Osnago: al centro Lazzati, Zardoni solleva il velo di mistero sulle miniere di Montevecchia

Le miniere di Montevecchia sono state il tema del “Caffè del venerdì” proposto dal Centro sociale e culturale Giuseppe Lazzati di Osnago. All’incontro con Giovanni Zardoni, tenutasi presso il circolo ACLI di Osnago, hanno partecipato diverse persone, incuriosite dall’argomento affrontato, una vicenda vera ricostruita basandosi su documenti presenti nell’archivio comunale di Cernusco. Qui il relatore, ricercando del materiale per scrivere un libro sulla storia del paese, ha avuto accesso ad alcuni scritti  risalenti al periodo in cui il comune era unito con Montevecchia.

«L’intenzione di oggi è levare il velo del mistero attorno alle miniere di Montevecchia che pochi ricordano» ha esordito Giovanni Zardoni che ha subito fornito dei dettagli storici sull’avvio delle estrazioni di marna cementizia di eccellente qualità, con un tenore di carbonato di calcio del 78%, ottima per produrre calce e cemento.
Il colle di Montevecchia è “attraversato” da tre banchi di marna: uno di 4 km di lunghezza, sfruttato per circa 500 metri, partiva da località Butto e raggiungeva Cascina Molgora a Missaglia toccando la zona del cimitero, di San Bernardo e località Cappona; il secondo, di 4 km anch’esso, iniziava da Valfredda e passava a sud di Ca’ Soldato risalendo e scendendo in Valle S.Croce, dove giungeva il terzo banco, con partenza da sud di Ospedaletto, dopo aver attraversato il crinale del colle, per un percorso di 2 km.

La carta con le vie della marna.
A destra Luigi Mandelli, presidente del centro sociale e culturale Giuseppe Lazzati con Giovanni Zardoni

Gli inizi della vicenda risalgono al 28 luglio 1928 quando la Società Anonima Cementi Brianza (SACB) presenta domanda per lo sfruttamento delle miniere, seguita a ottobre da un’analoga proposta dell’Italcementi, che non viene accolta. La prima miniera a cielo aperto viene aperta dalla SACB in località Cappona, messa in comunicazione con Lomaniga attraverso la teleferica. Già dall’anno successivo si registrano le prime tensioni e Elisabetta Fasoli, benestante montevecchina, lamenta al Podestà Ancarani di Cernusco la caduta di alcune mine, ma la SACB replica considerandola un’esagerazione e proseguendo i lavori, tanto che il 12 marzo 1931 ottiene la concessione definitiva di sfruttare la miniera per trent’anni. Giovanni Zardoni ha ricordato che già negli anni ’40 vi erano dei segnali di scarsa sicurezza, tra cui la mancanza di protezione all’accesso alla miniera e l’assenza di un’uscita di sicurezza, ma, nonostante ciò, nel periodo fascista Montevecchia viene attraversata da sette livelli di tunnel lunghi 450 metri ciascuno e con uno spazio di 5 mt tra essi.

Si rendono evidenti le anomalie dato che a dicembre 1940 in sole 24 ore scompaiono due sorgenti in località Cappona, Meroni e Capponi, penetrate nelle gallerie che si sono dovute dotare di pompe, però la marna è tanto redditizia che anche la ditta “Fratelli Bargero” fa domanda per poterne sfruttare le miniere. A ciò si oppongono nettamente l’Italcementi che ha aperto una cava a Montevecchia est, a cascina Butto, e la SACB, rinominata Varnoni & Fumagalli, che ottiene invece l’autorizzazione per estendersi fino allo Spiazzolo. A queste novità non restano indifferenti l’ente provinciale del turismo e la relativa Soprintendenza che chiedono di preservare il patrimonio naturale montevecchino, e neppure il comune e il consorzio dell’acquedotto.

L'ingresso alla miniera, ora murato e invalicabile

Zardoni ha mostrato i dati che documentano la crescita economica dell’attività estrattiva. A ottobre 1947 l’abbattimento della marna si effettua solo al quinto livello per 415 mt, con una produzione giornaliera di 32 t che richiede 12 kg di esplosivo e dà lavoro a 28 operai. A febbraio 1950 la forza lavoro è aumentata di otto uomini che con 20 kg di esplosivo producono quotidianamente 80 t di marna e calcare, impiegato come correttivo per la calce idraulica. Di lì a quattro anni vengono ampliate le dimensioni delle gallerie dei livelli bassi, passando da 7x8 a 12x8 mt, introducendo l’utilizzo di una pala meccanica e di carrelli di sgombero e per fronteggiare la produzione mensile di 1200 t si pensa di ricorrere a una seconda pala meccanica.

Nonostante la chiusura della miniera della Cappona per mancanza di sicurezza, avvenuta a novembre ’56, la Varnoni & Fumagalli ottiene una terza concessione a dicembre 1957. Pochi giorni dopo, il 6 gennaio 1958 alcune donne di ritorno dalla S.Messa mattutina trovano, spaventate, una voragine lunga 300 mt e profonda 50 che cancella 200 mt di strada e 360 di acquedotto, per un collasso totale di 30.000 metri cubi che ha interessato i 7 livelli della miniera, fortunatamente senza fare vittime. La Spa Calce Missaglia, subentrata alla Varnoni & Fumagalli, chiede comunque l’apertura di nuovo tunnel, ma le viene impedito dalla popolazione e ripiega sulla cava di Cascina Bellesina a Missaglia, attiva dal marzo ’62 fino a fine decennio.

Il crollo del '58

Il pubblico, vivamente interessato, ha sollevato delle domande sulla stabilità di Montevecchia, ma Zardoni ha spiegato che secondo alcuni studi è proprio l’acqua che riempie le cave ad assicurare la stabilità del colle con la pressione esercitata, mentre secondo altri potrebbe portare a un’erosione della roccia. Le sorgenti sono perenni e il livello è costante perché l’acqua ha trovato una via d’uscita in zona Cascina Paolina a Lomaniga dove genera un ruscello con un flusso modesto. Le abitazioni sul crinale del colle sono costruite su rocce salde e oltre agli studi del Politecnico di Milano è stata eseguita una relazione geologica da parte del comune di Montevecchia.

Ad oggi, ad eccezione di un limitato smottamento del 2010 nella parte a cielo aperto, non si registrano movimenti, quindi gli abitanti possono stare tranquilli. Rispondendo ad altri interventi del pubblico, Zardoni ha precisato che le ipotesi di eventuali scavi alla ricerca del petrolio, paventati qualche tempo fa, non lambirebbero la zona delle miniere bensì la località Bagaggera.
Federica Conti
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