Olgiate, veglia missionaria: padre Gigi Maccalli racconta i suoi 752 giorni di prigionia, 22 legati ad un albero

Nella serata di mercoledì 29 ottobre, nell'edificio dedicato a Maria Madre della Chiesa di Olgiate Molgora, si è svolta la veglia dei decanati di Brivio e Merate, dal titolo “Missionari di speranza tra le genti”. Una serata intensa, di preghiera, testimonianza e riflessione, che ha visto la partecipazione di numerosi fedeli e religiosi, insieme a don Emanuele Colombo, parroco di Olgiate Molgora e decano di Brivio; don Fabio Biancaniello, parroco di Montevecchia e decano di Merate; padre Mario Ghezzi del PIME e padre Gigi Maccalli, missionario della Società delle Missioni Africane, rapito in Niger il 17 settembre 2018 e liberato due anni dopo, l’8 ottobre 2020.
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Don Fabio Biancaniello, don Emanuele Colombo, padre Gigi Maccalli

Durante la celebrazione sono stati consegnati i crocifissi ai missionari provenienti da altri Paesi ed è stato affidato il mandato ai gruppi missionari parrocchiali dei due decanati. Il momento più toccante della serata è stata però la testimonianza di padre Gigi Maccalli, che ha raccontato con profonda umanità e commozione i due anni di prigionia vissuti nel deserto del Sahel. Partito per il Niger nel 2007 con la Società delle Missioni Africane, dopo dieci anni in Costa d’Avorio e un breve ritorno in Italia, padre Maccalli sentiva di aver raggiunto il luogo ideale per la missione.
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“Mi credevo nella periferia giusta — ha raccontato — perché un missionario è mandato alle periferie del mondo. Non sapevo che avrei scoperto la periferia della periferia”.
Il religioso ha quindi ripercorso i momenti più difficili del sequestro, dai primi 22 giorni incatenato a un albero, alle lunghe traversate nel deserto, ma anche le notti sotto un cielo pieno di stelle, divenute per lui icona di speranza e segno dello sguardo di Dio.
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In totale ha trascorso 752 giorni di prigionia. ma padre Maccalli ha spiegato come, nonostante la sofferenza, abbia continuato a vivere la sua missione anche da ostaggio: curando ferite, condividendo il poco che aveva, insegnando francese ai giovani jihadisti e tentando di “umanizzare le relazioni, anche le più ostili”. “Solo il perdono può spezzare la catena dell’odio – ha detto –. Io non volevo essere vinto dal rancore o dalla vendetta. La guerra è disumanità. La missione è testimoniare a tutti il perdono e il dialogo. Questa è la vera sfida”.

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Uscito dal deserto l’8 ottobre 2020, padre Maccalli ha raccontato che, solo quattro giorni prima, attraverso una radiolina, era riuscito ad ascoltare le parole di Papa Francesco, che ad Assisi aveva appena firmato la sua enciclica “Fratelli tutti”. Quelle poche parole gli erano bastate. Il giorno della liberazione, in francese, le aveva ripetute al capo della banda che lo teneva prigioniero:
“Dio ci conceda un giorno di capire che siamo tutti fratelli”.
“Mi sono sentito in pace – ha concluso padre Maccalli –. Oggi la mia missione è liberare la pace. Riarmiamo le nostre parole, perché dalle parole nascono le guerre, gli omicidi, i femminicidi. Sono sempre le parole che infuocano le mani. La parola è come una scintilla. Io ho ricevuto insulti e disprezzo: non sono stato picchiato, ma le parole possono ferire come schiaffi. Mi sono detto che volevo essere come un sacco da pugile. Non volevo essere vinto dal rancore e dalla vendetta”.
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A chiusura della veglia, don Emanuele Colombo ha ricordato che i gruppi missionari avevano preparato per ogni partecipante una piccola bustina di semi: “Può sembrare qualcosa di piccolo, ma è per ricordarci di coltivare la speranza. Può sembrare poco, ma può fare grandi cose”. E, rifacendosi alla lettura del Vangelo, ha aggiunto: “Non è un nostro problema pensare se ne valga la pena. Con la busta dei semi c'è una bandiera e l’invito a pregare per quella nazione”.
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È quindi seguito il momento della consegna dei crocifissi. Padre Mario Ghezzi ha ricordato come i Paesi un tempo da evangelizzare siano oggi quelli da cui provengono missionari che arrivano in Italia, in un reciproco scambio di fede e fraternità. Un esempio sono suor Caterina e padre Iano, che nel corso della serata hanno ricevuto il crocifisso. Suor Caterina, nigeriana, da due anni ad Airuno, ha espresso la sua gioia per “fare parte di questa missione e chiedere a Dio di essere una missionaria secondo il suo cuore”. Padre Iano, membro del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) a Villa Grugana di Calco, ha sottolineato il valore della missione “anche qui, tra i giovani e le comunità locali”.
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I due religiosi hanno ricevuto il crocifisso missionario, segno del loro mandato e della comunione con tutta la Chiesa. La veglia si è conclusa in un clima di intensa partecipazione e fraternità, con la consegna simbolica dei semi e delle bandierine: un piccolo gesto dal grande significato, per ricordare a tutti di coltivare la speranza e la pace nel quotidiano, come missionari di dialogo, perdono e umanità, “tra le genti”.
E.Ma.
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