Apicoltura: al via la stagione del miele. Gli animali di Vincenzo  Ravasi di Merate migreranno rincorrendo ben cinque fioriture

Il signor Enzo in tenuta da lavoro con le sue api

Quando si pensa al "nomadismo" nel campo dell'allevamento vengono subito in mente le mucche e le pecore spostate dalla valle ai prati verdi dell'alpeggio durante la stagione estiva. Alla cosiddetta transumanza, insomma. Eppure, anche le api sono per così dire "nomadi". Come si evince infatti dai dati a disposizione del Dipartimento di prevenzione Veterinario dell'Asl di Lecco, dei 498 apiari (gruppi di alveari) registrati sul territorio provinciale, ben 102 vengono spostati dagli operatori del settore per ricavare il massimo dalle proprie api, permettendo loro di entrare in azione nel corso di più fioriture e quindi ottenendo così più tipi di miele nell'arco di tempo che intercorre tra lo svernamento al ritorno della stagione fredda. Gli animali del signor Vincenzo Ravasi, titolare dell'anonima Apicoltura di via Statale 165 a Cicognola di Merate,  per esempio, da aprile a fine luglio percorreranno ben cinque tappe, lavorando, lavorando e poi ancora lavorando. I suoi 100 alveari sono infatti in partenza verso la loro prima destinazione stagionale: "la prima grossa fioritura sarà quella del tarassaco" - ci spiega l'apicoltore - "è molto diffuso in pianura padana. Qui vicino lo troviamo a Rivolta d'Adda, Crema e Caravaggio. La smielatura avverrà intorno al 15-20 aprile: si avrà così un miele "burroso", cristallizzato, in cui quindi prevale il glucosio".


Nel contempo, con lo sbocciare della primavera, si andranno a ingrossare anche le famiglie delle api. A momento, infatti, ogni gruppo è composto da circa 15.000 esemplari. Calcolando che la regina arriverà a produrre anche 5.000 nuove uova al giorno, a maggio ogni famiglia potrà essere composta dalle 50 alle 70.000 api. "Quelle che nascono a settembre vivono in genere fino a marzo: in inverno formano un agglomerato e stanno al suo interno, uscendo raramente. Le altre, invece, durano al massimo 20giorni, un mese perché si massacrano letteralmente di lavoro" prosegue Ravasi, proponendo anche un esempio che rende subito l'idea dell'incredibile attività condotta dai minuscoli insetti: "Un alveare, in 12 giorni di fioritura, produce mediamente 50 chili di miele d'acacia. Calcolando che il 70% del nettare è acqua che va persa nel processo, è facile calcolare quanto ne hanno portato per arrivare a produrre 50 chili di miele!".

Nel tondo un vistoso pezzo di polline rosso trasportato dall’ape

Tornando alla "transumanza" degli esemplari dell'appassionato professionista meratese, dopo essere state in "trasferta" nelle zone ricche di tarassaco, fanno rientro "a casa", in tempo per la fioritura dell'acacia, nel mese di maggio. Il mese di giugno, poi, lo trascorreranno ferme nella splendida Valle del Curone per la stagione del castagno per proseguire verso la montagna: la Valsassina o la Val Brembana sarà dunque la loro quarta meta andando così a produrre miele di tiglio selvatico oppure ancora di castagno oppure un millefiori. Il 25 luglio segnerà, infine, la data del loro quinto "trasloco": raggiungeranno il Parco del Ticino dove rimarranno fino a fine settembre per la produzione del miele di melata, prodotto molto ricco di Sali minerali e ferro, oppure di erba medica o di trifoglio. Finita l'estate, saranno nuovamente a Merate per il meritato riposo invernale.

Nel tondo l’ape regina: il suo addome decisamente più allungato rispetto alle operai permette di riconoscerla nel gruppo

"Per una buona produzione serve indubbiamente una buona quantità di fiori" fa notare Ravasi: "un ettaro di acacie può dare anche 900kg di miele. Un ettaro di castagni ne dà solo 50kg. La produzione poi è molto legata al tempo: in giornate piovose o ventose le api non escono nemmeno. Chi non le sposta ma fa solo le due fioriture qui da noi, rischia dunque, se non è una buona annata, di perdere tutto. Muoverle, però, è senza dubbio una spesa tra il camion, la benzina (e di questi tempi costa!) e l'affitto. Di solito le affidiamo a dei contadini del posto che in cambio ci chiedono una parte del miele".

Un telaino opercolato: per arrivare al miele bisogna eliminare lo strato di cera che tappa i favi

A sorpresa, poi, Enzo Ravasi ci svela anche che i suoi animali non sono però tra quelli che percorrono più strada: c'è, infatti, anche chi porta i propri alveari in Toscana e chi, addirittura, "parte ora dalla Calabria e risale fin qui da noi". Un "nomadismo", dunque, davvero a vasto raggio, alla ricerca di fioriture che rendano il miele davvero unico e ricercato. "In Italia se ne producono 33 tipi" ci spiega. "Qui da noi va per la maggiore quello non cristallizzato: la gente è abituata a consumare il prodotto liquido".

I sei diversi tipi di miele prodotti dalle api del signor Ravasi durante una stagione di lavoro

I passaggi per estrarre dai melari il frutto del lavoro delle api e arrivare così ad ottenere il prodotto finito sono relativamente pochi. Tolti dalla loro posizione sopra l'arnia, i "cassettini" contenenti il miele vengono accatastati in laboratorio. I favi dei melari sono generalmente opercolati, ovvero con le cellette chiuse con un tappo di cera. Occorre togliere questo "tappo" per permettere al miele di fuoriuscire. Questa operazione viene effettuata manualmente con un apposito coltello. Una volta disopercolate le celle, i "telaini" vengono posti nello smelatore che, grazie alla forza centrifuga, fa fuoriuscire il miele che viene così posto nei matura tori dove poi sarà decantato e purificato dallo strato di cera che, lentamente, in circa un mese, raggiungerà la parte superiore del contenitore. Il miele è così pronto per essere invasettato. Non resta che assaggiarlo!
Alice Mandelli
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