Merate: con 'Soroptimist' e Cristina Scanu viaggio-inchiesta nelle carceri dove i bimbi 'vivono da detenuti come le madri’
"Pensiamo a un bambino, di massimo tre anni, che alle sette o alle otto di sera vede arrivare una persona in divisa, con delle manette e una pistola, che chiude a chiave blindata la cella dove sta con sua madre. In una stanza di due metri per tre dove si trova a dover passare la notte con, se ci sono, altri bambini, e altre madri. Non c'è un altro modo di spiegare a un bambino così piccolo perché è lì e cosa sta succedendo. Il titolo del mio libro è "Mamma è in prigione", perché i protagonisti sono non tanto le madri quanto i bambini; i bimbi che vivono in carcere con la mamma, ma anche i bimbi che vivono senza la mamma, perché lei è in carcere".
Attacca così Cristina Scanu, scrittrice e giornalista della Rai e di La7 e autrice del libro "Mamma è in prigione", presentato giovedì sera in Villa Confalonieri durante una serata promossa da Soroptimist Merate. In presa diretta sul suo pubblico, proprio come in presa diretta ha realizzato il suo viaggio in una decina di carceri italiane dove, raccogliendo testimonianze, ascoltando voci, udendo molto spesso pianti, ha scandagliato la grave condizione in cui versano madri e minori nelle case di reclusione del nostro Paese.
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"Cristina è una giornalista free lance, ha fatto questa inchiesta drammatica in un momento in cui non aveva lavoro. Ha visitato le carceri, parlato con gli operatori, con le mamme e i loro figli" : così l'ha "introdotta" Giuseppe Ciulla, anch'egli giornalista, autore televisivo, collega e moderatore nel corso della serata. "Io mi sono inventata questo viaggio perché un tempo, lavoravo a Mi manda Rai Tre, ci aveva telefonato una detenuta per parlarci della disavventura di suo fratello in carcere. In quell'occasione avevo scoperto che in carcere ci stavano anche i bambini, non lo sapevo. Sono andata a cercare del materiale in libreria, ma non ho trovato nulla sull'argomento, se non lo scritto di un sociologo nel '92. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Ma sono una giornalista. E allora ho scritto io. Volevo denunciare questa cosa, approfittando di un momento in cui non avevo lavoro. A giugno c'erano 40 bambini nelle carceri insieme alle mamme: troppi" ha raccontato Cristina.
"Vorrei parlarvi di una sensazione, di quello che ho provato il primo giorno che sono entrata in carcere. Come prima tappa sono andata alla Giudecca, un carcere a Venezia che è un convento del 1300,dove ci sono le mamme con bimbi. Recentemente hanno aperto anche un Icam (Istituto di custodia attenuata per Madri, ndr), ma ai tempi della mia visita ancora non c'era. Ho fatto tutto il viaggio di ritorno in treno piangendo" ha continuato.
A scuotere l'autrice, una giovane donna di 34 anni, è stato innanzitutto il fatto di aver trovato madri sue coetanee o minori che, oltre al "marchio" della carcerazione, avevano già vissuto esperienze terribili. Donne povere, donne abusate. "In me si sono identificate. Mi hanno regalato tanto, più di quanto ho regalato io a loro denunciando". L'empatia per le madri lascia spazio al dolore per la loro condizione e per quella dei loro piccoli, "bimbi detenuti che vivono esattamente come le madri".
Una frase, quest'ultima, lanciata come un dardo sul pubblico; una frase che implica una presa di coscienza dal momento che veicola una realtà, forse indicibile prima di questo libro. "Ci sono cose che vanno dette. Vanno dette e basta. Non importa quante persone raggiungeranno": sono cadute aplomb sulla sottile linea di silenzio calata sul pubblico le parole di Ciulla. Bimbi detenuti senza pena da dover scontare. Senza accusa, senza reato.
"I bambini fanno la vita della loro mamma. Vengono svegliati dal manganello del poliziotto alle sette di mattina, alle otto di sera vengono richiusi nella loro cella. Nel carcere di Sassari c'è un solo bambino, a cui quindi è preclusa totalmente la possibilità di relazionarsi coi i suoi coetanei".
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Da qui il "j'accuse" di Cristina: "la mia denuncia è anche una speranza, che chi sbaglia possa scontare la propria pena in carcere ma che poi possa essere aiutato e seguito per tornare a una vita normale. Mi piacerebbe che si attivassero delle cooperative e delle figure professionali che insegnino alle donne un mestiere, che si occupino di loro. Altrimenti spesso l'unica alternativa che hanno è di tornare a delinquere".
La parola è dunque passata a Gabriella, una mamma che con coraggio ha preso la forza di raccontare l'esperienza vissuta in prima persona al carcere San Vittore, insieme al proprio piccolo.
"Vivevamo in una stanza di 60 metri quadri in dodici donne e dodici bambini. Io ero l'unica italiana, le altre madri erano in maggioranza rom, con usanze diverse dalla mia. I bimbi avevano da un minimo di un mese a un massimo di due anni e mezzo. Era un delirio. Non ho vergogna di dire che quando quelle donne sono state trasferite, io ero felice".
Quello che Cristina Scanu ha visto nel viaggio inchiesta che ha portato alla stesura e alla pubblicazione del suo libro "Mamma è in carcere", Gabriella l'ha vissuto.
"Mi ricordo che un giorno io e mio figlio ci siamo messi a ripulire un piccolo pezzo di giardino. C'erano tutti i bambini che giocavano saltando tra le pozzanghere...ho pensato che è il terzo mondo deve essere stato uguale a quello, a questa immagine. La detenzione loro non dovevano pagarla, la colpa era nostra, ma io non potevo dare mio figlio a mia madre e così è venuto con me". Fino a 3 anni, Dario è stato sostegno e forza per Gabriella - "avendolo con me, mi sentivo madre, mi sentivo la forza di fare tante cose. Quando c'è stata la separazione da lui ho davvero realizzato che mi trovavo in un carcere" ha raccontato la donna - ma al compimento del 3° anno di vita, come previsto dalla legge, il bambino è stato allontanato dalla struttura carceraria. "Quando ha compiuto tre anni mio figlio, esattamente il giorno del suo compleanno, è venuta la suora a prenderlo. Non abbiamo potuto festeggiare né mangiare la torta insieme naturalmente. Lui mi ha chiesto "mamma perché mi mandi via" ed io cosa avrei dovuto rispondergli?".
Come ha spiegato Gabriella, quando esiste una figura parentale che può occuparsi del bambino, padre, nonna o zio che sia, al carcere fa seguito l'affidamento, ma vi sono anche casi in cui non si verifica questa condizione ed il bimbo passa automaticamente in una comunità, "con in pericolo di non sapere quando poterselo riprendere".
Come ha voluto mettere in luce la donna, spesso accade che i detenuti si trovino a dover scontare una pena ulteriore rispetto a quella prevista per il reato commesso, cioè la privazione degli affetti e l'annullamento del mondo relazionale intrecciato fuori dal carcere. "Il problema è che molte volte passiamo davanti a un carcere e pensiamo che le persone lì dentro non stanno bene per le schifezze che mangiano o per dove dormono o per lo spazio dove si trovano. Ma a questo ci si abitua. La cosa più brutta che ti può succedere li dentro è che ti venga tolto l'affetto che hai di fuori" ha detto Gabriella, raccontando delle dinamiche che si attivano nelle case di detenzione tra detenute che si scambiano i pochi vestiti per "credere di averne uno in più", che si preparano per il colloquio del giorno seguente "cercando comunque di farsi belle, perché sono donne", intessendo e poi custodendo gelosamente ogni tipo di contatto umano possibile per il posto in cui si trovano.
"Mio figlio lo prendevo e lo abbracciavo forte nel letto, gli raccontavo la favola della nostra giornata, in cui c'era anche la sentinella che girava attorno alle mura.." : le madri possono spiegare ai figli la condizione in cui versano principalmente tramite gli strumenti tipici dell'infanzia, come le favole,"allo stesso modo in cui faceva Benigni in La vita è bella" ha sottolineato Ciulla.
La panoramica fornita sulla tematica nel corso della serata promossa da Soroptimist, associazione che riunisce diverse "professionalità al servizio", come ha sottolineato la presidente Paola Pizzaferri, focalizzandosi sul tema carcerario e in particolare sulla protezione della maternità e sulla tutela dei minori, è stata a 360°.
Non è mancato un inquadramento socio-giuridico-legislativo della questione, fatto da una socia fondatrice Soroptimist, l'avvocato penalista Maria Grazia Corti, la quale ha fatto presente la situazione carceraria femminile in Italia: "la popolazione femminile nelle carceri ammonta a circa il 4% del totale. Difficilmente le donne sono detenute per reati d tipo organizzativo o contro il patrimonio. Il grosso dei reati afferisce all'area della marginalità, alla droga, alla prostituzione, in piccola parte si tratta di reati contro la persona" ha detto, passando dunque a spiegare come la reclusione sia una misura assolutamente inadeguata per punire tali tipologie di reati e quindi "rieducare" chi li compie. "Facciamo un esempio per il mondo della droga: visto che circa il 40% delle persone che entrano in comunità esce guarito, allora dovremmo pensare a formule migliori rispetto alla detenzione, che non serve né allo Stato né al detenuto, il quale appena uscito torna a drogarsi".
Parlando della Legge Finocchiaro e delle nuove disposizioni in materia, si è sottolineata sia l'esigenza per il Paese di provvedere all'istituzione di associazioni o enti predisposti a accompagnare gli ex carcerati a un percorso di rieducazione che passi attraverso il lavoro dignitoso,sia l'impellente esigenza di una normativa che sappia davvero tutelare i bambini le cui madri si trovano a scontare una pena. "Ci sono circa 70 bambini nelle carceri italiane, questa è una vergogna".
Alla serata hanno partecipato anche gli assessori meratesi Giusy Spezzaferri ed Emilio Zanmarchi, che hanno colto l'occasione di ringraziare il sodalizio per l'operato svolto in questi anni, anche in collaborazione con "L'altra metà del cielo". "Le nostre sono professionalità al servizio. Vogliamo promuovere i diritti umani e l'avanzamento dei diritti femminili; Soroptimist International ha aperto più di 40 aule di ascolto protetto nei tribunali italiani, di cui una al tribunale di Lecco. Ora è attivo il progetto con il carcere di Bollate" ha detto la presidente citando alcune delle aree in cui il gruppo è operativo.
Per informazioni sul Club Soroptimist clicca qui http://www.soroptimist.it/club/Merate/
Giuseppe Ciulla, Cristina Scanu, Paola Pizzaferri, Giusy Spezzaferri e l’avvocato Maria Grazia Corti
Attacca così Cristina Scanu, scrittrice e giornalista della Rai e di La7 e autrice del libro "Mamma è in prigione", presentato giovedì sera in Villa Confalonieri durante una serata promossa da Soroptimist Merate. In presa diretta sul suo pubblico, proprio come in presa diretta ha realizzato il suo viaggio in una decina di carceri italiane dove, raccogliendo testimonianze, ascoltando voci, udendo molto spesso pianti, ha scandagliato la grave condizione in cui versano madri e minori nelle case di reclusione del nostro Paese.
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"Cristina è una giornalista free lance, ha fatto questa inchiesta drammatica in un momento in cui non aveva lavoro. Ha visitato le carceri, parlato con gli operatori, con le mamme e i loro figli" : così l'ha "introdotta" Giuseppe Ciulla, anch'egli giornalista, autore televisivo, collega e moderatore nel corso della serata. "Io mi sono inventata questo viaggio perché un tempo, lavoravo a Mi manda Rai Tre, ci aveva telefonato una detenuta per parlarci della disavventura di suo fratello in carcere. In quell'occasione avevo scoperto che in carcere ci stavano anche i bambini, non lo sapevo. Sono andata a cercare del materiale in libreria, ma non ho trovato nulla sull'argomento, se non lo scritto di un sociologo nel '92. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Ma sono una giornalista. E allora ho scritto io. Volevo denunciare questa cosa, approfittando di un momento in cui non avevo lavoro. A giugno c'erano 40 bambini nelle carceri insieme alle mamme: troppi" ha raccontato Cristina.
"Vorrei parlarvi di una sensazione, di quello che ho provato il primo giorno che sono entrata in carcere. Come prima tappa sono andata alla Giudecca, un carcere a Venezia che è un convento del 1300,dove ci sono le mamme con bimbi. Recentemente hanno aperto anche un Icam (Istituto di custodia attenuata per Madri, ndr), ma ai tempi della mia visita ancora non c'era. Ho fatto tutto il viaggio di ritorno in treno piangendo" ha continuato.
A scuotere l'autrice, una giovane donna di 34 anni, è stato innanzitutto il fatto di aver trovato madri sue coetanee o minori che, oltre al "marchio" della carcerazione, avevano già vissuto esperienze terribili. Donne povere, donne abusate. "In me si sono identificate. Mi hanno regalato tanto, più di quanto ho regalato io a loro denunciando". L'empatia per le madri lascia spazio al dolore per la loro condizione e per quella dei loro piccoli, "bimbi detenuti che vivono esattamente come le madri".
Cristina Scanu, l’avvocato Corti e Gabriella
Una frase, quest'ultima, lanciata come un dardo sul pubblico; una frase che implica una presa di coscienza dal momento che veicola una realtà, forse indicibile prima di questo libro. "Ci sono cose che vanno dette. Vanno dette e basta. Non importa quante persone raggiungeranno": sono cadute aplomb sulla sottile linea di silenzio calata sul pubblico le parole di Ciulla. Bimbi detenuti senza pena da dover scontare. Senza accusa, senza reato.
"I bambini fanno la vita della loro mamma. Vengono svegliati dal manganello del poliziotto alle sette di mattina, alle otto di sera vengono richiusi nella loro cella. Nel carcere di Sassari c'è un solo bambino, a cui quindi è preclusa totalmente la possibilità di relazionarsi coi i suoi coetanei".
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Da qui il "j'accuse" di Cristina: "la mia denuncia è anche una speranza, che chi sbaglia possa scontare la propria pena in carcere ma che poi possa essere aiutato e seguito per tornare a una vita normale. Mi piacerebbe che si attivassero delle cooperative e delle figure professionali che insegnino alle donne un mestiere, che si occupino di loro. Altrimenti spesso l'unica alternativa che hanno è di tornare a delinquere".
La parola è dunque passata a Gabriella, una mamma che con coraggio ha preso la forza di raccontare l'esperienza vissuta in prima persona al carcere San Vittore, insieme al proprio piccolo.
"Vivevamo in una stanza di 60 metri quadri in dodici donne e dodici bambini. Io ero l'unica italiana, le altre madri erano in maggioranza rom, con usanze diverse dalla mia. I bimbi avevano da un minimo di un mese a un massimo di due anni e mezzo. Era un delirio. Non ho vergogna di dire che quando quelle donne sono state trasferite, io ero felice".
Quello che Cristina Scanu ha visto nel viaggio inchiesta che ha portato alla stesura e alla pubblicazione del suo libro "Mamma è in carcere", Gabriella l'ha vissuto.
"Mi ricordo che un giorno io e mio figlio ci siamo messi a ripulire un piccolo pezzo di giardino. C'erano tutti i bambini che giocavano saltando tra le pozzanghere...ho pensato che è il terzo mondo deve essere stato uguale a quello, a questa immagine. La detenzione loro non dovevano pagarla, la colpa era nostra, ma io non potevo dare mio figlio a mia madre e così è venuto con me". Fino a 3 anni, Dario è stato sostegno e forza per Gabriella - "avendolo con me, mi sentivo madre, mi sentivo la forza di fare tante cose. Quando c'è stata la separazione da lui ho davvero realizzato che mi trovavo in un carcere" ha raccontato la donna - ma al compimento del 3° anno di vita, come previsto dalla legge, il bambino è stato allontanato dalla struttura carceraria. "Quando ha compiuto tre anni mio figlio, esattamente il giorno del suo compleanno, è venuta la suora a prenderlo. Non abbiamo potuto festeggiare né mangiare la torta insieme naturalmente. Lui mi ha chiesto "mamma perché mi mandi via" ed io cosa avrei dovuto rispondergli?".
Come ha spiegato Gabriella, quando esiste una figura parentale che può occuparsi del bambino, padre, nonna o zio che sia, al carcere fa seguito l'affidamento, ma vi sono anche casi in cui non si verifica questa condizione ed il bimbo passa automaticamente in una comunità, "con in pericolo di non sapere quando poterselo riprendere".
Giuseppe Ciulla, Cristina Scanu, Paola Pizzaferri, Giusy Spezzaferri e l’avvocato Maria Grazia Corti
Come ha voluto mettere in luce la donna, spesso accade che i detenuti si trovino a dover scontare una pena ulteriore rispetto a quella prevista per il reato commesso, cioè la privazione degli affetti e l'annullamento del mondo relazionale intrecciato fuori dal carcere. "Il problema è che molte volte passiamo davanti a un carcere e pensiamo che le persone lì dentro non stanno bene per le schifezze che mangiano o per dove dormono o per lo spazio dove si trovano. Ma a questo ci si abitua. La cosa più brutta che ti può succedere li dentro è che ti venga tolto l'affetto che hai di fuori" ha detto Gabriella, raccontando delle dinamiche che si attivano nelle case di detenzione tra detenute che si scambiano i pochi vestiti per "credere di averne uno in più", che si preparano per il colloquio del giorno seguente "cercando comunque di farsi belle, perché sono donne", intessendo e poi custodendo gelosamente ogni tipo di contatto umano possibile per il posto in cui si trovano.
"Mio figlio lo prendevo e lo abbracciavo forte nel letto, gli raccontavo la favola della nostra giornata, in cui c'era anche la sentinella che girava attorno alle mura.." : le madri possono spiegare ai figli la condizione in cui versano principalmente tramite gli strumenti tipici dell'infanzia, come le favole,"allo stesso modo in cui faceva Benigni in La vita è bella" ha sottolineato Ciulla.
La panoramica fornita sulla tematica nel corso della serata promossa da Soroptimist, associazione che riunisce diverse "professionalità al servizio", come ha sottolineato la presidente Paola Pizzaferri, focalizzandosi sul tema carcerario e in particolare sulla protezione della maternità e sulla tutela dei minori, è stata a 360°.
Non è mancato un inquadramento socio-giuridico-legislativo della questione, fatto da una socia fondatrice Soroptimist, l'avvocato penalista Maria Grazia Corti, la quale ha fatto presente la situazione carceraria femminile in Italia: "la popolazione femminile nelle carceri ammonta a circa il 4% del totale. Difficilmente le donne sono detenute per reati d tipo organizzativo o contro il patrimonio. Il grosso dei reati afferisce all'area della marginalità, alla droga, alla prostituzione, in piccola parte si tratta di reati contro la persona" ha detto, passando dunque a spiegare come la reclusione sia una misura assolutamente inadeguata per punire tali tipologie di reati e quindi "rieducare" chi li compie. "Facciamo un esempio per il mondo della droga: visto che circa il 40% delle persone che entrano in comunità esce guarito, allora dovremmo pensare a formule migliori rispetto alla detenzione, che non serve né allo Stato né al detenuto, il quale appena uscito torna a drogarsi".
Parlando della Legge Finocchiaro e delle nuove disposizioni in materia, si è sottolineata sia l'esigenza per il Paese di provvedere all'istituzione di associazioni o enti predisposti a accompagnare gli ex carcerati a un percorso di rieducazione che passi attraverso il lavoro dignitoso,sia l'impellente esigenza di una normativa che sappia davvero tutelare i bambini le cui madri si trovano a scontare una pena. "Ci sono circa 70 bambini nelle carceri italiane, questa è una vergogna".
Alla serata hanno partecipato anche gli assessori meratesi Giusy Spezzaferri ed Emilio Zanmarchi, che hanno colto l'occasione di ringraziare il sodalizio per l'operato svolto in questi anni, anche in collaborazione con "L'altra metà del cielo". "Le nostre sono professionalità al servizio. Vogliamo promuovere i diritti umani e l'avanzamento dei diritti femminili; Soroptimist International ha aperto più di 40 aule di ascolto protetto nei tribunali italiani, di cui una al tribunale di Lecco. Ora è attivo il progetto con il carcere di Bollate" ha detto la presidente citando alcune delle aree in cui il gruppo è operativo.
Per informazioni sul Club Soroptimist clicca qui http://www.soroptimist.it/club/Merate/
Selena Tagliabue