Edicole, banche, ordinanze: il cambiamento non si ferma ma la forma la possiamo decidere

Leggo la lettera di chi lamenta la chiusura delle banche, leggo la lettera di chi lamenta la chiusura dell'edicola in centro, leggo la lettera di chi critica l'ordinanza del sindaco dove vengono vietati i botti. Le tre riflessioni toccano ambiti diversi – sicurezza, commercio di prossimità, servizi bancari – ma raccontano in realtà la stessa trasformazione profonda. Una trasformazione che spesso attribuiamo a “qualcuno”: il Comune che emette ordinanze difficili da far rispettare, il Sindaco che promette rilanci, le banche che chiudono filiali inseguendo utili record. Tutto vero. Ma non tutto. La società sta cambiando, e non è un soggetto astratto che agisce dall’alto: la società siamo noi. Siamo noi quando rispettiamo (o ignoriamo) un’ordinanza, rendendola efficace o ridicola. Siamo noi quando scegliamo dove comprare un giornale, un regalo, un servizio: sotto casa o a chilometri di distanza, online o in un centro commerciale. Siamo noi quando accettiamo che la banca “storica” diventi un’app sul telefono, perché è più comoda, più veloce, meno impegnativa del rapporto umano. Il centro che si svuota non è solo il risultato di scelte politiche o economiche: è anche il riflesso di abitudini che cambiano. Le edicole chiudono perché non vendono abbastanza, le botteghe abbassano le serrande perché entrano meno persone, le filiali spariscono perché ormai quasi nessuno le frequenta. Le grandi aziende seguono i numeri, non la memoria; la vicinanza non rientra nei bilanci. Questo non significa rassegnarsi. Significa però riconoscere la nostra parte di responsabilità. Se vogliamo città più vive, più sicure, più umane, dobbiamo abitare davvero i luoghi: rispettare le regole anche quando nessuno ci controlla, sostenere le attività locali anche quando costa un po’ di più, pretendere servizi moderni senza rinunciare alle relazioni. La nostalgia per “com’era una volta” è comprensibile, ma non basta. Il cambiamento non si ferma. Possiamo però decidere che forma dargli, ricordandoci che la società non è il Comune, non sono le banche, non sono le multinazionali: la società siamo noi, ogni giorno, con le nostre scelte piccole e grandi. E da lì, forse, vale la pena ripartire.
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