Merate: con La Semina, ricordato il card. Martini, 'pastore' e 'vescovo del dialogo'

“Un uomo che ha camminato davanti a noi indicandoci la strada” per padre Riccardo dei Frati di Sabbioncello. “Un pastore” per don Angelo Casati, già parroco a Lecco,  poeta e scrittore. “Il vescovo del dialogo” per don Gianfranco  Bottoni, responsabile per l’ecumenismo nell’arcidiocesi di Milano. “Un uomo scomodo, anche per i laici” per Giovanni Bianchi, ex deputato, già presidente delle Acli, del PPI e ora dei Circoli Dossetti. Così un francescano, due preti e un laico hanno raccontato nell’aula magna dell’Agnesi-Viganò, chi fosse il cardinal Martini. Promosso da “La Semina”,  l’incontro sul “pensiero e la parola” nel cardinale, arcivescovo di Milano per ben ventidue anni, ha visto, nonostante la pioggia torrenziale caduta mercoledì sera in Brianza, una partecipazione numerosissima. Tra loro Maria Teresa Rigato e Lorenzo Pelamatti, dirigenti scolastici dei due istituti.

La preside Rigato con i relatori della serata


“Eccellenza e laicità sono i tratti distintivi de “La Semina”, lo sono stati anche in Martini – ha esordito padre Riccardo, coordinatore dell’incontro – é stato un uomo sempre profondo e provocatore, più che un libro, è stato una biblioteca”.
“Quando alla sua morte una giornalista mi chiese quale ricordo avrei conservato di Martini – ha continuato don Angelo – risposi:”quella del pastore”. Mi venne da dirlo anni fa, quando lasciò la diocesi. Ebbene, anche allora non smise di essere pastore, di camminare con noi. Un’immagine che mi rimane su tutte, svigorita a volte con eccesso di sdolcinature. Mi è rimasto negli occhi quel giorno del suo ingresso così inusuale in diocesi: non era processione, non era corteo, era cammino. Era venuto in mezzo a noi camminando tra la gente, come il pastore di Palestina davanti al suo gregge. Uomo del cammino e non del palco, uomo della strada e non delle parate. Niente cordoni, niente posti riservati, niente separatezze. Così è stata la visita di Dio, Gesù di Nazareth, uomo della strada, Dio della ferialità e della condivisione”.

E ancora: Mi sono chiesto che cosa hanno capito di Martini quelli che in questi giorni lo hanno dipinto come un intellettuale, un erudito, uno lontano da motivazioni vissute. Ma dove erano costoro? Pensate, e la dice tutta, la dice lunga, la conclusione di un articolo di Navarro-Valls sul Corriere della sera. L’articolo, il giorno dopo della morte, con quel suo incredibile disgustoso raffronto. Scriveva :”In Ratzinger, come in Woytila, la dimensione personale ha sempre avuto un primato sulla sensibilità filologica e scritturale. In Martini, invece, la grande competenza tecnica non ha mai ceduto troppo volentieri il passo a motivazioni vissute. A conclusione del proprio itinerario di vita, come diceva Tommaso d’Aquino, la cultura diviene ben cosa per un uomo, quasi un mucchio di paglia buona per il fuoco, ma inutile per non soffrire. Solo la fede resta intatta quando il dolore e la morte entrano inesorabilmente nell’esistenza individuale. Perchè solo la certezza granitica della fede può condurre per mano una persona serenamente all’ultima “sala d’aspetto della vita terrena”.

In piedi, sulla destra, il preside Pelamatti

“Ma chi hanno visto costoro – ha continuato don Angelo – ma sanno costoro che la parola di Dio di cui Martini era innamorato, era lampada per i suoi passi, luce sul suo cammino, come ha voluto fosse scritto sulla sua tomba. Lui che entrò in diocesi tenendo tra le mani come solo libro la Bibbia, sola Scriptura, sanno costoro che la Parola di Dio fa ardere il cuore? Pensate voi che i giovani lo cercassero perchè amanti della filologia?. O perchè invece incrociava con la Bibbia la loro umanità, il loro desiderio di vita? Io, ve lo confesso, ho ancora presenti e vivi i fotogrammi degli inizi, quando il Duomo prendeva ai nostri occhi un’immagine straordinaria, come mai ce lo saremmo immaginato. Diventava il grande prato del Vangelo, invaso da uomini e donne, giovani soprattutto, che vi affollavano fin dai punti estremi della diocesi, seduti per terra, aggrappati alle colonne ad ascoltare un vescovo che leggeva il Libro”.

Don Angelo ha concluso ricordando, insieme a Martini, l’altro suo grande amico, padre David Maria Turoldo.
“Martini è stato il vescovo del dialogo, un Padre della Chiesa, una figura gigantesca, forse più grande di Agostino. Solo tra decenni capiranno fino in fondo la sua grandezza – ha continuato don Gianfranco Bottoni, responsabile di ecumenismo e dialogo per l’arcidiocesi di Milano – era un uomo che cercava l’amicizia, il rapporto umano. Ricordo, era già a Gallarate ammalato di Parkinson, una sua telefonata: “Cosa aspetti a venire a trovarmi” furono le sue parole. Un’altra volta che volevo invitare Ratzinger ad una tavola rotonda, e che invece non aveva potuto partecipare perchè impegnato con una lezione all’università, Martini mi spiegò: “perchè non me l’hai detto. Siamo molto amici. L’avrei convinto”.  Tra loro ci fu sempre un confronto, un superamento delle rispettive idee per arrivare a camminare insieme.
Tre le “confidenze” di Martini sulle quali don Gianfranco si è poi soffermato. “Vi parlerò di queste, ma potrei continuare a lungo. Il 9 luglio del 2002, due giorni prima che lasciasse l’arcidiocesi al cardinal Tettamanzi, quando ci disse: mi sta a cuore il servizio della parola, cercare e costruire rapporti umani”. Tra le icone che furono la strada della sua vita la più importante è scritta sulla sua tomba: lampada per i miei passi è la Tua parola, luce sul mio cammino. La centralità della parola e la capacità di stare in mezzo alla gente, ce lo fanno ricordare come un Padre della Chiesa, ma per diventarlo, l’intelligenza deve essere unità alla santità, due caratteristiche che tenere insieme non è certo facile. La sua era un’intelligenza critica, mal sopportata, anzi aggredita, perchè chi pone problemi fa arrabbiare”

Don Bottoni ha ricordato gli anni, dal 1986 al 1993, che videro Martini presidente dei vescovi europei, un periodo durante il quale, in dialogo col metropolita Alexis, costruì un grande incontro in Brasile per discutere di “pace nella giustizia”. Prima di lasciare l’Italia per Gerusalemme mi disse che stava scrivendo una “mappa dell’intercessione”. Devo pensarci e scriverla, non voglio dimenticare nessuno. Vado a Gerusalemme perchè so che, se non ci sarà pace in quella città, non ci sarà nel mondo. Come scrisse in “Verso Gerusalemme”, intercessione è rischiare, andare in mezzo agli antagonisti, con una mano sulle spalle dell’uno e dell’altro”.
Era già ammalato quando mi disse “Ci sono cose che devo poter dire, perchè possa risultare che un cardinale di Milano abbia parlato di questo”. Ho l’impressione che abbiamo detto molto meno di quanto avesse in animo”. 
“Ha ragione padre Riccardo – ha detto invece Giovanni Bianchi aprendo il suo intervento – durante i funerali di Woytila incontrai Martini a Roma. Sbottai: Eminenza, ma quanto scrive. Mi rispose sorridendo: non si preoccupi, nemmeno io riesco a leggere tutto quello che scrivo. Si stava bene con lui. Ai funerali di Roma, dietro a me c’era Pizzinato (leader storico della Cgil ndr) che lo salutò. E mi spiegò: lo chiamo a benedire le nuove sedi. Accanto a Martini c’erano due oppositori del regime siriano di Assad. Era il suo modo di essere; parlava a tutti, vicini e lontani. Il suo era un messaggio senza confini, che arrivava e veniva compreso anche da quelli che non erano preparati. Era un uomo scomodo, per la Chiesa, ma anche per i laici. La parola che più di ogni altra ritornava  nei discorsi di Martini era discernimento. Martini parlava a partire dalla coscienza, e lo faceva dal cuore della Chiesa, ma come chi ha il coraggio di porsi domande, anche quelle per le quali sa di non avere risposte. C’è differenza tra il Cortile dei Gentili e la Cattedra dei Non Credenti. I Gentili stanno in cortile, con Martini i non credenti sono in cattedra. Il cardinale sa, sapeva, che non ci sono risposte per tutto, che c’è una laicità del grigio. La parola evangelica però, rende possibile l’impossibile. Anche la politica, quando è buona, è chiamata a risolvere la situazioni impossibili”.
Molte le domande dal pubblico. Ne accenniamo una”Nell’ultima intervista Martini diceva che la Chiesa è indietro di duecento anni? Risposte :I vescovi non parlano perchè vogliono fare carriera. Il futuro è nel discepolato, nel cristiano adulto, che sta nella chiesa, senza contestare, ma continuando a parlare di quanto crede giusto. Nè chierichetti nè contestatori, ma cristiani che, senza rompere, sappiano portare avanti la propria testimonianza”.
“Non intervengo mai – ha concluso Pierangelo Marucco, presidente de “La Semina” – ma oggi devo farlo. Perchè, dopo sette anni, stasera mi sento che, grazie a molti, la nostra associazione ha finalmente trovato la sua intimità col territorio”.
Sergio Perego

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