Tra Nord e Sud…pagano sempre gli stessi…noi
Cortese direttore, c’è un dato che dovrebbe far riflettere l’intero Paese, ma che al Nord suona come un campanello d’allarme sempre più insistente: nel Mezzogiorno ci sono ormai più pensionati che lavoratori attivi. Lo certifica la CGIA di Mestre, che in un recente rapporto ha evidenziato come in molte regioni del Sud, e in particolare nelle Isole, il numero di pensioni superi quello di chi lavora, sia esso dipendente o autonomo. https://www.lindipendenzanuova.com/ceto-medio-sempre-piu-povero-nel-milanese-i-dati-cisl-confermano-la-questione-settentrionale/È un equilibrio spezzato, che rischia di mettere in crisi la tenuta complessiva del sistema di welfare e previdenza nazionale. Non si tratta solo di un problema statistico, ma di una frattura profonda che accentua lo squilibrio tra Nord e Sud. Al Centro-Nord, infatti, il saldo resta positivo: più occupati che pensionati, una base contributiva che regge, una capacità produttiva che alimenta il gettito fiscale. Ma poiché l’Italia resta un sistema unitario in cui le risorse vengono ridistribuite a livello nazionale, le conseguenze di questo divario finiranno inevitabilmente per scaricarsi proprio su chi oggi sostiene il peso maggiore del lavoro: i lavoratori del Nord. Il rischio è duplice. Da un lato, una crescente pressione sui conti pubblici, con la spesa pensionistica e assistenziale che continua ad aumentare mentre i contributi non tengono il passo. Dall’altro, un sistema che, pur in nome della solidarietà nazionale, si trasforma in un meccanismo di redistribuzione squilibrato, in cui chi lavora di più e produce di più si trova a sostenere costi che non trovano un ritorno diretto sul territorio. La conseguenza più immediata potrebbe essere un aumento del prelievo fiscale o una riduzione della qualità dei servizi, a partire da sanità e welfare. Chi vive e lavora al Nord rischia così di trovarsi schiacciato tra due dinamiche opposte: la necessità di mantenere un livello di competitività e produttività elevato per sostenere l’intero sistema Paese e, contemporaneamente, il peso crescente di un modello redistributivo che non premia l’efficienza ma la compensa. In prospettiva, se il Sud non riuscirà a colmare il divario occupazionale e infrastrutturale, il rischio è che questa forbice continui ad allargarsi, generando una frustrazione crescente tra chi contribuisce più di quanto riceva. Non si tratta, ovviamente, di negare la solidarietà tra le aree del Paese, ma di riconoscere che un sistema sostenibile deve poggiare su basi più equilibrate. Occorre far crescere davvero l’occupazione nel Mezzogiorno, attrarre investimenti, ridurre la burocrazia, potenziare le infrastrutture e creare un contesto in cui il lavoro torni ad essere la fonte primaria di reddito e dignità. Senza questo salto di qualità, l’Italia continuerà a essere un Paese dove una parte produce e l’altra consuma, dove una parte contribuisce e l’altra dipende. Il divario Nord-Sud non è solo una questione di sviluppo economico: è una questione di giustizia sociale. Se non si riequilibra, il prezzo più alto lo pagheranno proprio coloro che ogni giorno, con il loro lavoro e le loro tasse, tengono in piedi il sistema. I lavoratori del Nord rischiano di diventare il vero ammortizzatore di un Paese che non riesce a curare le proprie disuguaglianze strutturali. In un’Italia che invecchia, dove il lavoro si fa sempre più frammentato e la produttività resta stagnante, continuare a ignorare questo squilibrio significa condannare l’intero sistema a un lento logoramento. E allora, più che invocare ogni due per tre la “unità nazionale”, sarebbe tempo di pretendere una vera “giustizia sociale nazionale”. Perché senza un percorso concreto di convergenza economica e sociale, la solidarietà resta solo un principio astratto, che finisce per tradursi in un sacrificio unilaterale: quello di chi lavora e produce di più, pagando il prezzo di un sistema che non redistribuisce opportunità, ma soltanto costi. La politica si limita a inseguire il consenso per la propria auto-conservazione, ignorando il problema.
Argo























