Lecco, processo ''Cappio'': assolto il ristoratore accusato di usura. In casa teneva gioielli, quadri e 70mila euro in contanti

Il capitano Antonio Gallo, il dottor Fabio Mondora,
il colonnello Antonio Granata, il questore
Matteo Turillo e la dottoressa Angela Spada
E' stato assolto da ogni accusa Ulisse S., noto ristoratore di origine napoletana coinvolto a suo tempo nella gigantesca "operazione Cappio" che, partita nell'ottobre 2004, dopo oltre due anni di indagini, aveva portato a sgominare un vasto giro di usura ed estorsione, con 26 indagati a vario titolo e ingenti sequestri.  La posizione dell'imputato, presentatosi oggi per l'ultima udienza dinnanzi al tribunale collegiale di Lecco presieduto dal dottor Ambrogio Ceron, era stata stralciata nel febbraio 2011 con rinvio degli atti al Gup poiché secondo il suo legale, l'avvocato Achille Petriello del foro di Milano, sussisteva la nullità del decreto di citazione a giudizio. Ulisse S., come ricordato dagli operanti della Questura sentiti come testi nel corso della mattinata, era entrato all'interno del fascicolo "Cappio" a seguito delle dichiarazioni di Mariangela F., sorella di Daniele, una delle vittime del giro di usura evidenziato dall'operazione e incardinato attorno alla figura di Damazio G. e di suo fratello, titolari di un distributore di benzina. La signora Mariangela F., riferendo infatti di quando a conoscenza circa la "spirale" in cui era finito il compianto Daniele, aveva raccontato agli inquirenti di quando il fratello, già gravemente malato, le chiese di accompagnarlo alla pizzeria "San Gennaro" di Galbiate dove Ulisse lavorava per recuperare una catenina e il libretto di un'auto lasciati come pegno di un prestito ricevuto. La stessa Mariangela, consegnò poi agli uomini della Questura, una cambiale di 500€ in favore di Rachele M., moglie di Ulisse, pagata da suo fratello. Nell'ambito dell'indagine, inoltre, come dichiarato dall'ispettore Pasquale, il nome dell'imputato era emerso anche in una intercettazione telefonica nella quale Roberto R. incaricava Michele M. (imputati in un altro procedimento ancora pendente) di andare da Ulisse S. per farsi consegnare del denaro a titolo di prestito. Oltre a ciò, anche il collaboratore di giustizia Giuseppe D.B., nelle sue rivelazioni sembrerebbe far riferimento in alcuni passaggi a Ulisse S. quale elemento utile per lo scambio oro-denaro. Durante la perquisizione compiuta nel 2006 a casa dell'imputato, polizia e guardia di finanza trovarono poi l'equivalente di 70.000€ in contanti nonché un numero impressionante di gioielli e monili tra i quali 60 anelli, 20 collane, 16 paia di orecchini, 2 spille... Appesi in casa vennero infine rinvenuti anche 23 dipinti, sottoposti anch'essi a sequestro. E proprio sulla provenienza di tutto ciò si è "giocata" l'udienza di quest'oggi con una lunga sfilata di testi chiamati dall'avvocato Petriello per dimostrare come il suo assistito fosse innocente nei confronti dell'accusa di usura (art. 644 cp) alla base del procedimento. Sono così saliti sul banco dei testimoni il suocero, un'amica, la moglie, il fratello, il figlio e il cognato di Ulisse S. Tutti, a loro modo, hanno riferito dell'attività di antiquario condotta ad Amalfi da Francesco M., suocero dell'imputato che avrebbe così regalato da Ulisse e ai suoi famigliari gran parte dei gioielli e delle tele trovate nella sua abitazione. Solo una parte residuale dei monili nella disponibilità dell'accusato, sarebbe stata acquistata da quest'ultimo da tale Claudio M., giostraio, rinviato a sua volta a giudizio per ricettazione, con procedimento ancora pendente, a seguito sempre dell'operazione "Cappio". L'uomo, presente in aula, si è avvalso della facoltà di non rispondere, demandando così a Ulisse S. la spiegazione circa l'acquisto delle collanine e degli anelli in questione. "Ho acquistato gioielli da lui una volta sola" ha quindi spiegato il ristoratore. "Si trattava di oro usato" che "ho pagato in contanti". Circa l'episodio riportato nelle trascrizioni delle intercettazioni predisposte dall'allora pm Masini, l'imputato ha riferito di non aver avuto altro rapporto con Michele M. se non quello che comunemente si istaura tra un ristoratore e un suo cliente. "Mi ha chiesto se gli potevo cambiare un assegno da 5.000€" ha spiegato. "Gli diedi la
Parte degli oggetti sequestrati nel corso dell'indagine
metà della cifra in contanti la prima volta e il resto la seconda, trattenendo quanto lui aveva speso per mangiare nel mio ristorante"
.  Il titolo di credito ricevuto, è però risultato rubato: "sono andato a cercare Michele M., l'ho trovato a Valmadrera nell'azienda in cui lavorava. Gli ho chiesto cosa avesse combinato e lui mi fece un altro assegno personale da 5.200€ comprensivo di spese per il protesto. Non ho mai prestato altri soldi a Michele e neppure Roberto R. si è mai rivolto a me per avere dei soldi". Infine, ecco la spiegazione resa per motivare i 70.000€ in contanti (tra cui 191 banconote da 50€) rinvenute durante la perquisizione nella sua abitazione a Valmadrera: secondo quanto riferito dall'imputato tale somma di denaro sarebbe una parte del versamento effettuato a suo favore dell'ex compagna di suo figlio Andrea che, con lui, aveva avviato, nel 2005 un nuovo ristorante, "Il Galeone". Suffragando quanto già raccontato da ragazzo, all'epoca dei fatti 22enne, Ulisse S. ha spiegato come Andrea non riuscì a ottenere un mutuo dalla banca per poter aprire una sua attività. Come garanti del prestito, i suoi genitori ipotecarono la propria abitazione, permettendo così l'accensione di un mutuo (tutt'ora pendente e congelato) di 250.000€. Il "Galeone" venne intesto al 50% ad Andrea e il restante 50%, in parti uguali a sua madre e a suo padre. Ciò scatenò però le ire di Valentina O., allora fidanzata con Andrea, chiamata anch'ella a lavorare in quello che avrebbe voluto sentire come il "suo" ristorante. Per evitare dissidi tra i ragazzi, Ulisse e la moglie, decisero di cedere le loro quote alla ragazza, a fronte però del pagamento dei lavori già compiuti per la sistemazione della veranda esterna del locale, fatturati per circa 110.000€. "Per una sorta di ripicca glieli chiesi in contanti" ha affermato l'imputato sostenendo quindi che quei 70.000€ trovati dai militari nella sua abitazione, fossero frutto di questo "affare" interno alla famiglia. Non ritenendo di dover sentire altri testi e revocando dunque l'ammissione di quelli già in programma e respingendo poi ulteriori atti di natura istruttoria, il dottor Ceron ha così chiuso la fase dibattimentale aprendo poi nel pomeriggio la fase conclusiva. L'esposizione del Pm Rosa Valotta e l'arringa del legale di difesa hanno così chiuso un procedimento a rischio prescrizione. D'assoluzione la sentenza pronunziata dal collegio giudicante.



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A. M.
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