Beverate: Marco Belladitta, educatore nei centri di accoglienza, si racconta
Prosegue a Beverate il ciclo di incontri “Missionari di speranza fra le genti”, la rassegna promossa dal centro parrocchiale in concomitanza con il mese missionario di ottobre.

Nei locali dell'oratorio parrocchiale, è toccato a Marco Belladitta raccontare la propria esperienza come educatore nei centri di accoglienza per richiedenti asilo: “accogliere e seminare il futuro” è il titolo scelto per la serata, nello spirito di chi crede fermamente che l'accoglienza possa generare frutti in ciascuna comunità.
Dopo aver lavorato nel lecchese, prima nel settore dell'assistenza a persone con disabilità e poi dell'accoglienza a migranti, oggi l'educatore è operativo a Monza. Ha parlato delle difficoltà di stare al passo con le normative che regolano la materia, spesso in cambiamento e della frammentarietà con cui ogni singola prefettura e realtà territoriale gestisce fondi e progetti.
“Noi accompagniamo persone straniere che fanno richiesta di protezione internazionale in tutti gli aspetti che riguardano l'accoglienza: si fornisce un alloggio, diamo un sostegno educativo, sociale e psicologico e gli forniamo assistenza per gestire il quotidiano” ha spiegato Belladitta. L'obiettivo è quello di renderli autonomi anche da un punto di vista culturale, al fine di dare il via ad un possibile processo di integrazione.

Sono persone di diverse etnie, provenienze e culture, arrivate in Italia attraverso la rotta del mediterraneo o quella balcanica, che al loro arrivo non hanno documenti. Così inizia il loro iter sul nostro territorio da richiedenti asilo: vengono indirizzati in centri di accoglienza, in attesa di una risposta alla richiesta di protezione internazionale. Questa dovrebbe essere una soluzione temporanea, ma che troppo spesso si trasforma in una sistemazione a lungo termine e molti, troppi richiedenti asilo, rimangono in attesa di una risposta anche per sei, sette, otto anni.
Il paradosso è che non appena arrivano sul nostro territorio, dopo 60 giorni, già possono iniziare a lavorare, ma non appena superano i 6 mila euro di reddito annuo, vengono automaticamente espulsi dai progetti di accoglienza da un giorno all'altro. Qui emerge il cortocircuito del sistema delle accoglienze: “di fatto non premia chi si impegna, quindi in molti decidono di non impegnarsi e non lavore, perchè non gli conviene”.
“In questa complessità ci muoviamo e cerchiamo di dare un valore al nostro lavoro che non finisce con l'accoglienza, ma che prova a costruire qualcosa per il futuro” ha continuato l'operatore riprendendo l'immagine della semina, scelta anche per dare un titolo all'incontro “dovremmo investire di più sulla gestione dei migranti, che nella storia dell'umanità ci sono sempre stati e sempre ne arriveranno, perchè se il terreno su cui cade il seme è buono, anche il frutto che cresce sarà buono”.

Molti degli ospiti dei centri, peraltro, non vorrebbero nemmeno rimanere su suolo italiano, ma preferirebbero transitare verso altri paese, come Francia o Germania. “Sarebbe bello poter assecondare fin da subito questo loro desiderio” ha commentato il relatore della serata.
“Credo che le comunità possano beneficiare realmente delle accoglienze fatte bene” ha poi rimarcato l'educatore “perchè altrimenti rischiamo di sprecare tempo, soldi e energie e di non avere risultati, consegnando queste persone a un discorso ideologico. Invece dobbiamo ricordarci che dietro alle accoglienze e alle migrazioni ci sono sempre delle persone: dovremmo investire in queste persone, ma chiedendo a loro di investire nelle comunità che le accolgono”.
In conclusione i ringraziamenti per l'ospite di Ugo Panzeri: “ci ha aperto un mondo complesso e che, a volte, ci fa un po' paura”.
La rassegna tornerà mercoledì 29 ottobre con “Artigiani di speranza” e le testimonianze di Letizia Beretta e Giulio Bagnoli, missionari in Brasile per l'operazione Mato Grosso.

Marco Belladitta con Ugo Panzeri
Nei locali dell'oratorio parrocchiale, è toccato a Marco Belladitta raccontare la propria esperienza come educatore nei centri di accoglienza per richiedenti asilo: “accogliere e seminare il futuro” è il titolo scelto per la serata, nello spirito di chi crede fermamente che l'accoglienza possa generare frutti in ciascuna comunità.
Dopo aver lavorato nel lecchese, prima nel settore dell'assistenza a persone con disabilità e poi dell'accoglienza a migranti, oggi l'educatore è operativo a Monza. Ha parlato delle difficoltà di stare al passo con le normative che regolano la materia, spesso in cambiamento e della frammentarietà con cui ogni singola prefettura e realtà territoriale gestisce fondi e progetti.
“Noi accompagniamo persone straniere che fanno richiesta di protezione internazionale in tutti gli aspetti che riguardano l'accoglienza: si fornisce un alloggio, diamo un sostegno educativo, sociale e psicologico e gli forniamo assistenza per gestire il quotidiano” ha spiegato Belladitta. L'obiettivo è quello di renderli autonomi anche da un punto di vista culturale, al fine di dare il via ad un possibile processo di integrazione.

Sono persone di diverse etnie, provenienze e culture, arrivate in Italia attraverso la rotta del mediterraneo o quella balcanica, che al loro arrivo non hanno documenti. Così inizia il loro iter sul nostro territorio da richiedenti asilo: vengono indirizzati in centri di accoglienza, in attesa di una risposta alla richiesta di protezione internazionale. Questa dovrebbe essere una soluzione temporanea, ma che troppo spesso si trasforma in una sistemazione a lungo termine e molti, troppi richiedenti asilo, rimangono in attesa di una risposta anche per sei, sette, otto anni.
Il paradosso è che non appena arrivano sul nostro territorio, dopo 60 giorni, già possono iniziare a lavorare, ma non appena superano i 6 mila euro di reddito annuo, vengono automaticamente espulsi dai progetti di accoglienza da un giorno all'altro. Qui emerge il cortocircuito del sistema delle accoglienze: “di fatto non premia chi si impegna, quindi in molti decidono di non impegnarsi e non lavore, perchè non gli conviene”.
“In questa complessità ci muoviamo e cerchiamo di dare un valore al nostro lavoro che non finisce con l'accoglienza, ma che prova a costruire qualcosa per il futuro” ha continuato l'operatore riprendendo l'immagine della semina, scelta anche per dare un titolo all'incontro “dovremmo investire di più sulla gestione dei migranti, che nella storia dell'umanità ci sono sempre stati e sempre ne arriveranno, perchè se il terreno su cui cade il seme è buono, anche il frutto che cresce sarà buono”.

Molti degli ospiti dei centri, peraltro, non vorrebbero nemmeno rimanere su suolo italiano, ma preferirebbero transitare verso altri paese, come Francia o Germania. “Sarebbe bello poter assecondare fin da subito questo loro desiderio” ha commentato il relatore della serata.
“Credo che le comunità possano beneficiare realmente delle accoglienze fatte bene” ha poi rimarcato l'educatore “perchè altrimenti rischiamo di sprecare tempo, soldi e energie e di non avere risultati, consegnando queste persone a un discorso ideologico. Invece dobbiamo ricordarci che dietro alle accoglienze e alle migrazioni ci sono sempre delle persone: dovremmo investire in queste persone, ma chiedendo a loro di investire nelle comunità che le accolgono”.
In conclusione i ringraziamenti per l'ospite di Ugo Panzeri: “ci ha aperto un mondo complesso e che, a volte, ci fa un po' paura”.
La rassegna tornerà mercoledì 29 ottobre con “Artigiani di speranza” e le testimonianze di Letizia Beretta e Giulio Bagnoli, missionari in Brasile per l'operazione Mato Grosso.
F.F.























