Arlate: Egidia Beretta ospite al Festival della Cultura con il suo racconto sul figlio Vik
Si è chiusa con un momento intenso e profondamente partecipato la seconda edizione del Festival della Cultura promosso dal Comune di Calco in collaborazione con diverse associazioni del territorio. Quella di quest’anno è stata un’edizione che, già nelle scorse settimane, ha portato nel paese riflessioni, incontri, arte e testimonianze, e che ha visto nel finale la presenza di Egidia Beretta, ex sindaco di Bulciago e madre di Vittorio “Vik” Arrigoni, attivista per i diritti umani ucciso a Gaza nel 2011.

A dare il benvenuto all’ospite e al numeroso pubblico presente è stato il sindaco Stefano Motta, che ha sottolineato come la testimonianza di Vittorio abbia continuato a vivere grazie al coraggio e alla dedizione di sua madre. Egidia, con il tono pacato e fermo, ha iniziato il suo racconto proprio da quell’espressione – “Restiamo umani” – che oggi è conosciuta in tutto il mondo e che ha sintetizzato il pensiero e l’azione di suo figlio.

Per comprendere come Vittorio sia arrivato a pronunciare e a scrivere quelle parole, Egidia è tornata all’infanzia di suo figlio, raccontando un episodio emblematico. La maestra aveva chiesto ai bambini di scrivere di Martin Luther King e Vittorio, che allora aveva appena dieci anni, aveva riflettuto sul pensiero del leader afroamericano annotando che King considerava i razzisti americani come “fratelli bianchi ammalati” e il razzismo come malattia dello spirito. Vik aveva aggiunto: “King sapeva che prima o poi qualcuno l’avrebbe ucciso”.

Un altro episodio scolastico ha mostrato la precoce sensibilità di Vik. Alla domanda della maestra su cosa potessero fare i bambini per la pace, il piccolo Vittorio aveva risposto che era necessario guardarsi intorno. “Vedere se tutti hanno il necessario, la libertà di vivere come me. Guardare intorno a me”.

Dalle parole di Egidia è emerso il ritratto di un ragazzo sensibile, riservato, spesso silenzioso. Durante le vacanze, ancora giovanissimo, ha iniziato a partecipare a campi di lavoro internazionali. Andava nei villaggi poveri dell’Europa dell’Est – Repubblica Ceca, Romania, Russia, Ucraina –, in luoghi dimenticati e sfruttati, dove però è sbocciata per lui la bellezza dell’incontro con coetanei di ogni paese.

Poi è stata la volta dell’Africa, con il Togo come prima esperienza fuori dall’Europa. Tra il pubblico era presente anche Gabriele, amico e compagno di Vik in quel viaggio. Qui Vittorio ha compreso che la miseria non poteva essere solo osservata: “Non si può visitare l’Africa senza sporcarsi le mani della sua mortifera miseria”, aveva scritto a un’amica. “Bisogna lasciare una traccia nei cuori”. Le esperienze in Africa si sono susseguite, intense e sconvolgenti. Tornava spesso turbato, incapace per alcuni giorni di rientrare nella vita normale. “Doveva rientrare in sé stesso – ha raccontato Egidia – perché ciò che vedeva non gli era indifferente”.

Dopo il diploma in ragioneria al Bachelet di Oggiono, è partito con l’Operazione Mato Grosso in Perù per aiutare i villaggi più poveri come carpentiere, falegname, manovale. “Lascio finalmente questi recinti spinati”, aveva scritto. “Voglio essere chiamato a qualcosa di più della vita tranquilla dei miei coetanei”.
Il 2002 è stato l’anno della svolta. Vittorio aveva 27 anni quando è partito per un campo lavoro a Gerusalemme Est, dove doveva contribuire alla costruzione di un campo da calcio per bambini. È stato il suo primo contatto con la Palestina e ha subito compreso che qualcosa, in quel luogo, non tornava. Nelle strade vedeva soldati armati e famiglie impaurite. In Cisgiordania i bombardamenti erano realtà, ma in Occidente non se ne parlava quasi. Vittorio ha deciso allora di prolungare la permanenza e andare a vedere con i suoi occhi. Ciò che ha scoperto era peggio di quanto gli era stato raccontato.

Nel 2003 è cominciata la costruzione del muro, da lui definito “muro dell’apartheid”. Oltre 800 km di cemento e filo spinato, di cui pochi – ha sottolineato Egidia – hanno conoscenza. Arrabbiato e indignato per l’ingiustizia e per il silenzio mediatico, Vittorio è tornato in Palestina da solo negli anni successivi, diventando “scudo umano”. Ha camminato accanto ai bambini all’uscita dalle scuole dove stazionavano i carri armati e ha attraversato i check-point dove vedeva la dignità calpestata. In quegli anni gli è capitato di essere picchiato, incarcerato e respinto. A sua insaputa è persino finito su una black list israeliana che dunque non gli consentiva più di raggiungere la Palestina, almeno da Israele.
Nel 2006 è partito come osservatore ONU in Congo con l’associazione padovana “Beati i costruttori di pace”. L’esperienza lo ha segnato profondamente per via delle capanne-seggio elettorali, le file infinite di persone che camminavano per ore pur di votare, la dignità di chi aveva poco ma riconosceva l’importanza della democrazia. “L’anno successivo è andato in Libano, nei campi profughi palestinesi nati nel 1948” ha proseguito Egidia. Qui si è innamorato della gente, delle storie di espulsione, del dolore del non-ritorno. Il suo tatuaggio – simbolo dell’infanzia palestinese perseguitata – ha commosso i profughi.
Quello successivo, il 2008, è stato l’anno decisivo. Vittorio si è unito alla flottiglia Free Gaza, partendo dalla Grecia. Ha attraversato il Mediterraneo sotto minaccia del servizio segreto israeliano. Il 23 agosto 2008 è arrivato a Gaza e ha telefonato alla madre: “Stiamo avvistando il porto”.
Quello è stato l’inizio della sua missione, poiché a Gaza è diventato ancora scudo umano per i pescatori che non potevano superare le tre miglia, ha documentato soprusi, ha accompagnato i contadini nei campi minacciati dai colpi di fucile ed è salito sulle ambulanze bombardate. Ha subito minacce, gli hanno sparato e lo hanno colpito con un taser durante un sequestro in mare. Nel frattempo è diventato reporter per il Manifesto, perché a Gaza i giornalisti non potevano entrare e le sue cronache sono poi diventate un libro.

A gennaio 2011 aveva progettato il ritorno in Italia poiché suo padre aveva problemi di salute. Aveva programmato anche una visita in Sicilia per quel periodo, ma il destino non gli ha dato tempo. Ad aprile Vittorio è stato rapito da un gruppo di jihadisti e poco dopo è morto. Quando la Farnesina ha proposto il rimpatrio aereo, il padre di Vik ha risposto con una frase che Egidia ha voluto ripetere con forza: “Israele non l’ha voluto da vivo, non lo avrà da morto”. Vik è tornato dall’Egitto, attraverso una lunga trafila burocratica. I funerali sono diventati un abbraccio collettivo, un’esplosione di affetto e di indignazione.
Egidia ha concluso ricordando che per Vittorio la Palestina non era solo un luogo geografico, ma il simbolo di tutte le ingiustizie del mondo. E che il compito di mantenere vivo quel messaggio è anche dell’associazione che porta avanti progetti di istruzione, sanità e sostegno alle popolazioni più fragili, nel solco tracciato da Vik.

La serata si è chiusa tra emozione e silenzio. Non un silenzio vuoto, ma quello di chi ha ascoltato parole che hanno scavato e lasciato un segno. Il Festival della Cultura di Calco è terminato così, con una testimonianza che è andata oltre il racconto biografico. Un invito alla responsabilità, all’ascolto, alla dignità della vita umana.
Un invito, semplice e radicale, che Vittorio ha sempre ripetuto: “restiamo umani”.

A dare il benvenuto all’ospite e al numeroso pubblico presente è stato il sindaco Stefano Motta, che ha sottolineato come la testimonianza di Vittorio abbia continuato a vivere grazie al coraggio e alla dedizione di sua madre. Egidia, con il tono pacato e fermo, ha iniziato il suo racconto proprio da quell’espressione – “Restiamo umani” – che oggi è conosciuta in tutto il mondo e che ha sintetizzato il pensiero e l’azione di suo figlio.

Per comprendere come Vittorio sia arrivato a pronunciare e a scrivere quelle parole, Egidia è tornata all’infanzia di suo figlio, raccontando un episodio emblematico. La maestra aveva chiesto ai bambini di scrivere di Martin Luther King e Vittorio, che allora aveva appena dieci anni, aveva riflettuto sul pensiero del leader afroamericano annotando che King considerava i razzisti americani come “fratelli bianchi ammalati” e il razzismo come malattia dello spirito. Vik aveva aggiunto: “King sapeva che prima o poi qualcuno l’avrebbe ucciso”.

Egidia Beretta e Stefano Motta
Un altro episodio scolastico ha mostrato la precoce sensibilità di Vik. Alla domanda della maestra su cosa potessero fare i bambini per la pace, il piccolo Vittorio aveva risposto che era necessario guardarsi intorno. “Vedere se tutti hanno il necessario, la libertà di vivere come me. Guardare intorno a me”.

Dalle parole di Egidia è emerso il ritratto di un ragazzo sensibile, riservato, spesso silenzioso. Durante le vacanze, ancora giovanissimo, ha iniziato a partecipare a campi di lavoro internazionali. Andava nei villaggi poveri dell’Europa dell’Est – Repubblica Ceca, Romania, Russia, Ucraina –, in luoghi dimenticati e sfruttati, dove però è sbocciata per lui la bellezza dell’incontro con coetanei di ogni paese.

Poi è stata la volta dell’Africa, con il Togo come prima esperienza fuori dall’Europa. Tra il pubblico era presente anche Gabriele, amico e compagno di Vik in quel viaggio. Qui Vittorio ha compreso che la miseria non poteva essere solo osservata: “Non si può visitare l’Africa senza sporcarsi le mani della sua mortifera miseria”, aveva scritto a un’amica. “Bisogna lasciare una traccia nei cuori”. Le esperienze in Africa si sono susseguite, intense e sconvolgenti. Tornava spesso turbato, incapace per alcuni giorni di rientrare nella vita normale. “Doveva rientrare in sé stesso – ha raccontato Egidia – perché ciò che vedeva non gli era indifferente”.

Dopo il diploma in ragioneria al Bachelet di Oggiono, è partito con l’Operazione Mato Grosso in Perù per aiutare i villaggi più poveri come carpentiere, falegname, manovale. “Lascio finalmente questi recinti spinati”, aveva scritto. “Voglio essere chiamato a qualcosa di più della vita tranquilla dei miei coetanei”.
Il 2002 è stato l’anno della svolta. Vittorio aveva 27 anni quando è partito per un campo lavoro a Gerusalemme Est, dove doveva contribuire alla costruzione di un campo da calcio per bambini. È stato il suo primo contatto con la Palestina e ha subito compreso che qualcosa, in quel luogo, non tornava. Nelle strade vedeva soldati armati e famiglie impaurite. In Cisgiordania i bombardamenti erano realtà, ma in Occidente non se ne parlava quasi. Vittorio ha deciso allora di prolungare la permanenza e andare a vedere con i suoi occhi. Ciò che ha scoperto era peggio di quanto gli era stato raccontato.

Nel 2003 è cominciata la costruzione del muro, da lui definito “muro dell’apartheid”. Oltre 800 km di cemento e filo spinato, di cui pochi – ha sottolineato Egidia – hanno conoscenza. Arrabbiato e indignato per l’ingiustizia e per il silenzio mediatico, Vittorio è tornato in Palestina da solo negli anni successivi, diventando “scudo umano”. Ha camminato accanto ai bambini all’uscita dalle scuole dove stazionavano i carri armati e ha attraversato i check-point dove vedeva la dignità calpestata. In quegli anni gli è capitato di essere picchiato, incarcerato e respinto. A sua insaputa è persino finito su una black list israeliana che dunque non gli consentiva più di raggiungere la Palestina, almeno da Israele.
Nel 2006 è partito come osservatore ONU in Congo con l’associazione padovana “Beati i costruttori di pace”. L’esperienza lo ha segnato profondamente per via delle capanne-seggio elettorali, le file infinite di persone che camminavano per ore pur di votare, la dignità di chi aveva poco ma riconosceva l’importanza della democrazia. “L’anno successivo è andato in Libano, nei campi profughi palestinesi nati nel 1948” ha proseguito Egidia. Qui si è innamorato della gente, delle storie di espulsione, del dolore del non-ritorno. Il suo tatuaggio – simbolo dell’infanzia palestinese perseguitata – ha commosso i profughi.
Quello successivo, il 2008, è stato l’anno decisivo. Vittorio si è unito alla flottiglia Free Gaza, partendo dalla Grecia. Ha attraversato il Mediterraneo sotto minaccia del servizio segreto israeliano. Il 23 agosto 2008 è arrivato a Gaza e ha telefonato alla madre: “Stiamo avvistando il porto”.
Quello è stato l’inizio della sua missione, poiché a Gaza è diventato ancora scudo umano per i pescatori che non potevano superare le tre miglia, ha documentato soprusi, ha accompagnato i contadini nei campi minacciati dai colpi di fucile ed è salito sulle ambulanze bombardate. Ha subito minacce, gli hanno sparato e lo hanno colpito con un taser durante un sequestro in mare. Nel frattempo è diventato reporter per il Manifesto, perché a Gaza i giornalisti non potevano entrare e le sue cronache sono poi diventate un libro.

A gennaio 2011 aveva progettato il ritorno in Italia poiché suo padre aveva problemi di salute. Aveva programmato anche una visita in Sicilia per quel periodo, ma il destino non gli ha dato tempo. Ad aprile Vittorio è stato rapito da un gruppo di jihadisti e poco dopo è morto. Quando la Farnesina ha proposto il rimpatrio aereo, il padre di Vik ha risposto con una frase che Egidia ha voluto ripetere con forza: “Israele non l’ha voluto da vivo, non lo avrà da morto”. Vik è tornato dall’Egitto, attraverso una lunga trafila burocratica. I funerali sono diventati un abbraccio collettivo, un’esplosione di affetto e di indignazione.
Egidia ha concluso ricordando che per Vittorio la Palestina non era solo un luogo geografico, ma il simbolo di tutte le ingiustizie del mondo. E che il compito di mantenere vivo quel messaggio è anche dell’associazione che porta avanti progetti di istruzione, sanità e sostegno alle popolazioni più fragili, nel solco tracciato da Vik.

La serata si è chiusa tra emozione e silenzio. Non un silenzio vuoto, ma quello di chi ha ascoltato parole che hanno scavato e lasciato un segno. Il Festival della Cultura di Calco è terminato così, con una testimonianza che è andata oltre il racconto biografico. Un invito alla responsabilità, all’ascolto, alla dignità della vita umana.
Un invito, semplice e radicale, che Vittorio ha sempre ripetuto: “restiamo umani”.
E.Ma.























