Pescate: mura del XIII secolo e la storia di S.Agata riemerse grazie al Parco del Barro
La chiesa di S.Agata oggi
Informazioni preziose sulle diverse fasi di ricostruzione storica della chiesa di S. Agata e sui cittadini di Pescate che lì furono sepolti dopo la morte e causa della peste, e la scoperta di una torre con cinta muraria che finora giacevano sepolte nel terreno del Monte Castelletto. Queste le scoperte, recenti e in gran parte inaspettate, che grazie alla ristrutturazione della chiesina e ad una “ricognizione” sul vicino promontorio sono emerse sul territorio di Pescate. Che il Parco Monte Barro fosse un sito naturale di grande interesse archeologico lo si sapeva, e la dimostrazione è nel Museo Archeologico nato a seguito degli scavi tra il 1986 e il 1997 che hanno riportato alla luce resti di un insediamento risalente al periodo Goto (V-VI sec. d.C.), il sito dei Piani di Barra. A quanto pare però sono ancora molti i tesori che questo promontorio, delimitato dall'estremità orientale del Lago di Como, dal lago di Annone, dal lago di Garlate e dalla sella di Galbiate, nasconde e che attendono soltanto di essere scoperti.
Federico Bonifacio e Lanfredo Castelletti
La sala civica di Pescate ha ospitato nella serata di venerdì 23 marzo i protagonisti di un lavoro di scavo e ricostruzione storica che ha aperto nuovi capitoli sulle vicende che hanno interessato l’area pescatese del monte nel corso dei secoli. “L’interesse per l’archeologia è vivo nel nostro Parco perché con questi scavi si ricostruisce la storia delle nostre radici” ha spiegato il presidente dell’ente Federico Bonifacio, che ha seguito personalmente e aiutato con la sua esperienza storica gli archeologi al lavoro su S. Agata e il monte Castelletto. “L’intera zona della chiesa, recentemente restaurata, sarà ulteriormente resa fruibile dal pubblico grazie ad un progetto finanziato dalla Fondazione Cariplo, che consentirà di arricchirla con pannelli informativi e di valorizzare altre aree come il Ponte Azzone Visconti. Nella chiesa già nel 2004 erano state commissionate indagini georadar per indagare il sottosuolo, ma è di pari passo al cantiere che ha permesso di rifare la pavimentazione che sono emersi nuovi, preziosi elementi per la sua datazione”.
Marco Tremari e Simona Morandi
Martina Saccomani e Franz Livio
In concomitanza con la ristrutturazione della chiesa e grazie alla disponibilità del proprietario, sono stati effettuati 3 “saggi” (scavi di piccola estensione) per indagare se sotto un pendio erboso coltivato del Monte Castelletto, che già aveva attirato l’attenzione del presidente del Parco, vi fosse qualcosa. “Questa zona costituisce un punto strategico, domina la strettoia di uscita dell’Adda dal lago” ha spiegato Marco Tremari della Sap – Società archeologica Srl che ha effettuato gli scavi, svolti nell’ambito di SITINET (Siti Geo-Archeologici dell’ Insubria), progetto italo-svizzero. “Appena sotto il livello del terreno abbiamo rinvenuto i resti di una torre dalle mura spesse circa 1 metro, e di una cinta muraria più sottile che segue il pendio del declivio naturale. È probabile che ci fosse un’altra cinta, realizzata a secco, ma sulla presenza di altri edifici all’interno delle mura e dell’eventuale collegamento con S. Agata e il sito dei Piani di Barra molto ancora sarebbe da indagare”. La datazione dei reperti rinvenuti, come ha spiegato il direttore del museo archeologico del Barro Lanfredo Castelletti, è stata effettuata utilizzando il Carbonio 14. “Con questo sistema, solitamente applicato ai resti di esseri viventi, abbiamo analizzato un frammento di legno carbonizzato rinvenuto all’interno della malta utilizzata per le mura. In base alle indagini svolte i resti sul monte risalgono al 1250-1290 d.C.”. Tante e più precise le informazioni emerse in poco più di un mese di scavo all’ interno della chiesa di S. Agata, dove gli archeologi hanno lavorato a stretto contatto con gli operai intenti alla ristrutturazione e con il “supporto” del signor Bonifacio. “È anche grazie alla loro preziosa collaborazione se questi risultati sono stati ottenuti” ha sottolineato Simona Morandi della Sla (Società lombarda di archeologia), che ha poi spiegato come ancora prima della struttura eretta nel luogo in epoca alto-medievale vi fossero tracce di una frequentazione del luogo.
Una fase degli scavi in chiesa e la sommità del Monte Castelletto
Questo avvalorerebbe la tesi che una prima cappella dedicata alla santa fosse stata costruita dai Goti, dei quali è nota la devozione verso di essa. Una prima ricostruzione si ebbe bel 1200, invertendo completamente l’asse di orientamento della chiesa; seguì un intervento nel 1600 con l’aggiunta dell’abside e di altre aree, cui seguì un ulteriore ampliamento nel 1830, ben documentato. Durante gli scavi sono emerse anche le testimonianze dei cimiteri presenti nell’area. Martina Saccomani, che ha svolto servizio civile al Parco laureandosi con una tesi a “tema”, ha parlato di questo aspetto durante la serata pescatese. “Il primo uomo a morire di peste a Pescate è stato Francesco Riva, all’età di 29 anni, nel 1629. Il passaggio dei Lanzichenecchi nell’area lecchese lasciò dietro di sé la terribile piaga della malattia. Fino a quegli anni il cimitero situato vicino alla chiesa era destinato ad accogliere solo bambini, ma l’emergenza della peste fece sì che tutti i pescatesi fossero sepolti lì. Sotto la sacrestia abbiamo ritrovato resti di bambini, mai spostati, mentre gli scheletri adulti sono stati gettati in fosse comuni durante le varie ricostruzioni e questo ha reso molto difficoltoso risalire a dati specifici su età, peso e sesso”.
Franz Livio dell’Università dell’Insubria ha concluso la serata con una nota geologica sulla provenienza delle rocce rinvenute nelle antiche mura, resti di materiali morenici trascinati da antichi ghiacciai all’epoca delle grandi glaciazioni. Il sindaco Dnte De Capitani ha espresso grande soddisfazione per la ricerca storica che fornisce preziose informazioni sul territorio.