Merate: sprazzi di storia in Corte Marforio con i suoi tanti C.

La corte Marforio di Merate é lunga un centinaio di metri e larga meno della metà. Entrando dal portone di Via Manzoni, più di mezzo secolo fa tutti gli appartamenti sul lato destro erano abitati dai rispettivi proprietari, che avevano a pianterreno il retro del negozio che dall'altro lato si affacciava  su piazza Prinetti e sopra l'abitazione. Gli altri tre lati erano abitati da inquilini, il lato sud e ovest facevano a capo ad un milanese, il lato nord ai sopraddetti proprietari, specialmente uno.
A quel tempo le auto le possedevano solo i ricchi e il cortile era vuoto e a completa disposizione dei ragazzi per i loro giochi, prima di trasformarsi nel parcheggio caotico che sarebbe diventato una decina di anni dopo.
Quante partite alla lippa, al pallone, quante battaglie con le cerbottane facendosi scudo delle biciclette che, rovesciate e appoggiate per terra su manubrio e sellino, facevano da scudo, con i raggi fitti e vorticosi delle ruote girate velocemente a mano, ai proiettili del nemico. Dopo i compiti di scuola e prima che le mamme dalle finestre chiamassero per la cena, in quelle ore felici dell'imbrunire vissute nell'età in cui la vita sembra promettere cose grandiose a tutti, le grida dei ragazzi nel cortile gareggiavano con quelle delle rondini che alte nel cielo disegnavano figure armoniche e acrobatiche, come pattinatrici sul ghiaccio, come frecce tricolori della nostra infanzia. E la sera dopo cena, quando calava il buio, si giocava a nascondino con le torce elettriche sulle scale e nei corridoi tenebrosi privi di illuminazione, cercandosi e trovandosi con esclamazioni di spavento e di vittoria.


Di quelli che erano affittuari ne ricordo tanti, moltissimi col cognome che iniziava per C.
C'era il C. che il sabato faceva il bagno col sapone nel Molgora, quando questo era un pulito torrente di cui si vedevano con chiarezza i sassi sul fondo attraverso la limpida acqua e nel quale noi ragazzi abbiamo imparato a nuotare, costruendo una diga con sassi ammassati uno sopra l'altro fino ad innalzare il livello dell'acqua all'altezza di mezzo metro. D'estate arrivavamo subito dopo pranzo alle 12.30 e rincasavamo verso le 19.00. Che pomeriggi favolosi in quell'eden ancora intatto. Non era ancora diventato la discarica di adesso, dove per la legge del contrappasso hanno messo il depuratore delle fogne.
Un secondo C., abitante anche lui al secondo piano come il primo, era da questi chiamato scherzosamente Togliatti, per la sua fede politica e per la somiglianza di questo cognome famoso al suo cognome vero. Questo secondo ha avuto un figlio che ancora oggi si vede camminare per Merate con la stessa faccia di 40 anni fa, incredibilmente intatta, serena e giovanile. Anche i capelli sono folti come allora, ma ora risplendono di un bianco immacolato.

Una foto degli anni Cinquanta

Un terzo C., anch'egli di fede comunista, anzi segretario mi sembra della sezione del PCI, che allora era in via Manzoni in un localino di 12 m2, ha lasciato al figlio una professione altamente lucrosa.
Un quarto C., artigiano onesto e semplice, lasciò cinque figli tra cui uno, furbetto e traffichino fin dalle elementari.
Un quinto C. ha lasciato un figlio che si vede mentre porta a spasso il cagnolino nella zona via Agnesi.
Un sesto C. ha generato un figlio architetto.
Un settimo, R. di cognome però, un figlio svelto di gambe, di lingua e di testa, che si sposò con una facoltosa ereditiera prima che lo facessero altri.

C'era poi un immigrato meridionale, calvo e prestante.
C'era il vinaio che ogni tanto entrava nella cantina con le braccia piene di scatole di zucchero da un kg.
C'era la signorina che aveva preservato o sopportato la sua illibatezza fino a che i capelli diventarono grigi ma, conosciuto casualmente un meridionale più vecchio di lei, con grande scandalo se lo tirò in casa e quello abbandonò per lei moglie e figli.
Uno alla volta, tutti se ne andarono - chi nelle case della parrocchia, chi in quelle del comune, chi nei nuovi condomini - o li mandarono via perchè il nuovo padrone, una società di professionisti e commercianti meratesi, voleva spremere i miliardi da quelle povere abitazioni con il gabinetto sulle scale. L'ultima ad andarsene fu una famiglia -  anche lei C. - con negozietto annesso, dopo un calvario di carte bollate e avvocati minacciosi perchè i lavori di demolizione sembrava che dovessero iniziare subito dopo lo sfratto e i muratori fossero ad aspettare lì lì, fuori dalla porta con il piccone in mano. Ottennero lo sfratto nel 1993, i lavori cominciarono nel 2008. Quindici anni dopo. Poveri muratori, 15 anni al gelo e al solleone.
Questa famiglia, prima di abbandonare la sua postazione e prima che arrivassero i Tartari, fece pubblicare sul settimanale locale uno scritto, a pagamento, in cui esprimeva ciò aveva nel cuore allora e ha nel cuore oggi chi é rimasto. E' qui sotto.


Quante storie, quante vite in cento metri. Cento metri che ora sono disabitati in grandissima parte, sbarrati, muti e freddi.
Hanno fatto un deserto e lo chiamano progresso.
Adesso tutti, inquilini (il muratore, il fabbro, il sellaio, l'assicuratore, il vinaio, l'operaio) e proprietari (il tappezziere, l'elettricista, il barbiere, il gelataio) dormono là sulla collina, sparsi in uno spazio un po' più grande della corte Marforio, accanto all'Oratorio Vecchio o meglio al rudere cadente che ne é rimasto, dove noi figli andavamo la domenica a giocare a pallone, a girare sulla giostra, a bere la gazzosa con la stringa venduta da Leo a 30 lire, a scappare dal catechismo scavalcando il muro di cinta, a tentare di esplorarne i sotterranei paurosi e pericolosi senza mai addentrarci più di pochi metri, respinti dal timore per quello scantinato bagnato dalle infiltrazioni, buio e sconnesso. Tra pochi lustri anche noi, che abbiamo preso ognuno la nostra strada nel mondo, chi bella e fortunata, chi meno, riposeremo accanto a loro, scambieremo finalmente coi nostri familiari tutte le parole e i sentimenti che colpevolmente non ci siamo detti e dati su questa Terra. Perdoneremo e saremo perdonati. E il ricordo della vita di tutti noi, padri e figli, si diluirà e scomparirà nel fiume del tempo come lacrime nella pioggia, sorte questa di tutte le persone che non contano niente nel gran teatro del mondo.
Un ex inquilino di corte Marforio
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