Church Pocket/86 
La comunione dei santi: un legame che non muore

«Ogn’anno, il due novembre, c’è l’usanza
per i defunti andare al cimitero.
Ognuno l’adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu pensiero.»

Così comincia “’A livella” di Totò, poesia che ha fatto sorridere e riflettere generazioni intere. Il principe della risata ricordava che davanti alla morte siamo davvero tutti uguali, ricchi o poveri, nobili o pezzenti. E in fondo il messaggio resta attuale: nessuno vive per sé solo, nessuno muore da solo. Tra lumini, fiori e visite ai cimiteri, il popolo conserva a suo modo il senso di questa giornata. La Chiesa lo dice con un’altra parola, più teologica. E lo fa in un giorno particolare, che segue immediatamente la festa di Tutti i Santi. Due celebrazioni che si tengono per mano: il primo novembre la gioia di chi è già giunto alla meta, il 2 la memoria di chi ci ha “preceduto nel segno della fede e dorme il sonno della pace”. Non sono due feste opposte, ma due capitoli della stessa storia: quella della comunione dei santi, il legame invisibile che unisce la Chiesa pellegrina sulla terra o Chiesa militante, la Chiesa purgante e la Chiesa trionfante in cielo.

Che cos’è la comunione dei santi? Non è un’espressione poetica, ma un articolo di fede che professiamo nel Credo degli Apostoli: «Credo la comunione dei santi». Il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC 946-962) e il Compendio (§194-195) la spiegano in due sensi complementari.
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Da una parte è la comunione delle cose sante: la fede, i sacramenti, i doni dello Spirito e anche i beni materiali non appartengono mai solo a qualcuno, ma sono di tutti, perché la radice è la carità. Per questo ogni gesto di amore, anche il più nascosto, diventa un dono per tutta la Chiesa; e ogni peccato, al contrario, la ferisce. Dall’altra parte è la comunione delle persone sante: cioè il legame reale che unisce tutti i battezzati a Cristo. C’è chi cammina ancora sulla terra, chi dopo la morte si purifica, chi già vive nella gloria di Dio e intercede per noi. Insieme formiamo una sola famiglia: la Chiesa, nelle sue diverse dimensioni, ma sempre unita nello stesso amore.
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Questa è la Chiesa come Corpo mistico di Cristo: Lui è il capo, noi le membra (1Cor 12). Per questo le grazie e i meriti non restano mai individuali, ma circolano come in un sistema di “vasi comunicanti”: ciò che uno fa o soffre in Cristo porta frutto per tutti.

Hans Urs von Balthasar descriveva questa realtà come una rete di amore che attraversa la Chiesa visibile e invisibile: nessuno vive la fede da solo, nessuno porta soltanto il proprio peso. Preghiere, sacrifici, carismi e gioie entrano a far parte di un’unica corrente spirituale che sostiene tutti. Così i santi non sono figure isolate, ma uomini e donne che continuano a reggere la Chiesa con la loro intercessione.

Ecco perché la comunione dei santi non è un legame simbolico, ma reale: unisce i vivi e i defunti in Cristo, oltre la morte. Ogni fiore, ogni lumino acceso il 2 novembre non è solo memoria, ma gesto che dice questa comunione: piccole fiammelle che raccontano che nessuno è dimenticato, nessuno è solo. n fondo la comunione dei santi ci assicura che ciò che amiamo in Cristo non va mai perduto: vive già nella luce di Dio e ci attende. La morte non spezza i legami, li trasforma.
Rubrica a cura di Pietro Santoro
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