Merate: il ricordo di Mennea nelle parole di Andrea Massironi, compagno in Nazionale
Andrea Massironi con la divisa della Nazionale
La prima gara su strada è iniziata, come si suol dire, per caso. Era il 4 novembre 1965 e Andrea Massironi, allora 19enne aveva accompagnato a Erba un amico che avrebbe dovuto gareggiare in questa corsa e al quale si era rotta la moto per raggiungere la destinazione. Si trattava di un percorso di 10 km, roba impegnativa.
Mentre era lì con l'amico, la butta sul ridere e dice: "Dai quasi partecipo anche io". Detto fatto. Si fa prestare un paio di scarpe, due numeri più grandi, si mette "ai blocchi di partenza", corre e taglia il traguardo 11° sulla classifica assoluta, primo per la categoria Junior.
E' l'inizio. Il talento di Massironi viene presto a galla. Il 3 aprile del 1966 (giorno del suo ventesimo compleanno) fa la sua prima gara su pista, si iscrive al team della Pirelli e nel 1969, grazie ai risultati e ai punti conseguiti, entra in Nazionale. 5mila, 10mila e maratona sono le discipline dove si distingue e nel 1971 su 54 gare ne vince 27.
Corre al fianco di campioni internazionali. Vince, perde, non si scoraggia, risale la china, ci si butta corpo e anima e intanto cresce e si forma e arriva ad essere il numero due in Italia.
"Era dura a quei tempi" racconta "qui non c'erano anelli per allenarsi. Allora andavo due volte alla settimana all'Arena di Milano a correre".
A sinistra Andrea Massironi sulla scalinata di Madonna del Bosco
Di quegli anni ha tanti ricordi ma ora quello più profondo è per il compagno di tante "passeggiate" Pietro Mennea, morto lo scorso 21 marzo.
Ecco un ritratto tracciato da Andrea Massironi.
Ho avuto l'onore di vestire la Maglia Azzurra e di far parte della Nazionale di Atletica Leggera dal 1969 al 1972 e fra i tanti compagni e campioni che vi facevano parte c'era anche Pietro Mennea. Sono rimasto profondamente addolorato per la prematura, e per me, improvvisa scomparsa. Anche in questa circostanza Pietro è giunto all'ultimo traguardo senza clamore. L'ho conosciuto nell'estate del 1970, eravamo in ritiro collegiale ad Asiago con la Nazionale e dopo gli allenamenti ci facevamo compagnia perché stavamo un po' defilati dai grandi ed affermati campioni che vi facevano parte. Lui era timido e riservato, io ero fra i più scarsi del gruppo e per questo mi era più facile dialogare con lui che con personaggi come Pamich, Lievore, Ottoz, Gentile, Fiasconaro,...
Mancavano solo due anni alle olimpiadi di Monaco e come tutti gli sportivi speravamo di partecipare alle olimpiadi e segretamente sognavamo anche di poter vincere la medaglia d'oro. Per cercare di raggiungere questi ambiziosi obiettivi sapevamo che l'unica strada possibile passava per durissimi allenamenti che affrontavamo con piacere, convinti che solo così si potevano migliorare i nostri risultati. Lui partecipò e vinse la medaglia di bronzo. Io fui costretto a casa da un infortunio. Fra i tanti ricordi che inevitabilmente il tempo sfuma fino a farne sparire la maggior parte alcuni rimangono inspiegabilmente nitidi come se fossero avvenuti il giorno prima. Fra questi ricordo l'emozione e la gioia che provai quando nel 1972 Pietro conquistò la medaglia di Bronzo e otto anni dopo la medaglia d'oro a Mosca.
Durante la lunghissima carriera sportiva c'è stato un periodo di maldicenze tese a denigrarne gli straordinari risultati adombrando l'ombra del doping.
Sono stato testimone di un fatto curioso e che rende l'idea di che assurdità sono stati questi sospetti e di come interpretavamo lo sport in quegli anni. Anche questa circostanza è fissata in modo indelebile nella mia memoria. Eravamo a Cagliari alla fine di agosto del 1971 e il 4-5 settembre allo stadio comunale Sant'Elia era in programma l'incontro di atletica Italia-Canada. Io fondista dovevo correre i 10mila e Mennea, velocista, i 100 metri e la staffetta 4x100 ed entrambi avevamo un leggero raffreddore. Il medico ci consigliò delle pastiglie effervescenti di "Cebion", semplice vitamina C, e a pranzo ne fece prendere una e ci disse di andare avanti per almeno tre giorni. Nel pomeriggio dopo gli allenamenti, durante la passeggiata Pietro mi disse: "Ma ti pare il caso di prendere medicine per un po' di raffreddore?". Io, nella mia beata ignoranza, risposi che non ne avrei più prese e Mennea con il suo triste sorriso disse: "Io le ho già buttate!". Ecco è con questo ricordo che saluto un grandissimo campione, un vero atleta ma soprattutto un uomo straordinario e mite.
Ciao Pietro sono felice di averti conosciuto.
Pietro Mennea
Mancavano solo due anni alle olimpiadi di Monaco e come tutti gli sportivi speravamo di partecipare alle olimpiadi e segretamente sognavamo anche di poter vincere la medaglia d'oro. Per cercare di raggiungere questi ambiziosi obiettivi sapevamo che l'unica strada possibile passava per durissimi allenamenti che affrontavamo con piacere, convinti che solo così si potevano migliorare i nostri risultati. Lui partecipò e vinse la medaglia di bronzo. Io fui costretto a casa da un infortunio. Fra i tanti ricordi che inevitabilmente il tempo sfuma fino a farne sparire la maggior parte alcuni rimangono inspiegabilmente nitidi come se fossero avvenuti il giorno prima. Fra questi ricordo l'emozione e la gioia che provai quando nel 1972 Pietro conquistò la medaglia di Bronzo e otto anni dopo la medaglia d'oro a Mosca.
Durante la lunghissima carriera sportiva c'è stato un periodo di maldicenze tese a denigrarne gli straordinari risultati adombrando l'ombra del doping.
Sono stato testimone di un fatto curioso e che rende l'idea di che assurdità sono stati questi sospetti e di come interpretavamo lo sport in quegli anni. Anche questa circostanza è fissata in modo indelebile nella mia memoria. Eravamo a Cagliari alla fine di agosto del 1971 e il 4-5 settembre allo stadio comunale Sant'Elia era in programma l'incontro di atletica Italia-Canada. Io fondista dovevo correre i 10mila e Mennea, velocista, i 100 metri e la staffetta 4x100 ed entrambi avevamo un leggero raffreddore. Il medico ci consigliò delle pastiglie effervescenti di "Cebion", semplice vitamina C, e a pranzo ne fece prendere una e ci disse di andare avanti per almeno tre giorni. Nel pomeriggio dopo gli allenamenti, durante la passeggiata Pietro mi disse: "Ma ti pare il caso di prendere medicine per un po' di raffreddore?". Io, nella mia beata ignoranza, risposi che non ne avrei più prese e Mennea con il suo triste sorriso disse: "Io le ho già buttate!". Ecco è con questo ricordo che saluto un grandissimo campione, un vero atleta ma soprattutto un uomo straordinario e mite.
Ciao Pietro sono felice di averti conosciuto.
Andrea
S.V.