Osnago: Paolo Brivio, direttore della rivista ''Scarp de' tenis'' ricorda l'ispiratore Jannacci
Tra i tanti ricordi di Enzo Jannacci, offerti in questi giorni di lutto per la sua scomparsa, spicca quello reso dall'osnaghese Paolo Brivio ai microfoni del Tgr Lombardia andato in onda all'interno dell'edizione delle 19.30 di ieri, lunedì di Pasquetta. Brivio è infatti il direttore della rivista "Scarp de' tenis" ispirata proprio al titolo della celebre canzone scritta a quattro mani dal cantautore meneghino scomparso venerdì a 77 anni con l'amico Dario Fo, nel lontano 1964. Nata a trent'anni di distanza, da un'idea del pubblicitario Mario Greppi che voleva impiantare a Milano gli street magazine di origine anglossassone, la rivista oggi edita dalla Caritas Ambrosiana con l'apporto della Cooperativa Oltre e di altre realtà radicate a Napoli, Genova e Torino, dà reddito e supporto sociale a circa 150 persone gravemente emarginate. "Scarp de' tenis" è infatti scritto e venduto da persone senza fissa dimora, compagni di vita di quel barbun avviato sullo stradone per l'Idroscalo proposto dal medico milanese con la musica nell'animo.
Quest'ultima definizione è stata ripresa anche quest'oggi da don Roberto Davanzo, nel corso della celebrazione del funerale di Jannacci. Concludendo il suo ricordo, il sacerdote ha infatti affermato: "permettetemi ora di parlare come Direttore della Caritas di Milano. È dalla geniale ed amara poesia di Enzo Jannacci che abbiamo tratto il titolo di una rivista e di tanti progetti di dignità che da questa rivista sono scaturiti, a Milano e in altre città d’Italia (da Palermo a Napoli, a Rimini, a Catania, a Torino...) che hanno accettato di lasciarsi un po’ contaminare da un dialetto venuto da altrove. È vero: El purtava i scarp del tenis è canzone cantata in quel dialetto milanese che si è forgiato nei secoli grazie all’influsso delle tante lingue che sono passate da Milano / Mediolanum, la terra di mezzo tra il Mediterraneo e il nord Europa, tra i Balcani e i Pirenei. Un dialetto che, nel raccontare della storia triste di un senza dimora alla ricerca di un amore che non può essere negato a nessuno, ha smesso per un attimo di essere visto come una colonizzazione della ricca ed efficiente terra milanese per diventare una specie di esperanto dell’emarginazione e della denuncia di ogni indifferenza. Se la canzone di Jannacci si chiudeva infatti con il ritrovamento del protagonista sotto un mucchio di cartoni ormai esanime e con un cinico lasa sta, che l’é roba de barbun, possiamo dire che proprio quella canzone è invece diventata la cifra di un prendersi a cuore le storie e le vite di tanti “barboni” alla ricerca più o meno consapevole di un’esistenza più dignitosa, di un amore, di una speranza. Il mondo degli emarginati che Jannacci aveva raccontato in modo struggente e ironico, sconsolato e caustico dal protagonista di Ragazzo padre al villano di Ho visto un re passando attraverso il tossico di Se me lo dicevi prima ... quel mondo, in quel barbone con le scarpe da tennis, veniva magistralmente rappresentato. Non so se e quanto Enzo fosse consapevole dei risultati di quel progetto ispirato da una sua canzone. Quello che so é che la carità ha bisogno – oggi più che mai – anche di poeti che ci riportino, come è stato scritto in questi giorni, all’essenziale, all’interiorità: la dimora che tutti condividiamo, anche quando non abbiamo dimora. Enzo è stato questo tipo di poeta. A noi il dovere di dire il nostro grazie a lui e a quanti – e non li nominiamo per non dimenticarne alcuno - lo hanno sostenuto nella sua arte, nella sua missione di medico, nella sua malattia: a partire dalla moglie, la signora Giuliana, e dal figlio Paolo, cui va il nostro cordoglio e la promessa del nostro affetto".
Per ulteriori informazioni sulla rivista: http://www.blogdetenis.it/
Enzo Jannacci
Seppure le condizioni degli homeless appaiano quindi del tutto diverse a quelle proposte da Jannacci, così come "rivoluzionata" appare, nel complesso, la Milano attuale rispetto alla città tratteggiata in altri brani del cantautore, la redazione di "Scarp de' tenis" non ha mai "pensato nemmeno per un attimo di cambiare il nome alla testata, neanche quando l'abbiamo portata da Milano in altre città" ha proseguito Brivio, sostenendo poi che lo stesso Jannacci, "acquistava stabilmente il giornale lasciando anche qualche piccola mancia al venditore e quindi seguendoci in questo modo con simpatia".Alcune copertine storiche della rivista
"Scarp de' tenis" ha quindi perso quello che lo stesso direttore, nel suo editoriale pubblicato sul sito internet della rivista, ha definito il "padre battezzatore", "un poeta che ci riporta all'essenziale. All'interiorità: la dimora che tutti condividiamo, anche quando non abbiamo dimora. Anche quando camminiamo su un anonimo stradone, verso l'Idroscalo del nostro smarrimento".Quest'ultima definizione è stata ripresa anche quest'oggi da don Roberto Davanzo, nel corso della celebrazione del funerale di Jannacci. Concludendo il suo ricordo, il sacerdote ha infatti affermato: "permettetemi ora di parlare come Direttore della Caritas di Milano. È dalla geniale ed amara poesia di Enzo Jannacci che abbiamo tratto il titolo di una rivista e di tanti progetti di dignità che da questa rivista sono scaturiti, a Milano e in altre città d’Italia (da Palermo a Napoli, a Rimini, a Catania, a Torino...) che hanno accettato di lasciarsi un po’ contaminare da un dialetto venuto da altrove. È vero: El purtava i scarp del tenis è canzone cantata in quel dialetto milanese che si è forgiato nei secoli grazie all’influsso delle tante lingue che sono passate da Milano / Mediolanum, la terra di mezzo tra il Mediterraneo e il nord Europa, tra i Balcani e i Pirenei. Un dialetto che, nel raccontare della storia triste di un senza dimora alla ricerca di un amore che non può essere negato a nessuno, ha smesso per un attimo di essere visto come una colonizzazione della ricca ed efficiente terra milanese per diventare una specie di esperanto dell’emarginazione e della denuncia di ogni indifferenza. Se la canzone di Jannacci si chiudeva infatti con il ritrovamento del protagonista sotto un mucchio di cartoni ormai esanime e con un cinico lasa sta, che l’é roba de barbun, possiamo dire che proprio quella canzone è invece diventata la cifra di un prendersi a cuore le storie e le vite di tanti “barboni” alla ricerca più o meno consapevole di un’esistenza più dignitosa, di un amore, di una speranza. Il mondo degli emarginati che Jannacci aveva raccontato in modo struggente e ironico, sconsolato e caustico dal protagonista di Ragazzo padre al villano di Ho visto un re passando attraverso il tossico di Se me lo dicevi prima ... quel mondo, in quel barbone con le scarpe da tennis, veniva magistralmente rappresentato. Non so se e quanto Enzo fosse consapevole dei risultati di quel progetto ispirato da una sua canzone. Quello che so é che la carità ha bisogno – oggi più che mai – anche di poeti che ci riportino, come è stato scritto in questi giorni, all’essenziale, all’interiorità: la dimora che tutti condividiamo, anche quando non abbiamo dimora. Enzo è stato questo tipo di poeta. A noi il dovere di dire il nostro grazie a lui e a quanti – e non li nominiamo per non dimenticarne alcuno - lo hanno sostenuto nella sua arte, nella sua missione di medico, nella sua malattia: a partire dalla moglie, la signora Giuliana, e dal figlio Paolo, cui va il nostro cordoglio e la promessa del nostro affetto".
Per ulteriori informazioni sulla rivista: http://www.blogdetenis.it/
