LECCO: LE CONFESSIONI DEL PENTITO DI BELLA E ''I  TRE AFFILIATI'' DELLA PORTA ACCANTO

Giuseppe Di Bella
Giuseppe di Bella è un uomo senza fronzoli. Così lo dipinge un collega nell'introduzione a una lunga intervista concessa al quotidiano La Provincia di Lecco e  che ha aperto la prima pagina di giovedì 16 dicembre 2010, illustrata con una foto in posa del pentito già collaboratore di Franco Coco Trovato, il boss mafioso della mala lecchese oggi in carcere a vita. Se lo è adesso, senza fronzoli,  Di Bella certo lo sarà stato anche quando il suo sistema di vita era il delinquere. Altri userebbero il termine "essenziale". Poco da dire sul soggetto: arrestato, è stato in carcere, ha collaborato con la giustizia, ha scontato il minimo di pena, è tornato in libertà, ha ricevuto protezione dallo Stato e una nuova identità, ma oggi teme per la sua vita e quella del figlio. Sono conseguenze di sue scelte passate, volute o subìte poco importa. Importa e non poco che abbia deciso di parlare, di raccontare ai giornalisti cose neppure raccontate ai magistrati. E la sua sembra una serie di racconti a puntate che partono - e non finiscono - con il libro Metastasi che, almeno nel lecchese, ha spopolato in libreria. Ma è sincero Di Bella? E, se si, in che misura? E chi è in grado di verificare lo stato di attendibilità delle sue dichiarazioni? Gli autori del libro Nuzzi e Antonelli? No. Il magistrato penale? Si, se vi sono riscontri. E riscontri ne sono stati trovati dentro il mondo della delinquenza di cui Giuseppe Di Bella ha fatto parte. Sono le tantissime citazioni del mondo esterno al giro della famiglia Trovato che lasciano fortemente perplessi e vi spiego il perché. Giuseppe Di Bella "copriva" la sua figura di esecutore mafioso con l'attività di impresa commerciale. Siamo negli anni 80, gli ultimi dell'economia che tira e della prima repubblica. La città di Lecco pulsa come tutte le piccole metropoli della Lombardia. Chiaro, pacifico, inevitabile che il Di Bella come chiunque altro commerciante, artigiano, libero professionista avesse più o meno quotidiani contatti con uffici  privati e personaggi pubblici. Sarà andato in banca, alla camera di commercio, all'unione commercianti. Sarà entrato negli uffici del Comune dove aveva il bar, negli uffici amministrativi della Questura di Lecco e in quelli del Tribunale. Avrà parlato con commercialisti e notai, con funzionari del fisco o dell'Asl. Avrà chiesto aiuti e cortesie come chiunque fa con chiunque. Siamo ancora il Paese delle raccomandazioni.  Se ne ottengono di meno, ma si chiedono. E non è che si recasse in quei luoghi o parlasse con quelle persone con appuntata sul petto la mostrina di "collaboratore di mafia". Dico questo perché  alcuni passi del libro "Metastasi" citano, tra altre altolocate, tre persone due delle quali ho conosciuto e frequentato a lungo per motivi di lavoro. Della terza conosco quali erano i poteri e i non poteri. E quando leggi in un libro definito schoccante e  dirompente per la materia che tratta e tu conosci bene quella parte di  materia attribuita ai "tre infami"  ecco che hai un elemento - che gli autori e i magistrati non hanno o hanno in misura inferiore - per capire se quello è che è scritto è vero oppure ha solo le sembianze del vero.

Le tre persone sono Giuseppe Pupa, già funzionario responsabile dell'ufficio di delegazione di Lecco della Camera di Commercio, Gianni Rota, già sindaco di Malgrate e vicedirettore dell'Unione Commercianti Lecchesi e Italo Bruseghini, già sindaco di Olginate. Del secondo, deceduto nel 2009, Di Bella con delicatezza non cita le generalità. Lo hanno fatto in sua vece i colleghi della carta stampata.

Ora abbiate la cortesia di seguirmi in queste brevi considerazioni. Sono stato per 13 anni impiegato all'Unione Commercianti quando Gianni Rota era mio superiore e con la Camera di commercio opero in veste di libero professionista ininterrottamente dal 1968. Mi considero uno dei più preparati in materia di commercio e pubblici esercizi e quindi conosco perfettamente le procedure comunali nel rilascio delle licenze. Tradotto: conosco la materia e quindi ne parlo a ragion veduta

Il primo: Giuseppe Pupa.


Giuseppe Di Bella descrive Giuseppe Pupa  come un "facilitatore" delle aziende e quindi degli  interessi del clan. La Cciaa di Lecco sarebbe stata la reggia di Coco Trovato e company e il suo direttore il gran ciambellano. Pupa avrebbe facilitato l'iscrizione di Di Bella al Registro Esercenti Commercio (Rec) senza il quale non si può aprire un bar e poi presentato Di Bella al sindaco di Olginate Bruseghini per ottenere l'aggiunta della voce ristorante a quella, già posseduta, di bar. Generosamente il pentito di mafia ammette di non sapere se Pupa abbia mai ricevuto denaro. Dice di più. Dice di essere riuscito a  superare l'esame di abilitazione senza pagare una lira benché il tariffario vigente prevedesse la bellezza di 6 milioni di lire! Non paga, però accusa. Strano: è lui il cassiere che  "paga" Bruseghini ed altri, ma non quello che "paga" Pupa.  C'è  contraddizione.
Sono affermazioni che appaiono risibili e infatti non vanno oltre il suono delle parole.
Conosco, come lo hanno conosciuto tantissimi altri, il ragionier Giuseppe Pupa da una vita. Io da una parte e lui d'altra dei banconi della Camera di Commercio di Como prima e di Lecco poi ci siamo confrontati per quasi trent'anni seriamente e serenamente fino a quando nel 1996 ha lasciato l'Ente. L'uomo è del Sud. E' generoso, gentile e  informale sul lavoro come nella vita privata. Forse lo è troppo, ma non è un peccato e ancor meno un delitto. Non si può e non si deve sempre tenere la "giusta distanza" sennò si diventa un semaforo. Pupa è un uomo che raramente si sottrae a una lecita richiesta di aiuto. In quegli anni l'obbligo di legge di superare un esame per iniziare un'attività commerciale è stato un incubo per migliaia di persona di qualunque età. Giuseppe Pupa aveva il dono di non terrorizzare ulteriormente. Consegnava le dispense che l'Ente distribuiva gratuitamente e vi aggiungeva graditi suggerimenti. Lo avrà certamente fatto anche con Giuseppe Di Bella con il piacere in più di aiutare un compaesano. L'esame del Rec lo si supera se si sa leggere e scrivere e si dedica qualche ora allo studio che oggi chiamano formazione. Ci sono una prova scritta e una orale. Se si viene bocciati lo si ripete e non muore nessuno. Il verbale di esito positivo o negativo viene firmato da una commissione giudicatrice composta da 5 a 8 persone. E deve trattarsi di un voto unanime. Giuseppe Pupa non aveva poteri personali e discrezionali che potessero favorire il Di Bella che all'epoca, come tutti, sostenne lo scritto a Lecco e l'orale a Como. La Camera di Commercio è un ente certificativo e non abilitativo. E dove lo è - albo delle imprese artigiani, ruolo agenti di commercio - sono più di una le persone che trattano la pratica secondo rigorose procedure di legge. Alla fine sono tutti atti dovuti. Puoi perdere un po' di tempo, ma è per carenze tue se non studi la materia e ti presenti alla selezione impreparato. E' come a scuola. Il diploma te lo dà un Consiglio di Professori. Magari si media tra sufficienze e insufficienze, c'è il docente severo e quello tenero, ma alla fine dalla scuola esci. Se poi ti comporti bene o male è una questione solo tua.

Vedere descritto oggi il ragionier Giuseppe Pupa come un "amico degli amici" oltre che insultante non è credibile. Ci può cascare solo chi si ferma all'etimologia del cognome e alla regione di origine. Due aspetti insignificanti che squalificano  colui che li usa come termine di paragone.

Gianni Rota
Il secondo: Gianvirginio Rota, detto Gianni.

Narra Di Bella che era il palazzo comunale di Malgrate, comune di cui Gianni Rota è stato sindaco per 24 anni e non quella di Lecco in via Fratelli Cairoli, la vera sede dell'Unione Commercianti. Dietro quelle mura il vicedirettore dell'associazione di categoria riceveva i questuanti e concedeva finanziamenti  agevolati dietro tangente del 10%. Ma li concedeva solo a quelli del clan Coco, agli altri no. Non ho mai provato personale simpatia per Gianni Rota, uomo caratteriale uso a imporsi, ma mi riesce  impossibile vederlo nei panni descritti dal sarto Di Bella. E questo per ragioni di una semplicità inaudita. Non escludo che per mera cortesia il dirigente Ascom abbia accettato di ricevere, diciamo fuori orario, uno o più commercianti nel suo ufficio comunale e abbia dato indicazioni e poi fatto istruire dagli uffici dell'associazione pratiche di finanziamento agevolato richieste da aziende iscritte. Erano gli anni della presidenza Crippa, della costituzione del Fondo di Garanzia che ha contribuito all'erogazione di miliardi di lire, della prima e fondamentale convenzione con la Banca Popolare di Lecco che finanziava a tassi agevolati gli iscritti sia all'Ascom che al Fondo. Quest' ultimo garantiva una percentuale dell'eventuale insoluto. I soldi li danno le banche. Cosa può avere fatto Gianni Rota? Suggerito una migliore compilazione della modulistica? Eseguita un'annotazione aggiuntiva sulle prospettive positive dell'azienda del richiedente? Fatto una telefonata al funzionario di banca per sollecitarne l'accoglimento? Sono procedure normali, direi quasi doverose per un'associazione di categoria. Penso anche che vi sia ancora in qualche archivio il riscontro dei numeri e degli importi di queste pratiche. Gianni Rota si sarà dondolato tra cortesie e  scortesie, delinquente o complice mai.

Italo Briuseghini
Il terzo: Italo Bruseghini.

Dico subito che lo conosco di vista e gli ho stretto la mano una sola volta e non ricordo neppure dove. Forse in sala civica a Merate durante un'assemblea pubblica sul supermercato Esselunga di Calco. Non è facile fare il sindaco perché chiunque pensa che lui possa fare tutto e gli si vuole parlare per qualunque necessità. Non è così oggi e non lo è stato neppure ante 1998, anno della rivoluzione bersaniana in tema di libero commercio. Negli anni '80 le licenza di bar e trattorie le rilasciava il Comune e le firmava il sindaco o il suo assessore delegato. Non era facile ottenerle perchè il tutto avveniva all'interno di un Piano di programmazione e sviluppo commissionato a un libero professionista, adottato dalla Giunta Comunale, sottoposto al parere delle associazioni dei consumatori e dei commercianti e infine approvato dal Consiglio Comunale. Ogni singola istanza di rilascio, trasferimento o ampliamento veniva radiografata dalla commissione comunale per i pubblici esercizi e li dentro si respirava voglia di non concorrenza allo stato impuro. Promettere o addirittura garantire una licenza o un ampliamento di quella già posseduta sarebbe stato un azzardo per qualunque sindaco. Vi era poi il severo vaglio dell'Asl. Di Bella confessa di avere  rinunciato a tale ampliamento. Di norma si paga alla consegna e se la merce non arriva ci si fa restituire i soldi.  E invece neppure una bomba carta che esplode davanti al portone del Municipio. Italo Bruseghini di suo ha rilasciato alla stampa una dichiarazione di smentita  ineccepibile per fatti e ragionamenti.
Concludo. Non riesco a immaginare un'intera città ai piedi di una famiglia. Vedo solo  funzionari cortesi confluiti a distanza di vent'anni nel girone degli affiliati inconsapevoli. La mia netta impressione è che Giuseppe di Bella abbia riferito con cognizione di causa di fatti interni al mondo delinquenziale che ha frequentato a lungo e che conosce alla perfezione. In questa ottica è apparso alla magistratura - che vi ha trovato i dovuti  riscontri - attendibile e meritevole di trattamento premiale. Poi ha usato e abusato di nomi e cognomi di persone e personaggi conosciuti e incontrati per ragioni di lavoro e vi ha ricamato intorno pesantemente per accreditarsi ancora di più. Ma sono i medesimi "fattacci" che ha riferito che gli si rivoltano contro. Nulla di quanto ha detto regge al minimo riscontro fattuale, ivi incluso quello altamente aleatorio del calcolo delle probabilità. Voleva fare sapere di avere avuto contatti anche - ma guarda un po'! -  con più di una persona insospettabile unicamente perché perbene. E' persona perbene quella che si alza la mattina per andare a lavorare e torna la sera in famiglia stanca, ma soddisfatta di avere fatto il proprio dovere. Giuseppe di Bella racconta di essere tornato una sera a casa dopo avere fatto saltare per aria il capannone di un'azienda che insisteva per essere pagata. C'è qualcuno che non nota la differenza?  Dispiace che non una voce privata si sia aggiunta a quella del sindaco di Lecco per quantomeno esprimere dubbi. Non un libero professionista, non un dirigente camerale, non un funzionario associativo, non una delle tante persone che hanno conosciuto i tre di cui io oggi parlo. E' un silenzio pavido che soffia sul vento della calunnia. Perché di una cosa ho certezza:  il ragioniere Giuseppe Pupa, il defunto Gianvirginio Rota detto Gianni e Italo Bruseghini non sono mai stati la controfigura di Giuseppe Di Bella. Me lo dicono il cuore e la mente. E solo una chiara sentenza di un giusto processo può farmi cambiare idea.
Alberico Fumagalli
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