Merate: il racconto di Ambrogio, trapiantato di fegato. ''Sono rinato e per me quel giorno è come un secondo compleanno''

L'Aido: un ultimo gesto che significa la rinascita.
È ciò che accade a chi, segnato da un destino compromesso dalla malattia, dalla morte di un'altra persona ritrova la vita.
A raccontare l'esperienza del trapianto sono stati Ambrogio Colombo e Carla Consonni, meratesi, entrambi riceventi di un fegato "nuovo" che ha permesso loro di tornare a sperare. A vivere.
Ad ascoltare la loro testimonianza e quella più "scientifica" del dottor Paolo Aseni, chirurgo dell'ospedale Niguarda, sono stati gli studenti delle scuole superiori radunati nell'aula magna dell'Itc Viganò. Una mattinata voluta dal gruppo locale AIDO, presieduto da Bruno Bosisio, per sensibilizzare le giovani generazioni sul tema della donazione e, al tempo stesso, invitarli a partecipare al concorso indetto dall'associazione e che sfocerà nelle premiazioni di aprile.

Da sinistra il dr. Paolo Aseni, la prof.ssa Marina Bizzarri, Ambrogio Colombo, Carla Consonni,
il presidente Aido Bruno Bosisio e il preside del Viganò Lorenzo Pelamatti

Ambrogio ha ricevuto un fegato nuovo il 19 luglio del 2010. E per lui quel giorno è diventato un secondo compleanno, una data da ricordare. Senza quel trapianto sarebbe morto in pochi giorni. Il suo organo, infatti, era irrimediabilmente compromesso e dopo 6/7 anni di malattia per lui non c'era altra speranza che mettersi in "lista" e sperare di essere chiamato il prima possibile. Le terapie, infatti, non facevano più effetto e quel destino che tutti vorremmo il più lontano possibile per Ambrogio minacciava di essere una scadenza vicinissima.

"Il problema è che all'inizio la malattia ti prende il fegato" ha raccontato "poi si estende al resto dell'organismo. Arriva l'acqua nella pancia e man mano si perdono le forze e la capacità di reagire. Il trapianto viene prospettato dai medici quando ormai si è alla fine e non si può più fare altro. Così ho fatto io. Non avrei vissuto molto se quella sera di luglio non mi fosse arrivata la telefonata dal centro trapianti del Niguarda. Mi hanno detto che c'era un fegato compatibile per me, di prepararmi. Sono salito in macchina e mi sono presentato all'accettazione. Da quel momento inizia l'iter". Un percorso non semplice, anche perché dal momento della chiamata all'inizio dell'operazione possono esserci sempre delle valutazioni fatte sull'organo che danno parere negativo e quindi la speranza, che come l'adrenalina inizia a girare in corpo, viene troncata di colpo. "Alla chiamata bisogna essere pronti, non si può rinviare. Anche perché è davvero questione di vita o di morte. L'operazione è durata 10 ore. Avevo anche due ernie da sistemare". Naturale la domanda: al risveglio cosa ha pensato? "Quando ho aperto gli occhi mi sono detto: ci sono ancora, inizia una nuova vita. In quel momento senti che ci sei. Anche sei hai tutti i tubi attaccati, i drenaggi, le flebo senti che qualcosa è cambiato, che ora inizierai a stare bene. Il tempo della ripresa è lungo: bisogna riprendere a camminare, a respirare autonomamente, ma lo si fa con uno spirito diverso. Devi passare un certo periodo con la mascherina poiché sei a rischio infezioni. Ma è tutto diverso. Il pensiero però è sempre alla persona cui apparteneva il fegato che ora è diventato il mio. Penso a lei tutti i giorni, non so chi sia. Ma so che sono stato fortunato. Super fortunato".
S.V.

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