessario?" È stata la sua domanda. "Assolutamente sì - ha replicato Calabrò - pensate a Natta, dopo la sua scoperta del moplen (plastica) nel 1963 premio Nobel per la chimica. Con quella scoperta ha migliorato il mondo, anche dei più poveri. I mastelli dei miei genitori, non si rompevano più. Costavano poco ed erano anche colorati. Il post-Expo può diventare il modo per riscrivere il rapporto tra industria e cultura".
Marco Canzi, professionista, nonchè assessore a Olgiate Molgora si è chiesto come "costruire il passaggio tra il linguaggio di innovazione che le industrie sanno produrre al loro interno, e quello della ricerca". "Credo sia necessario attivare un fatto culturale" ha concluso. "Le imprese vanno avanti per i fatti loro - ha sottolineato Calabrò - è necessario qualcuno che metta al passo soggetti diverse, Negli anni cinquanta-sessanta, questo compito è stato svolto dalle Banche di Credito Cooperativo e dalla Banche Popolari. Vi porto ora un esempio recente. A Settimo Torinese, la Pirelli voleva costruire un nuovo stabilimento. Volevamo una fabbrica bella, dove i figli potessero dire: ecco dove lavorano mio padre o mia madre. E' davvero un bel posto. Abbiamo chiesto a Renzo Piano di progettarla. Per Renzo Piano è stata la prima volta con una fabbrica. Pirelli, Politecnico di Torino, Regione Piemonte, Sindacato, Confindustria e Comune di Settimo Torinese si sono seduti attorno ad un tavolo. Il coordinamento è stato di quest'ultimo. La fabbrica è già stata inaugurata. Non solo. Piano voleva che fosse molto luminosa, ma lì lavoriamo pneumatici e dunque mescole, che hanno bisogno del buio. La determinazione del grande architetto è stata tale, che siamo riusciti a creare un processo produttivo nuovo, dove, le mescole vengono lavorate anche in presenza di luce. E' stata una ricerca alla quale non avremmo mai pensato. Infine, nel giardino sono stati piantumati ciliegi".

Marco Colombo, Eva Ratti e Nada Ladraà


Ultima tra gli interventi programmati, Nada Ladraà, studentessa dell'Agnesi, ha sottolineato come nei dibattiti anche di problemi industriali, "in Italia si parla molto di storia. A mio parere invece - ha chiarito - bisognerebbe studiare di più le tecniche di avanguardia". "Quelle si possono imparare" ha risposto Sabadini "ma è importante invece la capacità di costruire una soluzione, e questa la trovi solo se hai studiato, se hai imparato ad applicare un metodo, come ci ha insegnato Cartesio e io l'ho appreso al liceo scientifico studiando filosofia".

"Sono d'accordo con Sabadini - ha continuato Calabrò - fino all'Ottocento la scuola non era divisa tra insegnamento scientifico e storico. E'stato solo dopo la riforma Croce-Gentile che questa doppia strada è stata applicata. Conoscenze e competenze - ha concluso - devono camminare sulla stessa strada". "Quando mi sono confrontata con gli studenti Harvard (Usa) o in Olanda - ha detto anche Eva Ratti - per imparare ad usare i software non è stato poi così difficile. Ma io avevo un metodo". Sollecitati da Pierangelo Marucco, presidente della Semina, Ambrogio Rossoni e Massimo Farinatti, presidente e vice dell'ADI (associazione design italiano) hanno raccontato la storia del design. "inscindibile - hanno detto - da quella della cultura e dell'industria italiane". "Per assegnare il nostro premio annuale - ha spiegato il primo - riceviamo ogni anno 1500 progetti. Tra questi ne scegliamo 20. Questa è la dimensione del nostro design". "Dobbiamo costruire strade per applicare il design-thinking alle industrie" ha sottolineato Farinatti.

Pierangelo Marucco, Claudio Firmani e Massimo Farinatti


Molti gli interventi anche nel dibattito. Tra gli altri, Claudio Firmani, astrofisico di fama mondiale, ha parlato di "passione per il proprio lavoro come molla per costruire il futuro" "Sulla scia del Rinascimento e degli ingegneri filosofi - ha detto ancora Marucco - avremo bisogno, sul territorio di cultura politecnica".

"Il nostro è un Paese generoso - ha concluso Calabrò - diversamente non sarebbe rimasto in piedi". Come non essere d'accordo.
Sergio Perego

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