Merate: quando il rispetto diventa un optional
C’è un filo rosso che unisce l’ennesimo scontro sulla gestione del verde pubblico e la vicenda del Piano di Diritto allo Studio mai presentato per due anni e consegnato alle minoranze solo pochi giorni prima del Consiglio. È il filo della mancanza di rispetto. Non solo verso i consiglieri di opposizione, ma verso l’intera comunità meratese. Nel dibattito sul verde, la maggioranza ha portato in aula una decisione già scritta, discussa e approvata altrove, svuotando di senso il ruolo del Consiglio comunale. Le minoranze hanno scelto di lasciare l’aula, non per protesta sterile, ma per dignità. Quando il confronto diventa pura messinscena, restare seduti non serve a nulla. La stessa logica — arrogante e autoreferenziale — si è ripetuta con il Piano di Diritto allo Studio: due anni di attesa e poi, all’improvviso, il documento consegnato a ridosso del voto, senza il tempo per analizzarlo, discuterlo, proporre. Un modo di agire che mortifica non solo le opposizioni, ma anche le scuole, le famiglie, gli insegnanti che in quel piano dovrebbero riconoscersi. Questo non è amministrare. È governare per inerzia, chiudendo ogni spazio di partecipazione e confronto. È trasformare la politica locale in un esercizio di potere, dimenticando che chi siede in Giunta rappresenta tutti i cittadini, non solo quelli che hanno votato per la maggioranza. A Merate il rispetto istituzionale sembra diventato un lusso. Eppure è la base di ogni democrazia: senza trasparenza, senza dialogo, senza la capacità di ascoltare anche le voci scomode, una città si impoverisce. E allora la vera vergogna non è la protesta di chi esce dall’aula, ma l’indifferenza di chi resta seduto, convinto che decidere da soli sia ancora una forma di forza.
La voce sotto la Torre























